mercoledì 7 settembre 2011

«Contro la crisi le politiche dell’offerta sono inutili»

Paolo Leon economista

Fabio Sebastiani
Non sono pochi a minimizzare i rischi di default degli Usa. Eppure i numeri non sono certo rassicuranti.
Non è così paradossale che il più grande paese del mondo sta correndo i maggiori rischi sull'insolvenza rispetto al debito pubblico non bilanciato. Anche se verrà rialzato comunque la misura è piccola. Poiché il debito americano è quello maggiormente apprezzato dalle agenzie che valutano il rating se questo cala il sarà comunque meglio per i rating degli altri paesi. Il giorno in cui dovesse verificarsi una situazione del genere il governo americano non potrà evitare di effettuare una notevole manovra restrittiva con conseguenze dirette sul prodotto interno lordo, che sarà segnato da una minore crescita. Ma non solo negli Stati uniti d'America, ma in tutto il mondo, Cina compresa che è il maggiore venditore di beni e servizi agi americani. Insomma, gli Usa potrebbero non svolgere più quel compito che stanno assolvendo dalla fine della seconda guerra mondiale, di locomotiva del globo.

Ma una crisi di credibilità degli Usa cosa comporterebbe?
Contemporaneamente bisogna anche pensare che proprio la riduzione del rating sul debito anche se compensato dal miglioramento degli altri paese determina una situazione nella finanza internazionale completamente nuova. Il valore dei titoli si sarà abbassato. Ne scaturiscono diverse conseguenze: la prima è che alcuni venderanno i titoli rapidamente, il che avrà un effetto disastroso sugli Usa; il dollaro avrà una flessione su tutte le altre monete aumentando la schiera degli speculatori che a quel punto cominceranno ad aggredire i beni rifugi e creando problemi all'euro nelle esportazioni. In questo momento l'Europa non ha certo bisogno di un euro forte, che di fatto ostacola la penetrazione delle merci dei paesi del Vecchio continente sui mercati. C'è, infine, il pericolo di una nuova recessione, forse non così forte come in passato.

Queste crisi finanziarie hanno un nome e un cognome. Vogliamo provare a dirne qualcuno...
Si dovevano prevenire i problemi attuali già dal 2008 all'uscita della crisi , attraverso la riforma del mondo finanziario e bancario, ovvero con una sana divisione dei compiti tra banche e società finanziarie. Non l'hanno fatto per tante ragioni. Una in particolare, perché il settore finanziario è diventato il più importante settore economico del mondo. E questo è sicuramente un segnale nuovo. Ci sono tanti soldi in quel mondo che tentare di regolarlo è quasi impossibile. Certo, la finanza ha consentito la straordinaria crescita nei paesi emergenti. Ora però, paradossalmente, non è che i paesi emergenti stanno evitando i rigori della crisi globale. Già adesso i cinesi pur avendo una esportazione forte stanno perdendo il vantaggio di avere il mercato americano a loro disposizione. Per stare dove sta, la Cina ha bisogno di crescere a livelli di prodotto interno lordo piuttosto elevato, non può certo stare ferma.

Questi sconvolgimenti che tipo di modifiche stanno procurando nella divisione internazionale del lavoro e che tipo di misure può prendere l'Italia per mantenere il suo ruolo?
Qualsiasi misura che in questo momento viene pensata a qualsiasi livello non può prescindere dalla considerazione della particolarità della crisi. Tutti pensano a un rilancio della crescita attraverso forme dell'economia dell'offerta, cioè battere la concorrenza internazionale abbassando il costo del lavoro e simili. Questo mezzo non serve perché prima di tutto abbassa la domanda interna. Del resto, non si possono ridurre le tasse perché lo Stato entra in deficit. In una crisi che è anche una crisi di domanda sia pubblica che privata, puoi fare tute le politiche dell'offerta che vuoi ma non andrai da nessuna parte. Quindi, le cure che sono in corso non hanno un fondamento economico sufficientemente forte. In queste condizioni è tutto il mondo, non solo l'Italia.

Si è parlato molto del bisogno di una governance mondiale almeno su alcuni aspetti legati all'economia.
E' fin troppo chiaro che è difficile che possa farcela un singolo stato da solo. Nemmeno gli Stati uniti hanno dimostrato di potercela fare in solitario, mentre l'Europa si è mossa poco e tardi.


Liberazione 30/07/2011, pag 4

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