giovedì 29 aprile 2010

Roma: I-60, urbanistica e territorio, il caso Ardeatino

Ancora sulla pratica urbanistica romana che sta sotto ai lustrini del Convegno degli archistar dell’8-9 aprile 2010 promosso dal Sindaco di Roma Gianni Alemanno: la lotta di un quartiere, l’Ardeatino, contro la minaccia al territorio, che va sostenuta dai cittadini non solo romani per impedire che scelte politiche e speculazioni compromettano la qualità della vita e cancellino preesistenze storiche, ambientali e paesaggistiche, linfa della memoria e dell’identità locale.

Il caso che abbiamo sollevato nel precedente servizio è di indubbia importanza: la sorte urbanistica di un quartiere come paradigma della sua città, la capitale, e anche dell’intera nazione. Per evitare il contagio bisogna combattere la malattia nei suoi focolai, e nel focolaio dell’Ardeatino, il quartiere in questione, si ritrovano i paradossi e le anomalie, le assurdità evidenziati a livello generale.

progetto di sviluppo urbanistico nel quartiere Ardeatino

Si dirà che vi sono le esigenze abitative da soddisfare. Ebbene, la popolazione romana è stabile sui 2.600.000 abitanti circa, mentre il cosiddetto ”urbanizzato”, cioè interessato dall’edilizia, già nel 2002 era di 46 mila ettari che corrisponderebbero a una popolazione quasi doppia, poco meno di quanto previsto nel precedente piano, riferito a un popolazione due volte più grande; già da allora ne erano investite in modo insensato aree agricole da preservare per l’equilibrio dell’eco sistema.

La situazione si va aggravando con un ulteriore paradosso: “Nonostante siano circa due decenni che Roma si sta spopolando, il nuovo Piano regolatore prevede l’urbanizzazione di ulteriori 15 mila ettari, così da arrivare a cancellare oltre il cinquanta per cento della campagna romana”. In definitiva: “Quindici anni di nuova urbanistica hanno lasciato 70 e oltre milioni di metri cubi di cemento: il nuovo sacco urbanistico”. Il “fallimento” sta nelle tre esigenze, “centralità, cura del ferro e tutela dell’agro”, tutte disattese. Di due si è detto, per la terza basti aggiungere che Walter Tocci, vicesindaco con Rutelli, ha scritto di recente che “la cura del ferro è stata abbandonata”.

La conclusione dell’analisi di cui nel primo servizio abbiamo dato solo degli stralci: “Nei lunghi anni di governo urbano, la sinistra ha costruito una sconfitta culturale senza appello. Le speranze che avevano accompagnato le ambizioni della nuova urbanistica romana si sono dissolte progressivamente”. E cosa vuol fare la “destra”? Continuare con la stessa politica trincerandosi sul fatto compiuto che non ha accettato neanche per il ben più modesto dissenso sull’“Ara Pacis”? Equivarrebbe ad avallarne l’impostazione facendosi schermo di chi ha compiuto il “lavoro sporco”.

Siamo al sesto paradosso dopo i cinque evocati in precedenza. Della valanga di quattro milioni di metri cubi di “compensazione”, quattrocentoventimila si abbattono in una zona verde, non lontana dalla miracolata Tor Marancia, che è già ad alta intensità abitativa; e questo perché una precedente colata di cemento in assenza di adeguamenti viari e infrastrutturali ha trasformato la via di uscita dal quartiere, via di Grottaperfetta, in un ingorgo di traffico e di inquinamento; su questa stessa strada, a doppio senso di marcia con una stretta corsia per direzione impercorribile in molte ore del giorno, e non allargabile, si addenserebbe la nuova congestione.

Per di più si tratta di un’area verde con preesistenze monumentali e storiche, oltre che ambientali e paesaggistiche di indubbio valore, le ricordiamo ancora: muretti in “opus reticulatum” e basolati di pavimentazione, grandi iscrizioni circolari riferite a Domiziano e anche rettilinee, topografie di ambienti, oggettistica, finanche uno scheletro di età antica; sono segni e testimonianze che danno un valore identitario alla località, il tutto documentato dalle immagini. Tutto questo nel polmone vitale di un quartiere da preservare dopo i recenti massicci insediamenti nella zona operati senza alcun adeguamento delle dotazioni infrastrutturali.

Il “Settimo cavalleggeri” non interviene

Ne parleremo nella conclusione, perché è l’aspetto centrale della rivolta che sul piano culturale suscita questa minaccia; mentre la rivolta sul piano politico nasce dal settimo paradosso. Qui è l’incubo all’incontrario, come se nella ridotta di “cow boy” assediata dagli indiani – quelli “cattivi” di una volta, non quelli perseguitati di oggi – che esulta agli squilli di tromba del “Settimo cavalleggeri” piombasse la tragica delusione di un “arrivano i nostri” illusorio, perché i “nostri” rimangono a guardare, si rifiutano di intervenire e partecipano al “massacro” diventando complici.

Siamo di fronte al fatto compiuto, la situazione è definitivamente compromessa e non si può fare altro che assistere impotenti! Questa la prevedibile linea di difesa, puntualmente adottata, qui il nome tecnico è un altro, “diritti quesiti”; è come se il “diritto” nascente dalla primitiva decisione su Tor Marancia, poi annullata, si fosse tradotto nel diritto alla compensazione raddoppiata a danno di altri quartieri prima non colpiti, rendendo inevitabile la cementificazione della zona vicina.

Ma come sopportano tutto questo i “vincitori” della battaglia su Tor Marancia, l’onorevole Rampelli e i suoi? Ci fanno pensare al beato signore che ottenuto il cambio del nome – dopo una appassionata vertenza dato che era bersaglio di scherno soprattutto per i figli – torna a casa trionfante per la vittoria e nel festeggiare mostra il decreto con il nuovo nome, che scriviamo “con decenza”, come si diceva una volta: “Da oggi potrò chiamarmi Cacca Franco invece di Cacca Antonio”. “Absit iniuria verbis”.

Che ne pensa il combattivo onorevole Rampelli, così popolare nelle feste d’estate “all’ombra del Colosseo”? Si disinteressa degli effetti perversi della sua azione generosa e vincente per Tor Marancia? L’istituto della “compensazione” edificatoria “trova applicazione rispetto alle aree edificabili che vengono cancellate sulla base di criteri urbanistici e non sulla base di vincoli cogenti di inedificabilità”. Ebbene, a Tor Marancia, come sa benissimo per averlo ottenuto, l’edificazione fu annullata in base all’apposizione di un vincolo paesaggistico, e così in altri casi; si tratta di uno dei “vincoli cogenti” e non di “criteri urbanistici”, per cui non scatta la discutibile “compensazione”.

Con il settimo paradosso sono finiti i sette re di Roma, ce n’è un altro come l’ottavo re, titolo generalmente attribuito al personaggio del momento più amato nella città. Questa volta è una contraddizione che riguarda i fatti compiuti e i “diritti quesiti”. E chiama in causa direttamente il sindaco Gianni Alemanno, che ricordiamo osannato come un liberatore al Teatro del Trullo dagli abitanti del quartiere che sopportarono pazientemente il notevole ritardo sull’orario del suo intervento; lo sopporterebbero volentieri anche i cittadini dell’Ardeatino se volesse intervenire in positivo e non come ha fatto di recente, e lo abbiamo riportato, avallando abusi di altri in passato.

Perché lo chiamiamo in causa? Cosa c’è di più irreversibile, quale fatto è più “compiuto”, quale diritto è più “quesito” di una realizzazione completata, inaugurata e in pieno esercizio da anni, per il pubblico nazionale e internazionale? Ebbene, anche in questo caso si interviene nonostante ci siano di mezzo i diritti più che “quesiti” di un architetto di fama mondiale come Meier: così per la Teca dell’“Ara Pacis”, definita “intervento invasivo” da Alemanno, è stato chiesto che sia tagliata nella parte che deborda verso la vicina chiesa, il “Settimo cavalleggeri” compie il suo dovere e risponde alle aspettative di chi lo ha atteso, e votato, con fiducia. Altrimenti quale fiducia vorrà rinnovare la città di Roma alla parte politica che non riesce a correggere le scelte dissennate della parte contrapposta? E ciò sebbene colpiscano i cittadini nella qualità della vita e nel diritto alla salute, mentre appare decisa nel correggere scelte discutibili, ma limitate al senso estetico e artistico?

Ci sono state le elezioni regionali, ora è cessata anche la “coabitazione”. C’è un nuovo “arrivano i nostri” per rimuovere l’inerzia del “Settimo cavalleggeri” rimasto a guardare, anzi pronto a sostituirsi agli indiani e aiutarli nel “massacrare”? Prima ci siamo rivolti ad Alemanno, ora ci rivolgiamo a Renata Polverini, neoeletta alla Presidenza della Regione, perché voglia intervenire.

Del “Settimo cavalleggeri” parliamo non soltanto per il quartiere nel cui teatro assistemmo a uno psicodramma collettivo, i cittadini abbandonati dai loro rappresentanti istituzionali: il Municipio nella persona del minisindaco della circoscrizione si dichiara impotente, l’assessore comunale allorché si degna di rispondere fa una dichiarazione di “non intervento”, quasi si trattasse della Svizzera pacifista; quando tutti conoscono come sia pugnace la giunta Alemanno, e abbiamo ricordato l’“Ara Pacis”. Mentre per l’Ardeatino si è aggiunto il diniego pilatesco del Sindaco.

Allora il sogno all’incontrario che sembrava miracolosamente realizzato con Rampelli di An contro i “palazzinari” deve lasciare il posto a un incubo: l’intera classe politica romana, le istituzioni di ieri e di oggi tutti dalla loro parte? Sarebbe un risveglio agghiacciante, non resterebbe che l’antipolitica.

Perché occorre un “Settimo Cavalleggeri” per l’intera città? Perché se sono quattro i milioni di metri cubi che si abbattono su parecchi quartieri per la “compensazione Tor Marancia”, sono quasi 70 milioni di nuovi metri cubi che il Piano regolatore di Veltroni rovescerà sulla Capitale; e di questi, sorpresa nella sorpresa, solo l’uno per cento destinati ad edilizia economica e popolare. Motivati dagli evidenti risvolti speculativi e non da effettive o presunte esigenze abitative.

Si pensi che una ricerca dell’Eurispes ha rivelato che ci sono a Roma 200.000 case sfitte e vuote, in quartieri normalmente urbanizzati quindi già inserite nel contesto urbano, che potrebbero ospitare almeno 600.000 abitanti, calcolando la media tipo di 3 persone a famiglia; ebbene, le previsioni demografiche danno una popolazione stabile, e allora “che c’azzeccano” i 70 e più milioni di nuovi metri cubi? E’ eccessivo chiamarlo “sacco di Roma”? Non si parli di piccole imprese edilizie da sostenere, i “palazzinari” sono reincarnati in due-tre grandi gruppi di cui si conoscono gli addentellati con politica e istituzioni: il coraggioso “Report” meritoriamente ne ha fatto i nomi.

Il “sacco dell’Ardeatino”

Per esemplificare nei suoi contenuti specifici questo rinnovato anche se silente “sacco di Roma”, nulla di meglio che tornare al quartiere da cui siamo partiti, mobilitato nell’indifferenza generale con la nascita di diverse associazioni di cittadini riunite nel “Coordinamento territoriale stop I-60”. E dare qualche elemento specifico sull’intervento urbanistico da cui sono minacciati.

Qui il tono deve farsi freddo e il contenuto essenziale. Si tratta di una superficie di 22 ettari, prospicienti il Parco dell’Appia Antica, su cui gravitano quartieri fortemente urbanizzati (per la precisione Roma 70, Tintoretto-Tre Fontane e Montagnola); l’I-60 vi porterebbe, dunque, 400 mila metri cubi di cemento in 32 nuovi edifici fino a otto piani, alti trenta metri, che aggiungeranno, sono stime della regione Lazio, 5.000 nuovi abitanti stabili a un’area già densamente urbanizzata. Grandi interventi di adeguamento della viabilità? Nemmeno per sogno, sono previste solo le vie interne alla lottizzazione e tre accessi verso quelle esistenti. Alle migliaia di abitanti in più si aggiungeranno quelli attratti dai 120.000 metri cubi di servizi e strutture turistico-ricettive per centri commerciali e alberghi, per cui ne verrà moltiplicato l’impatto sulla qualità della vita della zona.

E’ lo stesso standard “palazzinaro” di un quartiere di cui si è occupata la trasmissione televisiva “Report”; precisamente “Malafede”, tra Roma e il mare di Ostia – la cui realizzazione fa impallidire anche Corviale, il “palazzo lungo un chilometro” – con la teoria senza fine di palazzoni intensivi, il cui addensamento abitativo ha rappresentato un vero e proprio tappo nell’arteria verso il mare; e questo è uno solo dei guasti che ha provocato ad opera di un nome ben noto nell’edilizia, nell’editoria e non solo, romana. Neppure una via di accesso alternativa rispetto a tale arteria, la Cristoforo Colombo che ne risulta strangolata, né un barlume di rispetto ambientale, forse in omaggio al nome del quartiere non certo benaugurale evocando un disvalore; il contrario nel non lontano quartiere dell’“Infernetto” dove a dispetto del nome ci sono casette a un piano, massimo trifamiliari, in armonia e con il tessuto urbano circostante, rispettose di ambiente e qualità della vita.

Il quartiere in questione, l’Ardeatino, è un territorio collinare di pregio, con preesistenze antiche e caratteristiche ambientali da tutelare come alberature e zone umide (Fosso delle Tre Fontane). L’ufficio Valutazione impatto ambientale della Regione Lazio ha evidenziato notevoli impatti negativi di natura ambientale su paesaggio e flora, acque sotterranee e superficiali, vivibilità e attività umane, a danno dei suoi abitanti e del bacino ben più ampio che gravita su questo polmone.

L’impatto sulla mobilità si riassume nella situazione già critica della stretta strada in gran parte non allargabile per ragioni oggettive che costeggia l’area (via di Grottaperfetta) e dell’asse Via del Tintoretto – Via Ballarin, i cui flussi sono molto rallentati, anche perché nell’ultimo decennio a Roma gli spostamenti con mezzi pubblici si sono ridotti del 25% – anche per la loro inefficienza – per cui domina il trasporto privato. A tale tendenza, per quest’area prossima al Gran Raccordo Anulare si aggiunge l’accentuarsi del pendolarismo, dovuto alla spinta a uscire dalla città per gli alti costi delle abitazioni, seguita all’ondata di urbanesimo, senza mezzi pubblici suburbani adeguati.

Ebbene, i 6000-7000 veicoli che si aggiungerebbero ai 4.500 presenti ogni ora ad intasare le due strade dell’area (Grottaperfetta e Tintoretto) formano solo loro una fila di 30 chilometri. Nell’ipotesi di equa distribuzione sulle tre vie di uscita, cioè di fuga date le circostanze, si avrebbe un traffico raddoppiato su una (Grottaperfetta) e triplicato sull’altra (Tintoretto allo svincolo di Tre Fontane).

aumento del traffico al quartiere Ardeatino

Ma non finisce qui, anche se basta e avanza, si direbbe. I programmi urbanistici, che è poco definire dissennati, prevedono nell’intero quadrante Sud-Ovest interventi per circa 17 milioni di nuovi metri cubi , con diverse centinaia di migliaia di autoveicoli aggiuntivi, come si è già riscontrato perché parte di tali interventi è stata realizzata, ma il grosso sarà contestuale all’I-60. Ebbene, della colata di cemento nel quadrante, 2.400.000 metri cubi riguarderanno le immediate vicinanze dell’I-60, con 20-30 mila auto aggiuntive: non se ne deve neppure sottolineare l’assurdo, raggiunge il diapason.

Siccome al peggio non c’è mai fine, cosa ipotizzano gli amministratori? Non il prolungamento della metropolitana che, in caso di realizzazione dell’intervento dissennato, consentirebbe di veicolare 20 mila persone l’ora senza impatto superficiale; bensì una mera linea di autobus e soprattutto degli assi viari di scorrimento che scaricherebbero sulla zona dell’I-60 decine di migliaia di nuovi veicoli di pendolari al giorno.

Ma lasciamo la parola al Coordinamento Stop I-60: “E’ pura follia pensare di dare a tutte queste auto la capacità di arrivare velocemente fino ai quartieri residenziali solo per intasarli ancora di più di quanto non lo siano ora”. Una follia che diventa attentato alla salute se si considera che l’ Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Ufficio Regionale per l’Europa in nome dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici hanno lanciato l’allarme sul rischio sanitario delle polveri sottili prodotte dal traffico automobilistico; e non è rischio ipotetico, viene fatto un elenco dei disturbi respiratori e delle patologie cardiocircolatorie ed oncologiche.

E allora le attese in parte deluse a Copenhagen? “Hic est Copenhagen!”, questa salvaguardia non dipende da organi sovranazionali o da altre nazioni, né dal governo nazionale; soltanto dalle istituzioni locali e senza intervenire sull’esistente. Basta evitare nuovi interventi dissennati. Dov’è l’esigenza pressante che li impone? Si abbia il coraggio di dirlo pubblicamente con franchezza.

Il Comitato presenta richieste chiare e precise, per evitare “una riduzione generalizzata della qualità della vita di migliaia di cittadini, da cui deriverà quantomeno un inaccettabile danno esistenziale (in senso giuridico)”. Eccole: “1) La moratoria immediata sul progetto; 2) La realizzazione, con il coinvolgimento dei comitati locali, delle necessarie valutazioni di impatto previste dalle normative regionali (VIA) e comunali (Valutazione di sostenibilità ambientale, Valutazione ambientale preliminare e Studio di impatto sulla mobilità, come previste dalle Norme tecniche del Piano regolatore di Roma); 3) La realizzazione di una Valutazione ambientale strategica (VAS) che analizzi gli impatti dell’enorme sviluppo urbanistico in corso nel quadrante, alle varie scale; 4) La realizzazione delle infrastrutture per la mobilità su ferro previste dal PRG (Metro D, prolungamento Metro B, corridoi per la mobilità su ferro) prima di avviare qualsiasi intervento edificatorio; 5) La tutela e il ripristino del Fosso delle Tre Fontane, uno degli ultimi ambienti umidi cittadini con presenza di specie animali e vegetali importanti per l’ecosistema cittadino.”

L’aspetto culturale e civile

Nell’orgia di paradossi tra il tecnico e il politico che convergono in un intervento dissennato quanto autolesionista (tranne che per gli speculatori, i “palazzinari” e i loro fautori), l’aspetto culturale è stato evidenziato da una storica dell’arte, Adriana Russo. E’ l’unico nome che facciamo tra i tanti che abbiamo visto citati e intervistati nel bel video premiato dall’Università “Roma Tre”.

Anche questo vogliamo sottolineare, il valore civile del premio che va a un filmato capace di rappresentare un dramma urbano senza enfasi né proclami ma con l’evidenza delle immagini e della realtà, la forza delle idee. L’opposto delle scene vocianti alle quali la televisione ci ha abituati, dove i toni esagitati e le grida aggressive impediscono di accedere alla conoscenza dei fatti. Qui tutto è lasciato all’evidenza, con rigore e sobrietà, e insieme con alto spirito civile.

L’Università “Roma Tre” ci aveva già dato di recente una bella sorpresa di questo tipo con la meritoria azione di suoi docenti per il recupero del Foro Italico lasciato in deplorevole abbandono, e di questo abbiamo già dato conto su www.abruzzocultura.it: altro paradosso per una giunta comunale di centrodestra e un sindaco che viene dall’Msi, dinanzi a una “damnatio memoriae” del già Foro Mussolini, forse un fatto di rimozione cui almeno finora non si pone rimedio.

Ma torniamo all’aspetto culturale preminente, messo in luce da Adriana Russo, basato sul fatto che nella zona minacciata di cui ci occupiamo più direttamente ci sono preesistenze di valore; oltre a quelle rinvenute nei primi scavi, di cui abbiamo detto e che sono documentate dalle immagini, mausolei e casali d’epoca, una strada di basolato, costruzioni del I secolo dopo Cristo. E intorno, il verde prezioso ricco di fauna avicola che verrebbe distrutta dall’insediamento abitativo; mentre quest’oasi naturale, lo ribadiamo, è un polmone per la qualità della vita dell’intero quadrante.

Ecco la storica dell’arte: “Questa zona con i suoi reperti dovrebbe restare intatta per preservare la storia culturale del quartiere. Nel contesto in cui sono collocate, pur non avendo un valore assoluto, le preesistenze ne evocano la storia romana e medioevale, la vita collettiva. Roma non è soltanto centro storico, non si possono trasformare in dormitorio anche i quartieri che finora sono stati preservati da tale degrado”.

E’ un aspetto che ci sembra fondamentale, connesso a quello della qualità della vita e della salute compromesse dall’aumento dell’inquinamento e dal disagio conseguente a 6000-7000 nuovi veicoli che nelle stesse ore si riverseranno sulle stesse strade; mentre la “minaccia” di nuove arterie intraurbane a quattro corsie per allentare la morsa aggiungerebbe danno a danno veicolando nel quartiere nuovi e ancora più ingenti flussi di traffico. Sfigurerebbe la fisionomia di un quadrante cittadino già di recente peggiorato da insediamenti massicci senza infrastrutture; ma in parte ancora preservato, e per questo va difeso: perché se l’attacco non viene respinto troverà poi vita facile altrove, e la spada di Damocle cadrà prima su Roma con oltre 70 milioni di metri cubi, poi sui non romani dato che anche in urbanistica dal laboratorio della capitale nascono veleni e miasmi per tutti.

Non si può dimenticare il titolo di scatola su “L’Espresso” di almeno mezzo secolo fa, nel grande formato in bianco e nero, fucina di inchieste e di coraggiose denunce: “Capitale corrotta nazione infetta” vale ancora di più oggi che la trasmissione dei fenomeni è immediata; ma si possono trasmettere anche fenomeni positivi, un antidoto a questi veleni. Perché un politico giovane e intemerato come Gianni Alemanno, fotografato nelle scalate e in corda doppia, dovrebbe sottrarsi a questa responsabilità che è per lui un’occasione? E perché dovrebbe sottrarsi Renata Polverini, vittoriosa alle elezioni regionali dello stesso schieramento? Insieme sarebbero impotenti contro il “last minute” di Veltroni? Neppure ipotizzarlo, se lo sono e lo saranno è segno che vogliono esserlo.
Non prevalebunt, no pasaran!

Se, dunque, si sottrarranno a un’azione in cui è in gioco – lo ripetiamo – la qualità della vita e la salute dei concittadini oltre al presumibile contagio dell’Italia intera, ciò non dipenderà da un’inesistente impossibilità e neppure da una debolezza. Bensì da un’acquiescenza, che diventerebbe complicità, ai poteri forti e agli interessi costituiti a tutti ben noti. Ma come possono prevalere se hanno contro i cittadini, le forze politiche serie e non acquiescenti? Per questo ci uniamo ai cittadini di Roma che, con il quartiere Ardeatino, si sentono idealmente impegnati in una crociata di sopravvivenza nella vivibilità la cui posta sono valori che interessano tutto il Paese.

E’ una battaglia diversa da quelle che conduciamo per la valorizzazione dei Fori Imperiali con un ponte panoramico su un parco archeologico raddoppiato e per la rivitalizzazione del Foro Italico condannato al degrado, per le quali anche chiamiamo tutti a raccolta. Qui sono messi a rischio valori irrinunciabili da difendere con un’azione collettiva per fronteggiare la minaccia del nuovo “sacco di Roma” che prelude e anticipa il “sacco d’Italia”; perpetrato con miopia o in nome di interessi speculativi contro i quali i cittadini romani e italiani che hanno a cuore la qualità della vita dovrebbero reagire con noi della Rivista a fianco degli abitanti del quartiere Ardeatino.

Si tratta di opporsi ad una prevaricazione irragionevole operando in concreto. Dei mezzi di cui si è parlato nell’assemblea abbiamo dato la sintesi riportando testualmente le richieste del “Comitato di coordinamento Stop I-60”: vanno dalla moratoria immediata alla valutazione di impatto ambientale che non c’è ed è stata richiesta finora invano rispetto alle preesistenze; si è anche evocato il ricorso al Tar contro l’illegittima formula della “compensazione” e altro ancora; soprattutto ora che è stato dichiarato illegittimo il corrispettivo della “compensazione”, cioè la “cessione” di parte delle aree al Comune, rendendo squilibrato il meccanismo residuo.

Non diamo altri particolari, ci uniamo alla battaglia di civiltà chiamando a raccolta le maggiori adesioni possibili da qualsiasi parte. Si può dire “non prevalebunt” o, a seconda delle preferenze e degli orientamenti legittimamente diversi, “no pasaran”. Divisi nelle ideologie, uniti nei valori.

http://rivista.archart.it/003711_roma-i-60-urbanistica-e-territorio-il-caso-ardeatino-parte-i/

http://rivista.archart.it/003713_roma-i-60-urbanistica-e-territorio-il-caso-ardeatino-parte-ii/

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