giovedì 8 aprile 2010

Uscire dalla Seconda Repubblica

Di Paolo Ferrero

La manifestazione del 14 marzo scorso è stata una grande manifestazione popolare che - al di là delle parole d'ordine lanciate dal palco - chiedeva la cacciata di Berlusconi e chiedeva ai partiti che hanno organizzato la manifestazione di costruire da subito una alternativa di governo. Non a caso gli interventi più applauditi sono stati quelli dei candidati a presidenti delle regioni, che rappresentano la possibilità concreta di questo cambiamento. Contro Berlusconi tutti uniti per costruire un'altra storia. Io penso che questa domanda non solo sia comprensibile e giusta, ma sono convinto pure che vada fatta nostra. Non a caso dal palco della manifestazione ho proposto la costruzione di un movimento di massa unitario contro il governo, la costruzione di una primavera referendaria comune sulle questioni del lavoro, dell'acqua, del nucleare e la presentazione unitaria alle prossime elezioni politiche - pur nelle differenze politiche presenti - di tutte le forze che lì erano rappresentate. L'assunzione della domanda politica di mandare a casa Berlusconi e costruire l'alternativa non deve però essere assunta acriticamente. E' una domanda che chiede una elaborazione. Per essere efficace deve essere articolata criticamente. E' infatti la terza volta nel giro di un quindicennio che a sinistra si assiste alla recita dello stesso copione. Quando Berlusconi governa produce una tale quantità di nefandezze e le diversifica su una tale quantità di piani che anche le persone più moderate del centro sinistra tendono a maturare nei suoi confronti sentimenti molto forti di opposizione. Dopodiché, il moderatismo della parte maggioritaria del centrosinistra è tale da non permettere la costruzione di un governo che sia alternativo sul piano delle politiche economiche e sociali e - come abbiamo visto nell'ultimo governo Prodi - nemmeno su quello relativo ai diritti di cittadinanza. La cosa tragica - se non cominciasse a diventare ridicola - è che nel copione della recita, c'è sempre qualcuno che pensa che questa sarà la volta buona e che l'alleanza a cui si darà vita questa volta sarà migliore, con un profilo effettivamente riformatore. La volta scorsa, nel 2006 fummo noi di Rifondazione Comunista ad illuderci che fosse possibile fare un governo di uscita dalle politiche neoliberiste con il centrosinistra allargato a Mastella. Mi pare che dalle parole pronunciate da Vendola in piazza - a tutti gli effetti una autocandidatura alle primarie prossime venture del centrosinistra - sia Sinistra e Libertà a candidarsi addirittura a guidare una coalizione di centrosinistra allargata all'Udc. Nell'attuale quadro istituzionale ci troviamo quindi di fronte ad una situazione in cui l'opposizione al Berlusconismo tende a rafforzare il bipolarismo. Visto che manca ancora qualche tempo alle prossime elezioni, si tratta di affrontare bene la questione in modo da evitare di proseguire in questa danza immobile che tende a riprodurre all'infinito un'alternanza che distrugge ogni ipotesi di alternativa e di cambiamento.Innanzitutto occorre interrogarsi sul modo di costruire l'opposizione. Io penso che senza alcun indugio si debba dare vita a una forza per il cambiamento, la più larga possibile. E che debba essere contro le politiche antidemocratiche così come contro le politiche economiche e sociali del governo Berlusconi e della Confindustria. Per questo abbiamo fatto la mobilitazione unitaria del 14 e per questo abbiamo proposto di costruire un movimento di massa contro il governo. Per costruire un'alternativa abbiamo anche proposto di dar vita ad una campagna referendaria unitaria su acqua, nucleare e lavoro. Costruire un fronte ampio ed efficace quindi per fermare Berlusconi. E qui però sorge un primo problema. Mentre su alcune questioni - penso alle prese di posizione contro il capo del governo - l'opposizione parlamentare è molto netta, su altre è assai meno presente. Penso all'aggressione all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che è passata in parlamento nella sostanziale indifferenza da parte del Pd e dell'Idv. Se su altri temi abbiamo assistito a scontri molto forti, su questo terreno non vi è nemmeno stato un accenno di scontro politico degno di questo nome. Evidentemente ci troviamo di fronte ad un'alternativa parlamentare di tipo liberale. Una gestione della politica cioè, molto attenta alle regole generali e poco attenta alle questioni che riguardano i rapporti di classe. La prima considerazione è quindi che la nostra battaglia deve cercare sì, il massimo di convergenza possibile nel contrastare Berlusconi, ma non deve rimanere prigioniera del profilo sostanzialmente interclassista che l'opposizione tende ad avere, anche quando è molto urlata, come nel caso di Di Pietro.La seconda domanda riguarda la possibilità di costruire effettivamente un profilo riformatore della coalizione di centro sinistra. Penso che si tratti di un problema strutturale. Il centro sinistra è organicamente non autonomo dai poteri forti del Paese. La Confindustria, il sistema bancario, il Vaticano. Sono tutte forze che hanno fra di loro relazioni e connessioni molto forti. Inoltre il centrosinistra - che a differenza della destra non ha un suo sistema attraverso il quale rivolgersi direttamente al Paese - è pesantemente condizionato da mezzi di comunicazione che in modi diversi intervengono a determinarne un profilo moderato. (…)A me pare evidente come l'impossibilità per il centrosinistra di assumere un profilo riformatore vero non risieda nella cattiva volontà di questo o quel dirigente, ma sia una dato sistemico derivante dalla rete di relazioni concrete che costituiscono il centrosinistra. Il centrosinistra non è costituito da un nocciolo riformatore avviluppato in una rete di relazioni moderate. Il centro sinistra è costituito da questa rete di relazioni sin dal suo atto di nascita, che non a caso coincide con la distruzione del Partito Comunista. Se le cose dette sopra hanno un senso è evidente che la giusta battaglia unitaria di opposizione a Berlusconi, nel momento in cui si traduce in alternativa di governo, assuma immediatamente e strutturalmente un profilo moderato, incapace di proporre una alternativa per il Paese. Si tratta allora di proporre uno sbocco politico diverso alle lotte di opposizione al governo Berlusconi. Diverso da quello che abbiamo percorso nel 2006 e che Sinistra e Libertà è ben decisa a ripercorrere, come già era evidente nella discussione congressuale di Rifondazione Comunista.Dal mio punto di vista si tratta di porsi, come problema politico di fase, l'uscita dalla Seconda Repubblica. Ed è questa a prevedere e a portare con sé anche l'uscita dal sistema elettorale bipolare. Lo schieramento contro Berlusconi dentro il quadro dato è quindi solo un lato del problema, l'altro è costituito da una battaglia politica, culturale e sociale di fondo per cambiare il quadro istituzionale in cui avviene il confronto politico oggi. (…) Il bipolarismo costituisce una gabbia che mina strutturalmente la possibilità di costruire un'autonoma presenza dei comunisti, un proprio punto di vista. Superamento del bipolarismo e difesa della democrazia costituiscono quindi elementi centrali del nostro agire politico. (…)Sul piano nazionale dobbiamo partire da un dato di fatto. L'impossibilità di ricostruire coalizioni con il centrosinistra finalizzate al governo del Paese. Solo una modifica profonda dei rapporti di forza tra le classi e tra la sinistra di alternativa e il centrosinistra moderato può rimettere a tema la questione del governo. Per adesso, in questa fase, noi proponiamo al centrosinistra una alleanza elettorale per battere le destre. Per quanto ci riguarda questo può avvenire solo e unicamente con un chiaro accordo sul superamento del bipolarismo. (…)Occorre però interrogarsi se questaproposta costituisca solamente un nostro interesse specifico, particolare, o rappresenti un interesse più generale del Paese. A me pare vera la seconda affermazione. Il bipolarismo ha distorto a dismisura la discussione politica. Dal dibattito pubblico sono di fatto scomparsi i programmi - sostituiti da schemini propagandistici che hanno fatto la fortuna della Lega o da "libroni" illeggibili e, soprattutto, inapplicabili - e ha acquisito centralità perenne l'algebra metafisica delle "alleanze". Il confronto tra i poli tende ad acquisire sempre più i connotati del tifo calcistico - cioè diquello che viene giustamente definito una passione priva di contenuto - dai toni altissimi ma in cui non si capisce quale sia l'oggetto del contendere. Il confronto e la sfida fra i due poli assomiglia pure alla pubblicità dei detersivi in cui il volume di fuoco della macchina propagandistica è inversamente proporzionale alle differenze di formula chimica tra i detersivi medesimi. L'alternanza tra simili, dal punto di vista dei contenuti economico sociali, tende a svuotare quindi il senso profondo delle scelte politiche, e le riduce a uno schema amico - nemico. Schema in cui la radicalità dello scontro è inversamente proporzionale alle differenze, per ciò che riguarda il modello sociale. Il modello di società che i due poli propongono non è così dissimile. Ciò che conta è il tono urlato della tenzone. Non a caso in questo contesto cresce il populismo, che del tifo calcistico ha molte connotazioni. L'appartenenza alla squadra, il mito del capo non sono il corollario di una scelta ma la costituiscono, in una identificazione tanto forte quanto illusoria. In secondo luogo il bipolarismo tende ad imprigionare i "tifosi" in uno schema in cui il dissenso può solo essere espresso attraverso la non partecipazione, proprio come è nel gioco del calcio. Nello schema bipolare è molto difficile il passaggio da un polo all'altro. Difficile che conservatori disgustati dalle politiche berlusconiane votino a sinistra, specie se pensano che il loro voto potrebbe portare al governo comunisti da cui sono radicalmente distanti. La dialettica politica tende quindi a definirsi come una dialettica in cui il dissenso verso il proprio schieramento si presenta come non partecipazione al voto, come passivizzazione. La dialettica politica non si presenta più come scelta tra diversi orientamenti, ma come partecipazione o meno al tifo alla propria squadra. In questo quadro, il punto non è più convincere delle proprie ragioni una opinione pubblica la più varia e indeterminata, ma motivare i propri ad andare a votare.

Liberazione 19/03/2010, pag 1 e 5

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