giovedì 30 luglio 2009

Roma: l’avventura allo Sportello Unico di un giornalista dell’Ansa

venerdì, 05 settembre 2008
Convocato come datore di lavoro, sperimenta in prima persona la burocrazia che affligge le pratiche dell’immigrazione.

“La convocazione dello sportello unico per l'immigrazione di Roma è datata 7 agosto: l'invito è a presentarsi il 4 settembre, oggi, alle ore 14:30, presso l'ufficio di via Ostiense 131/L, per ritirare il nulla osta di lavoro richiesto e per firmare il contratto di lavoro subordinato di una colf filippina, chiamata in Italia in base al decreto flussi”. Comincia così il racconto, scritto in prima persona, dell'esperienza fatta da un giornalista dell'ANSA, che dà voce ai disagi vissuti insieme a un folto gruppo di cittadini alle prese con l'ordinaria burocrazia legata al decreto flussi.
“Quando la convocazione arriva - racconta - è festa grande: la domanda risale al 15 dicembre 2007 ed era stata inoltrata alle 9'37” dopo l'apertura dei termini. Sono trascorsi quasi 220 giorni d'attesa e d'ansia, scanditi dalle verifiche su internet dello stato d'avanzamento della pratica. L'incubo comincia quando mi presento, documenti alla mano, in via Ostiense 131/L, qualche minuto prima dell'appuntamento fissato: mi aspetto di essere ricevuto da un impiegato che espleti la pratica. Il primo dubbio mi sorge nell'atrio: c'è un via vai di gente caotico, le indicazioni sono poco chiare, bisogna prendere - capisco - la scala 1b.
Che è completamente ostruita da una folla di persone che, scopro, hanno tutte la medesima convocazione: faticosamente, mi apro un varco fino al pianerottolo, dove un giovane in jeans e maglietta, che si qualifica come poliziotto, assegna a ciascuno un numero, scrivendo l'elenco su un foglio di carta strappato e stropicciato. C'è poco spazio, l'aria è maleodorante, molti accennano una protesta, qualcuno cerca di fare il furbo. La chiamata, però, va veloce: mi tranquillizzo, in un quarto d'ora chiamano il mio numero, il 113, su un totale intanto salito a circa 130. Adesso, penso, mi troverà di fronte all'atteso impiegato. Errore: entro in un corridoio dove vari addetti, alcuni dei quali extracomunitari, smistano il flusso dei “convocati” - c'è chi si sbaglia di giorno, o di pratica, o di scala - e assegnano un nuovo numerino, questa volta stile uffici comunali o salumerie. È fatta, mi dico. Manco per sogno. Finisco in uno stanzone dove la calca è disordinata e il vociare stordente. In mezzo, ci sono anche handicappati, anziani e famiglie con bambini, datori di lavoro in pectore ed emigrati. Tanti mostrano insofferenza e protestano, c'è chi accusa malori, molti cercano di guadagnare qualche posto (e taluni ci riescono). Altri addetti raccolgono le convocazioni rispettando l'ordine dei numerini, salvo dare priorità a chi ne ha evidente motivo. Le comunicazioni si fanno solo a viva voce: non c'è un display, non ci sono pannelli sui muri, le sedie su cui sedersi non sono sufficienti. Alle 15:36, più o meno tutte le convocazioni sono ritirate. Inizia l'attesa della chiamata: il primo numero che sento è il 668, sono 716, ne ho 48 davanti, cerco di calcolare quanto sarà lunga l'attesa. Nello stanzone, dove due agenti in divisa affiancano gli addetti civili, l'agitazione s'acqueta: c'è una calma rassegnata e spossata, chi è qui ha spesso atteso questo momento quasi nove mesi come me e considera che un'ora in più può valere la pena d'attendere. Mi chiamano alle 16.42. L'impiegato che era quasi diventato un miraggio è una giovane signora, gentile, competente, forse un po’ frettolosa (ma la coda da smaltire è ancora lunga). La pratica è sbrigata in pochi minuti. Alle 16.56, sono fuori con il nulla osta ben saldo nelle mie mani. Più che una vittima della burocrazia, mi sento un eroe della buona cittadinanza”.
(Fonte: Ansa)

http://immigrazioneoggi.splinder.com/post/18282735

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