domenica 19 luglio 2009

Il mercante musulmano nella visione di Maxime Rodinson

Un importante intervento di tipo generale in merito alla figura del mercante nell'Islam è quello di Maxime Rodinson, autore di Islam e capitalismo. Le sue domande principali sono: come affrontare uno studio sociologico sul mercante musulmano? E' possibile costruire una tipologia di commerciante?

Prima di tutto bisogna osservare che il commerciante è un "agente economico" che si inserisce nella catena produzione-circolazione-distribuzione. Il commerciante può essere un produttore-distributore, un agente specializzato del produttore o un puro scambista. Nel mondo musulmano dominano la prima e la terza figura di commerciante.

1. Nell'Islam il produttore-distributore ha un ruolo importante poichè, in genere, il commercio è considerato come un fatto conseguente alla produzione. Al-Ghazzali inserisce i commercianti nella classe dei produttori e Ibn Khaldun inserisce il commercio nei "mezzi di esistenza naturali". L'artigiano nell'Islam vende direttamente i suoi manufatti al pubblico e solitamente nei mercati gli artigiani che producono l'una o l'altra cosa si raggruppano insieme. A partire da una certa epoca in poi, fra l'altro, gli artigiani si organizzano in Gilde, ovvero in gruppi di pressione nei confronti dell'autorità statale. Prima di questo periodo esistono comunque organizzazioni di artigiani-commercianti.
2. Possiamo assimilare nell'Islam l'agente commerciale a colui che dipende da un importatore grossista. Ci sono diversi esempi nell'Islam di questa struttura. Nell'impero ottomano il legno era importato dallo Stato che si avvaleva di commercianti privati per la vendita e la distribuzione. nell'Egitto Mamelucco il sultano aveva un proprio ufficio comemrciale privato che monopolizzava sempre di più il commercio di alcuni beni. Lo Stato imponeva il prezzo di questi beni e, in periodi di monopolio ferreo, alcuni commercianti privati si misero al servizio dello Stato.
3. Lo "scambista" è il commerciante "classico" dell'Islam. E' in questa categoria che rientrano i mercanti di lunga distanza. Nelle grandi città i mercati funzionavano a scatole cnesi, con un mercato all'ingrosso dove si vendevano le merci del commercio di scambio a lunga distanza. Poi i beni venivano distribuiti in una rete commerciale al dettaglio. E' a questo livello, inoltre, che bisogna chiedersi se lo "scambista" nell'Islam era capace di influenzare la produzione e sembra di sì visto che esiste la fgura del "commendatario" ovvero colui che riceve l'ordine da un grande commerciante per la produzione di alcuni beni. Questo discorso, però rimane nsolo in nuce nell'Islam, che non svilupperà mai cicli economici di tipo industriale. E' importante saperlo in rapporto al fatto che gli europei, come abbiamo visto, giunsero nell'OCeano Indiano a condizionare fortemente la produzione.

Lo Stato, nel settore commerciale, è "non interventista, ovvero basa la sua forza sulla produzione agricola e l'attività militare. Questo, però non vale per gli Stati musulmani periferici dell'Oceano Indiano, che nascono e vivono proprio sul commercio (Hormuz, Zanzibar).

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Lo statuto giuridico e morale

Massignon descrive la figura del mercante nell'Islam in un'ottica funzionalistica, operando una distinzione fra suo statuto giuridico e suo statuto morale.

* Statuto giuridico: il diritto pubblico non assegna al mercante alcuno "statuto". Non esiste alcuna "carta del commerciante" che definisca con precisione i suoi diritti e doveri. La categoria, dunque, non ha - a priori - la forma di una classe sociale chiusa o di una casta ereditaria, endogama con diritti e doveri stabiliti come succede ad esempio in India. Le disposizioni legali specifiche che si applicano ai mercanti derivano solo dalla sua funzione economica. L'Islam d'altronde è definita dall'accademico come una "religione senza classi", ovvero una religione che da ad ogni essere umano la stessa dignità. Quando si viene a formare nella società islamica una "classe dominante", come nel caso dei mamelucchi (che hanno leggi interne che la regolano) il mercante ne è comunque escluso, nel senso che le classi dominanti nell'Islam sono spesso formate di militari. Un eccezione a questa struttura è rappresentata dalle città stato commerciali, di cui parleremo, anche se non abbiamo, a livello giuridico, evidenze dell'esistenza di uno statuto "speciale" o privilegiato accordato ai mercanti. Il diritto privato, al contrario di quello pubblico, prevede alcune disposizioni che facilitano la vita del mercante, come il matrimonio temporaneo (muta'a). Sviluppato è il regime dei contratti commerciali, lo strumento giuridico principale per i mercanti. Essi vengono stilati secondo i principi dell'Islam e dunque, nel loro insieme, seguono una deontologia che non è "autodefinita" dai mercanti stessi, ma rispetta l'ideologia generale che dall'Islam scaturisce: il divieto di usura pone alcuni ostacoli ma viene superato in diversi modi. I contratti più studiati, che vedremo, sono quelli di vendita e di commenda.
* Statuto morale: per spiegare quale sia il rilievo morale del mercante nell'Islam Rodinson usa un paragone con il mondo cristiano, nel quale il mercante è teoricamente condannato dalla chiesa perchè insiegue ilprofitto e la ricchezza. Nell'Islam, a livello ideologico generale, la ricerca della ricchezza attraverso il mercato è visto invece in maniera positiva, sempre che si svolga all'interno del quadro generale etico-morale islamico. Bisogna poi ricordare che Muhammad era un mercante e che l'Islam nasce poprio in ambiente mercantile, distaccandosi dall'assetto tribale dell'Arabia preislamica.

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Il ruolo

Dal punto di vista della sua mentalità economica, lo spirito d'impresa del mercante musulmano sembra essere un fatto stabilito. Rodinson osserva però che i mercanti musulmani sono più attivi nell'Oceano Indiano, ovvero un'area in cui non ci sono contese di tipo politico.

Se il mercante cerca nella storia dell'Islam di accrescere il proprio peso sociale il potere nell'Islam trae nel suo complesso forza altrove, ovvero nelle campagne e in campo militare. L'influenza del mercante non oltrepassa mai il quadro municipale. La sua ricerca di maggior influenza passa per il tentativo di aver maggior peso dal punto di vista legale. Strictu sensu v'è una tendenza nei mercanti a basarsi sulle prove scritte invece che sulle testimonianze dirette, fatto che va contro la tradizione giuridica islamica che privilegia il testimone diretto oculare. Un altro elemento che danneggia in qualche modo l'attività mercantile è "l'onnipotenza" del qadi, il cui insindacabile parere supera la inequivocabilità del contratto scritto.

Dal punto di vista delle attitudini sociali Rodinson osserva che spesso i mercanti formano in buona parte la clientela delle sette dissidenti e, almeno in periodo medievale, hanno poca propensione per la mistica. Vedremo che ad esempio in Africa, in seguito, ciò non è vero. Ovviamente il mercante ha una propensione verso un assetto politico stabile e pacificato, che renda più facile il suo lavoro. La tendenza è verso la tolleranza delle differenze e verso l'accettazione del pluralismo confessionale, una tendenza che Rodinson vede alla base di quelli che saranno i millet in periodo ottomano. D'altra parte, in zone del mondo non islamiche, il mercante si contraddistingue per un'attività missionaria. E' un agente della diffusione dell'Islam. Intorno all'attività mercantile si sviluppa spesso, in aree non islamizzate, una clientela di neoconvertiti, con i quali è più facile avere un corretto rapporto commerciale. Si fa esclusione di quelle aree e di quei periodi in cui si commerciano schiavi, che non devono essre musulmani.

Rodinson, M., "Le marchand musulman", in D. S. Richards (a cura di), Islam and the trade of Asia: a colloquium, Oxford, 1970, pp 21-35.

http://www.islamistica.com/lorenzo_declich/mercante_musulmano_rodinson.html

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