mercoledì 7 settembre 2011

Mauricio Macri, il Berlusconi argentino verso la vittoria a Buenos Aires

Il personaggio Sicurezza, populismo e xenofobia la sua ricetta di governo


Guido Caldiron
Malgrado abbia già annunciato che non si candiderà alle elezioni di ottobre contro la presidente in carica, Cristina Fernandez Kirchner, Mauricio Macri resta senza alcun dubbio il personaggio più noto e popolare dell'opposizione di centro-destra al governo peronista dell'Argentina. Per il momento si accontenta di guidare la capitale, nonché la città più grande del paese, Buenos Aires, mentre per la Casa Rosada, sembra dire, si vedrà in seguito: «l'impegno che ho preso con questa città esclude che mi candidi per la presidenza» ha spiegato qualche tempo fa nel corso di un'intervista al quotidiano spagnolo El Pais.
Con il 47,1% dei consensi che ha raccolto nel primo turno delle elezioni amministrative del distretto federale di Buenos Aires l'8 luglio, Macrì si presenta in testa al ballottaggio in programma per oggi. Il sindaco uscente ha migliorato di qualche punto la percentuale che lo aveva visto trionfare nel 2007, mentre i suoi rivali, Daniel Filmus, per i peronisti, e il regista Fernando Solanas, per la sinistra, si sono dovuti accontentare rispettivamente 28 e del 13%.
Cinquantadue anni, ingegnere civile, ex presidente, dal 1995 al 2007, del Club Atletico Boca Juniors, una delle due maggiori squadre di calcio cittadine, cresciuto in una famiglia di ricchissimi imprenditori Macri è considerato da molti come l'uomo nuovo della politica argentina, al punto che se oggi, come annunciano tutti i sondaggi, dovesse essere confermato alla guida della capitale argentina, le sue chance nazionali per il futuro sembrerebbero certe. Del resto in Argentina un elettore su otto vive proprio a Buenos Aires.
La storia di Macri, prima ancora che di politica, parla però di denaro e affari. Suo padre, Franco Macri, romano di origini calabresi è sbarcato in Argentina nel 1949 ed ha accumulato nel tempo una tale fortuna da essere considerato come uno degli uomini più potenti del paese: di lui la stampa locale parla come del "piccolo Agnelli argentino" da quando, nel 1982 ha rilevato le fabbriche di auto costruite da Fiat e Peugeot in Argentina. Per non parlare degli affari che le società di famiglia hanno fatto mettendo le mani sulle grandi privatizzazioni avviate negli anni Novanta: dalla distribuzione del gas alle autostrade, dai trasporti ai servizi postali, dagli alimenti, alle assicurazioni, all'informatica, ai cellulari.
Ed è nell'impero economico edificato dal padre che Mauricio Macri ha mosso i suoi primi passi, nel 1991 fu anche sequestrato da una banda di malavitosi collegati a dei poliziotti corrotti: fu liberato dopo due settimane, dopo il pagamento di un riscatto di 6 milioni di dollari. Poi, "la discesa in politica". Nel 2003 fonda il partito Compromiso para el Cambio che fa parte della coalizione conservatrice Propuesta Republicana, che gli argentini chiamano semplicemente Pro, con cui si candida una prima volta, ma senza successo, alla guida di Buenos Aires. Infine, nel 2007, arriva la vittoria che lo proietta immediatamente sulla platea della politica nazionale. Il suo successo ha un significato particolare per i suoi avversari: i peronisti non avevano infatti mai perso la guida del distretto federale.
Macri arriva a quel risultato attraverso un lavoro attento e una campagna d'immagine molto curata. Diventato popolare grazie ai successi del Boca, a pochi giorni dal voto la squadra che presiede da tredici anni vince la Coppa Libertadores, cavalca esplicitamente le paure dei porteni mettendo l'accento sul tema della sicurezza e non risparmia critiche all'establishment peronista. Nel suo mix elettorale tra calcio, ricchezza e antipolitica, sono in molti a cogliere delle analogie con Silvio Berlusconi. «Il Pro è un ponte, siamo un gruppo di persone che non viene dalla politica. Lavorerò per un alternativa, che riequilibri il sistema politico», spiega all'indomani del voto del 2007 lo stesso Macri annunciando il valore nazionale della sfida che ha appena lanciato.
Quanto alle sue scelte da sindaco, Macri, che è attualmente sotto processo per alcune intercettazioni telefoniche illegali gestite da Ciro James, un suo ex collaboratore ai tempi del Boca Juniors, fu subito salutato, nel gennaio del 2008, da scioperi e manifestazioni che portarono decine di migliaia di persone in Plaza de Mayo contro il suo piano di tagli che prevedeva il licenziamento di oltre 2500 dipendenti pubblici. Alternando il rigore alle sortite populiste, Macri è stato anche protagonista lo scorso dicembre dello sgombero manu militari del parco "Indoamericano", un vasto spazio verde della zona sud della città in cui avevano trovato rifugio da tempo migliaia di migranti senza permesso di soggiorno, soprattutto boliviani, paraguaiani e peruviani. In base a un'ordinanza del sindaco, la mattina del 7 dicembre la Polizia metropolitana è intervenuta provocando il caos tra gli immigrati che vivevano accampati lì e nell'intero quartiere. Bilancio, giorni e giorni di scontri, quattro morti e centinaia di feriti. «Siamo tutti coscienti che l'Argentina è esposta a una politica fuori controllo, dove lo Stato non si fa carico del proprio ruolo. Sembra che sia la città di Buenos Aires a doversi far carico dei problemi abitativi dei paesi limitrofi», si è giustificato Macri, replicando anche alle accuse di "xenofobia" che gli arrivavano dalla Casa Rosada.
«Potrebbe essere questo il vero volto del "peligro amarillo"?», il pericolo giallo dal colore che identifica la città di Buenos Aires e che Macri ha utilizzato nella sua campagna elettorale, si è chiesto in un editoriale il quotidiano Pagina 12, spiegando come dalla capitale sià già partita con questo voto la corsa verso le presidenziali del 23 ottobre. Un quesito non certo tranqullizzante per gli argentini.


Liberazione 31/07/2011, pag 6

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