mercoledì 7 settembre 2011

Le ragioni di una carestia provocata non solo dalla siccità

Africa salta la conferenza dei donatori: politici troppo occupati


Francesca Marretta
La carestia nei paesi del Corno d'Africa che colpisce quasi tredici milioni di persone è una questione non solo climatica, ma anche e soprattutto politica. Lo dimostra il fatto che di fronte a un'emergenza di dimensioni intollerabili nel secondo millennio, i capi di Stato e di governo dell'Unione Africana (Ua) abbiano troppi impegni per rispettare l'appuntamento del 9 agosto, data in cui era previsto un incontro per far fronte alla crisi. Ieri è arrivato l'annuncio sullo slittamento del summit Ua di due settimane.
Ieri la Fao ha annunciato che entro le prossime sei settimane la fame in Somalia, paese maggiormente colpito dalla crisi, potrebbe allargarsi da due a sei regioni. Secondo gli addetti ai lavori la situazione di emergenza non si allevierà entro la fine dell'anno.
Un paio di giorni fa anche il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica dal Kenya, dove si è recato per consegnare un primo carico di aiuti umanitari inviati dall'Italia per far fronte alla carestia africana, ha sottolineato che la fame, in particolare in Somalia, è legata anche a contingenze politiche. Lo ha fatto ricordando che le milizie estremista islamiche somale al-Shebaab controllano buona parte del paese e il 20% di Mogadiscio.
Il sottosegretario ha parlato anche degli «ottimi rapporti» tra l'Italia e il gruppo di Ahlu Sunna Wal Jamaa che combatte gli Shebaab. Purtroppo per i somali, non saranno i buoni uffici della
Farnesina con gruppi sufi che contano 800 miliziani opposti ad altri islamici di fede diversa a risolvere la situazione.
Gli aiuti inviati dal nostro paese sono destinati ai campi profughi che sorgono a Dadaab. In questo sito al confine tra Somalia e Kenya, al più grande campo profughi del mondo si sono aggiunte altre due strutture di accoglienza. In base alle stime dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e Programma alimentare mondiale (Pam), queste contengono al momento da 390mila a 450mila disperati. Quello che Mantica ha mancato di sottolineare nel corso delle dichiarazioni rilasciate durante la missione umanitaria in Africa, è che, secondo dati della Commissione Europea, aggiornati al 26 luglio, l'Italia risulta il quart'ultimo paese donatore dell'Unione, per quanto riguarda la crisi nel Corno d'Africa, dopo Repubblica Ceca, Estonia e Lussemburgo. La Gran Bretagna, che come l'Italia è in prima linea nell'intervento in Libia ha speso per la carestia in Somalia e paesi vicini 31 milioni di euro. Le 40 tonnellate di aiuti alimentari inviati dal nostro paese a nord del Kenya vanno ad aggiungersi a circa 9 milioni di euro impegnati dall'Italia per la carestia nel Corno d'Africa.
A maggio, tre mesi dopo l'inizio dell'intervento internazionale contro Gheddafi, la bolletta divisa dai partecipanti alla campagna era arrivata a circa un miliardo di dollari. Siamo ad agosto e la mission impossible continua. Procedere dunque addizionando e non sottraendo. Le agenzie umanitarie che intervengono nel Corno d'Africa fanno sapere che far fronte all'emergenza fame mancano ancora 252 milioni di dollari, su 767 richiesti.
La siccità che colpisce l'Africa sub-sahariana esiste. Ma che il problema sia politico è più che evidente. Siamo o no nel 2011? Sulla luna siamo arrivati oltre quarant'anni fa. Negli anni '80, Bob Geldof, oggi "Sir", ha organizzato il Live Aid per far fronte alla fame in Etiopia. Ma rieccoci punto e accapo. Gli addetti ai lavori hanno definito la carestia che colpisce il Corno d'Africa la peggiore crisi che la Regione affronta da sessant'anni. Oggi va dunque peggio di quando Bono Vox, Sting e alter pop-star cantavano per beneficenza: "Do they know is Christmas time at all". Ora occorre affrontare l'emergenza. Ma sarà poi il caso di interrogarsi sul come e perché si sia arrivati, ancora una volta, a una crisi del genere. Finché non si garantirà ai poveri dell'Africa uno sviluppo sostenibile, questi saranno costretti a disboscare il continente per necessità. Cosa che provoca siccità. Gli aiuti internazionali passano per governi spesso corrotti. Quello che sta accadendo indica che il sistema dello sviluppo internazionale va riformato. Il fallimento è evidente.
Secondo le Nazioni Unite la crisi colpisce Somalia, Kenia, Etiopia e Gibuti. La situazione di maggiore gravità si registra in cinque regioni somale. La Fao (Agenzia Onu Alimentazione e Agricoltura) ha appena reso noto che l'Uganda potrebbe seguire a ruota nella lista dei paesi afflitti dalla carestia, che già colpisce tredici milioni di persone.
In Somalia la carestia si somma ad una instabilità cronica che permane dal 1991, anno della caduta del regime di Siad Barre. La sola parentesi recente di relativa calma nel paese, durata sei mesi, risale al periodo dell'istaurazione del governo delle Corti islamiche nel 2006. Con l'appoggio degli Usa, l'Etiopia è intervenuta militarmente in Somalia al fine di arginare il pericolo islamista. Oggi i moderati che facevano parte delle Corti islamiche siedono nel governo mantenuto dall'Onu a Mogadiscio, mentre gli Shebaab, miliziani estremista wahabiti sollevatasi in armi, controllano larga parte della Somalia e diverse zone della capitale Mogadiscio. Durante il regime delle Corti gli islamici moderati tenevano almeno a bada i gruppi più estremisti. Dalla dipartita delle truppe di Addis Abeba gli Shebaab si sono rafforzati, vantano legami con al-Qaeda, in particolare con la branca dello Yemen, altro paese che si colloca ai primi posti nella classifica dei "failed-states", il cui primato resta della Somalia. Gli Shebaab condizionano oggi la distribuzione degli aiuti alla popolazione somala, sia per il rischio posto al personale umanitario, che per interventi diretti ad impedire la fuga della popolazione. Secondo il New York Times i miliziani wahabiti tengono imprigionati migliaia di civili che tentavano la fuga in un campo allestito a 40 chilometri da Mogadiscio. Lo raccontano quei somali che hanno trovato salvezza in campi di accoglienza di paesi vicini. E che aspettano le nostre briciole.


Liberazione 05/08/2011, pag 6

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