domenica 5 luglio 2009

Educazione, ultima utopia contro esclusione e disuguaglianza

Dall'estensione del concetto di "nonluoghi" all'idea di una globalizzazione dai tratti barbarici

La casa editrice Elèuthera ha annunciato la nuova edizione del celebre volume di Marc Augé Nonluoghi (pp. 112, euro 10,00) che sarà in libreria i prossimi giorni. Per l'occasione, l'autore ha scritto una nuova introduzione della quale pubblichiamo degli stralci: quindici pagine dove affronta, descrive e commenta i nuovi nonluoghi, dal telefonino alle reti informatiche, ai computer, alle tv, al rapporto tra città e territorio, tra urbanizzazione e architettura, singolo e comunità, mondializzazione e povertà, frontiere e barriere, sistema, occidente, storia e democrazia.

Marc Augé
Dall'uscita di Nonluoghi in Francia (1992), l'urbanizzazione del mondo è proseguita e si è amplificata nei paesi sviluppati, in quelli sottosviluppati e in quelli che ora si chiamano "emergenti". Le megalopoli si estendono e così anche, lungo le coste, lungo i fiumi e lungo le vie di comunicazione, i «filamenti urbani», per riprendere l'espressione del demografo Hervé Le Bras, cioè quegli spazi che, almeno in Europa, dove lo spazio è risicato, saldano fra loro le grandi agglomerazioni, accogliendo buona parte dei suoi abitanti e del tessuto industriale e commerciale.
Assistiamo così a un triplo "decentramento".
Le grandi città si definiscono innanzi tutto per la loro capacità di importare o esportare gli esseri umani, i prodotti, le immagini e i messaggi. Spazialmente, la loro importanza si misura in base alla qualità e all'ampiezza della rete autostradale o delle vie ferroviarie che le collegano agli aeroporti. La loro relazione con l'esterno si inscrive nel paesaggio nel momento stesso in cui i centri detti "sto- rici" sono sempre più un oggetto d'attrazione per i turisti del mondo intero.
Nelle stesse abitazioni, ville o appartamenti, la televisione e il computer occupano ora lo spazio dell'antico focolare. Gli ellenisti ci hanno insegnato che sulla casa greca classica vigilavano due divinità: Estia, dea del focolare insediata nel centro, umbratile e femminino, della casa e Hermes, dio della soglia rivolto verso l'esterno, protettore degli scambi e degli uomini che ne avevano il monopolio. Oggi la televisione e il computer hanno preso il posto del focolare al centro della casa. Hermes si è sostituito a Estia. L'individuo, dal canto suo, è in un certo senso decentrato rispetto a se stesso. Si dota di strumenti che lo pongono in contatto costante con il modo esterno più remoto. I telefoni cellulari sono anche apparecchi fotografici, televisori, computer. L'individuo può così vivere singolarmente in un ambiente intellettuale, musicale o visuale completamente indipendente rispetto al suo ambiente fisico immediato.
Questo triplo decentramento corrisponde a un'estensione senza precedenti di quelli che definisco i "nonluoghi empirici", ovvero gli spazi di circolazione, di consumo, di comunicazione. Ma a questo punto è necessario ricordare che non esistono "nonluoghi" nel senso assoluto del termine. Ho definito "luogo antropologico" ogni spazio in cui possono essere lette le inscrizioni del legame sociale (per esempio quando vengono imposte a tutti regole rigide di residenza) e della storia collettiva (per esempio nei luoghi di culto). Tali inscrizioni sono chiaramente più rare negli spazi marchiati dal sigillo dell'effimero e del passaggio. E tuttavia nella realtà non esistono, nel senso assoluto del termine, né luoghi né nonluoghi. La coppia luogo/nonluogo è uno strumento di misura del grado di socialità e di simbolizzazione di un dato spazio.
Certamente dei luoghi (luoghi di incontro e di scambio) si possono costituire in quelli che, per altri, risultano piuttosto dei nonluoghi. Constatazione questa che non contraddice quella dell'estensione senza precedenti degli spazi di circolazione, consumo e comunicazione, corrispondente al fenomeno attualmente designato con il termine di "globalizzazione". Questa estensione genera delle conseguenze antropologiche importanti perché l'identità individuale e collettiva si costruisce sempre in relazione e in negoziazione con l'alterità. D'ora in poi è dunque il campo planetario nel suo complesso ad aprirsi simultaneamente all'investigazione dell'antropologo dei mondi contemporanei.
Assistiamo perciò a una nuova contestualizzazione di tutte le attività umane. La globalizzazione è anche l'urbanizzazione del mondo, è anche una trasformazione della città che si apre a nuovi orizzonti. Questo fenomeno inedito ci invita a ritornare su alcuni concetti.
L'ideale di un mondo senza frontiere, per esempio, è sempre apparso agli individui più sinceramente umanisti come l'ideale di un mondo dove sarebbero finalmente abolite tutte le forme di esclusione. Il mondo attuale ci viene spesso presentato come un mondo nel quale le antiche frontiere sono state cancellate. Ciò significa che ci avviciniamo all'ideale umanista dell'universalismo? E' chiaro che le cose non sono così semplici; per chiarirle un poco, mi sembra importante riflettere in tre direzioni.
1. Oggi esiste effettivamente un'ideologia della globalità senza frontiere che si manifesta nei settori più disparati dell'attività umana mondiale.
2. La globalità attuale è una globalità in rete, che produce effetti di omogeneizzazione ma anche di esclusione.
3. Il concetto di frontiera rimane ricco e complesso. Non significa necessariamente divisione e separazione. Forse l'ideale di un mondo egualitario non passa dall'abolizione di tutte le frontiere, ma dal loro riconoscimento.
Quanto al termine "mondializzazione", esso rinvia a due ordini di realtà: da un lato a quella che chiamiamo globalizzazione, che corrisponde all'estensione su tutta la superficie del globo del cosiddetto mercato liberale e delle reti tecnologiche di comunicazione e informazione; dall'altro lato a quella che potremmo chiamare coscienza planetaria, che a sua volta presenta due aspetti. Siamo infatti di giorno in giorno più coscienti di abitare uno stesso pianeta, corpo fisico fragile e minacciato, infinitamente piccolo in un universo infinitamente grande; tale coscienza planetaria è una coscienza ecologica e inquieta: condividiamo tutti uno spazio ridotto che trattiamo male. D'altra parte, siamo anche consapevoli dell'ampliarsi quotidiano della forbice fra i più ricchi dei ricchi e i più poveri dei poveri; tale coscienza planetaria è una coscienza sociale e infelice. Su scala mondiale, oltretutto, aumenta lo scarto, sia in termini assoluti che relativi, fra coloro che non hanno neppure accesso all'alfabetizzazione, a un estremo, e coloro che invece hanno accesso alle grandi ipotesi sulla nascita dell'universo o sulla comparsa della vita, all'altro estremo. Parlando in senso globale, è necessario aggiungere che il patrimonio filosofico dell'umanità sembra privo di eredi? E che, foraggiato dalla violenza, dall'ingiustizia e da condizioni di diseguaglianza, quel ripiegamento spesso proteso verso forme religiose più o meno fruste e intolleranti va assumendo il ruolo di pensiero presso una parte considerevole dell'umanità?
Come invertire la tendenza? Sicuramente non con un tocco di bacchetta magica, né con pie preghiere. L'ultima utopia oggi è l'educazione, se vogliamo evitare che il sapere e la scienza si concentrino esclusivamente nei medesimi poli in cui si coagulano il potere e la ricchezza, all'incrocio delle varie reti del sistema globale. Non è infatti infondato il timore che all'orizzonte della nostra storia si disegni non la democrazia generalizzata immaginata da Fukuyama, ma un'aristocrazia "globale" che vedrà il dominio dei poli planetari del potere, del sapere e della fortuna su una massa di consumatori passivi e su una massa ancora più grande di esclusi dal consumo.

Liberazione 05/07/2009, pagina 12

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