mercoledì 7 settembre 2011

Cina-Usa, quanto potrà ancora reggere questo equilibrio?

Monete Due economie complementari, ma nessuna alternativa, per ora, al dollaro


Rosario Patalano
Il caldo mese di agosto non porta fortuna agli Stati Uniti. Esattamente come quarant'anni fa la storia stava beffardamente per ripetersi. Il 15 agosto del 1971, il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, annunciava la sospensione della convertibilità del dollaro in oro e la conseguente fine del sistema monetario internazionale, nato a Bretton Woods nel 1944. Così più o meno negli stessi termini, il presidente Barack Obama, se non avesse avuto successo la faticosa intesa tra repubblicani e democratici, avrebbe annunciato il default tecnico degli Usa, aprendo una nuova crisi del sistema monetario internazionale.
Gli effetti di un tale annuncio sarebbero stati drammatici per il sistema monetario internazionale, come quelli di quarant'anni fa. A giusta ragione Paul Krugman ha, senza mezzi termini, definito tale evento "una catastrofe".
Il declassamento conseguente dei titoli di stato Usa (Treasury bond o più brevemente Tbond) avrebbe avuto infatti conseguenze esiziali sul delicato equilibrio che regge attualmente il sistema monetario internazionale, noto come Bretton Woods 2.
Questo delicato equilibrio di Bretton Woods 2 è stato svelato nel 2003 da Michael P. Dooley, David Folkerts-Landau e Peter Garber. Il meccanismo su cui si fonda l'attuale ordine monetario mondiale è alquanto semplice, proviamo a riassumerlo rapidamente.
Bretton Woods 1, il sistema che regolò l'assetto monetario internazionale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al 1971, si articolava in un centro, gli Stati Uniti, chiamato a fornire la moneta di riserva internazionale (il dollaro), che era l'unica direttamente convertibile in oro, e una periferia (l'Europa occidentale e il Giappone). Le divise nazionali dei paesi periferici erano legate al dollaro da cambi fissi generalmente sottovalutati. Questo facilitava, in un contesto generale di controllo di capitali, le esportazioni della periferia verso il centro Usa, che era destinato ad accumulare crescenti deficit commerciali. Questi deficit determinavano a loro volta un continuo flusso di dollari verso i paesi della periferia, che li accumulavano come moneta di riserva internazionale per acquistare poi materie prime sui mercati mondiali e beni e servizi negli stessi Stati Uniti. Si creò così un circuito monetario virtuoso che garantì per oltre un ventennio una crescita economica in condizioni di stabilità monetaria. Tuttavia tale sistema poteva funzionare finché reggeva la fiducia mondiale nella convertibilità aurea della moneta americana. Questa fiducia cominciò ad incrinarsi alla fine degli anni Sessanta, quando gli Usa dovettero arrendersi all'evidenza della sproporzione tra le loro riserve auree (troppo esigue) e la quantità di dollari in circolazione (in continua crescita). Nell'impossibilità di adottare misure di politica economia restrittive furono costretti a sospendere la convertibilità del dollaro. Ne seguirono decenni di instabilità sistemica a cui, secondo i nostri tre economisti, ha posto fine l'ascesa della Cina come potenza commerciale mondiale, il cui ruolo è decisivo per il nuovo assetto di equilibrio delle relazioni monetarie internazionali, chiamato, per analogia con la Belle Epoque postbellica, Bretton Woods 2.
Anche Bretton Woods 2 si articola in un centro, costituito sempre dagli Usa, con il solito ruolo di fornitori della moneta di riserva internazionale (il dollaro) e una periferia, che questa volta non è più costituita dall'Europa occidentale e dal Giappone, ma dai paesi emergenti e dalla Cina. Il loro ruolo di periferia è del tutto analogo a quello del precedente sistema. Le divise dei paesi periferici sono ancorate al dollaro da un cambio fisso sottovalutato, in un contesto istituzionale nazionale caratterizzato da un'accumulazione centralizzata di riserve in dollari, resa possibile da rigide forme di controllo sui movimenti di capitale. Il cambio sottovalutato facilita le esportazioni (soprattutto cinesi). In assenza di una efficiente struttura creditizia nazionale i dollari provenienti dai crescenti surplus commerciali sono investiti negli Stati Uniti e destinati in parte alle istituzioni finanziarie e in parte nell'acquisto di titoli di Stato Tbond. Per incanto i dollari persi attraverso il deficit commerciale ritornano negli Stati Uniti e sono così utilizzati per alimentare il debito privato e pubblico.
Questo circuito virtuoso ha due conseguenze : 1. Il deficit commerciale Usa sostiene il decollo economico dei paesi dell'Est asiatico; 2. Il deficit pubblico Usa diviene sostenibile in quanto il surplus commerciale dei paesi asiatici viene investito in titoli. Ciò contribuisce a sostenere il valore del dollaro (confermando il suo ruolo di moneta di riserva internazionale) e a mantenere basso il tasso d'interesse sui Fed Funds evitando politiche deflazionistiche interne.
Questo meccanismo ha retto senza scosse anche dopo la crisi del 2008, quando molti erano sicuri del suo immediato crollo. Tuttavia l'equilibrio che regge l'ordine monetario internazionale è legato al sottile filo della fiducia, questa volta rivolto alla sostenibilità del debito pubblico USA. Ed è chiaro che qualsiasi dubbio sulla sostenibilità del debito di Washington produce scosse destabilizzanti a Pechino.
Quanto potrà ancora reggere questo equilibrio? Reggerà finché le economie di Cina e Usa saranno perfettamente complementari e finché non esisterà una alternativa al ruolo del dollaro Usa come moneta internazionale. E fino ad ora il dollaro non ha concorrenti temibili. La debolezza dell'Europa, dovuta alla crisi dei debiti sovrani, non facilita certamente il ruolo dell'euro come moneta concorrente del dollaro. In queste condizioni nessuno è disposto a liquidare la massa di riserve in dollari per muoversi verso l'incerto futuro dell'euro. Dietro la crisi del dollaro si intravede solo il nuovo ruolo monetario dell'oro sempre di più apprezzato dal mercato. Per evitare il ritorno a forme di moneta-merce l'unica alternativa sarebbe quella di definire un nuovo ordine mondiale basato su una moneta internazionale emessa dal Fondo Monetario Internazionale. Questa strada è stata già indicata dai cinesi, con la proposta di potenziare il ruolo dei Diritti Speciali di Prelievo (una moneta paniere composta da dollari, euro, yen e sterline). Ma tale soluzione sembra difficilmente percorribile nell'immediato.


Liberazione 03/08/2011, pag 3

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