venerdì 3 luglio 2009

Bankitalia sconfessa i discorsi leghisti

Il gettito fiscale degli stranieri rappresenta il 4%, mentre assorbono soltanto il 2,5% della spesa sociale (scuola, sanità)
I migranti costano poco e rendono molto

Laura Eduati
Sono le nude cifre a sconfessare intere carriere politiche.
Cifre come quelle contenute nella ultima relazione della Banca d'Italia per il 2008 dove è indicato che gli immigrati versano il 4% del gettito fiscale e contributivo ma assorbono soltanto il 2,5% delle spese per sanità, scuola e servizi sociali in genere. Con un linguaggio certamente rozzo, questo significa che gli stranieri sono utilissimi perché costano poco e rendono molto.
Il quadro fornito dal governatore Mario Draghi aggiunge soltanto un tassello a quello che da anni sostengono gli economisti, e cioè che la presenza degli immigrati costituisce una risorsa notevole per l'economia italiana.
Sono oltre due milioni i lavoratori stranieri in Italia - precisamente 2.194.179 - e tra costoro quasi l'85% è costituito da immigrati extracomunitari, mentre i restanti provengono da paesi dell'Unione europea. Tutti insieme hanno contribuito ad un gettito fiscale di sei miliardi di euro, mentre hanno spedito praticamente la stessa cifra alle famiglie rimaste nei paesi di origine, le cosiddette "rimesse". Secondo uno studio pubblicato dalla Cgia di Mestre a metà maggio, la maggioranza degli stranieri lavora come dipendente (66,2%), gli autonomi sono oltre trecentomila ovvero il 15% e le colf o assistenti famigliari regolarmente dichiarate costituiscono il 18,1% della forza lavoro.
Che gli immigrati facciano ormai parte integrante del tessuto produttivo italiano - e non dimentichiamoci che generano quasi il 10% del Pil - ormai è cosa assodata. Eppure il centrodestra, specialmente la Lega, continua nei suoi discorsi pubblici a trattarli come ospiti indesiderati. «Io penso che non vada dato assolutamente il voto agli immigrati. C'è gente che non è radicata nel nostro paese e si prende potere politico e non si saprebbe in che modo il nostro paese finirebbe. Il Paese è nostro, non degli immigrati» dihiarava Umberto Bossi nel 2006. Soltanto poche settimane fa, a marzo, lo stesso leader del Carroccio ricordava che il piano-casa doveva forzatamente escludere i cittadini non italiani: «Non vorrei che facessero le case per sistemarvi gli extracomunitari. Ci vogliono limiti e indirizzi precisi». Sia mai.
Da svariato tempo la sinistra accusa la destra di volere soltanto braccia da lavoro, dimenticando che con le braccia arrivano persone e queste persone necessitano di alloggi, cure, scuole. In realtà la Lega si vanta di fornire agli stranieri regolari la migliore integrazione: «I dati ufficiali», ha ricordato recentemente il senatore leghista Mario Pittoni, «dicono che dove governa il Carroccio, come a Treviso o Verona, gli immigrati si integrano con minori difficoltà».
Sarà pur vero, ed è altrettanto vero che la forza contundente dell'attuale governo è diretta principalmente contro gli illegali e non contro i regolari. Ma ostacolare il raggiungimento del permesso di soggiorno è ostacolare l'integrazione dei futuri migranti regolari - che, ci si dimentica, sono sempre le stesse persone, cambia soltanto il possesso di un permesso di soggiorno. A gennaio il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, difendeva la proposta leghista di chiedere agli immigrati 50 euro per il permesso di soggiorno (ora con il ddl sicurezza ne chiederà 200) spiegando che per rilasciare questi documenti lo Stato «deve mettere in piedi una serie di attività che costano».
Ancora una volta: i migranti non pesano, semmai fanno guadagnare. Lo dimostra una stima della Caritas: nel 2005 i Comuni italiani spesero 136 milioni di euro in servizi dedicati esclusivamente agli stranieri, cifra che equivale al 3,7% delle entrate fiscali assicurate dagli stessi migranti. Naturalmente i cittadini non italiani usufruiscono anche di servizi estesi agli italiani (asili nido, mense, etc.) dove l'utenza straniera, poniamo, potrebbe arrivare al 20% e cioè al triplo della presenza straniera in Italia (6%). Ebbene, in quel caso i Comuni avrebbero speso 700 milioni di euro e cioè appena il 20% delle entrate fiscali fornite dai migranti. Se fosse importante soltanto il dare e avere, allora i migranti risulterebbero un affare d'oro.
Se non fosse abbastanza, il rapporto di Unioncamere del 2008 forniva un panorama ancora più roseo sull'export: «Ben il 9,2% del valore aggiunto italiano viene prodotto grazie agli immigrati», risorsa «indipensabile» per il Nord, l'agricoltura, l'industria manifatturiera e per l'edilizia.
Tuttavia i lavoratori stranieri vengono contnuamente discriminati: il datore di lavoro deve assicurare alloggio e biglietto di rientro al dipendente migrante, e deve subire continui controlli che verificano se effettivamente lo straniero lavora e dunque può ottenere un permesso di soggiorno. Inoltre gli stranieri che lavorano regolarmente faticano a rientrare nelle graduatorie degli alloggi pubblici per la precarietà del soggiorno regolare.
Bossi non cambia comunque idea. Lo scorso novembre ripeteva: «Gli immigrati? Per me sono una risorsa negativa».

Liberazione 02/06/2009, pagina 5

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