mercoledì 7 settembre 2011

Un nuovo Ghandi per liberare l'India dai politici corrotti

Anna Hazare ancora in carcere, cortei in tutto il paese per sostenerlo

Matteo Alviti
Nelle foto che lo ritraggono Anna Hazare ha il viso sereno e fermo che ci si aspetterebbe da un gandhiano doc. Da martedì questo "predicatore" indiano di 74 anni, che negli ultimi mesi nel suo paese è diventato popolare come un divo di Bollywood, è in prigione.
Lo ha arrestato la polizia, insieme ad altri 1200 suoi sostenitori, su ordine del governo del premier Manmohan Singh nel JP Park della capitale indiana. Ieri per la sua liberazione decine di migliaia di persone hanno manifestato per le strade di Nuova Delhi e di tante altre città di tutto il paese.
Martedì Anna Hazare aveva iniziato a digiunare, se necessario fino alla morte, per combattere contro la corruzione che ormai dilaga nel suo paese. Per l'attivista gandhiano non era sufficiente la legge in materia che aveva varato recentemente il governo. E il suo gesto aveva trovato il sostegno di decine di migliaia di persone in tutto il paese, esasperate dalla situazione. «E' tempo di agire o di morire, come per la nostra battaglia per l'indipendenza», aveva detto Hazare alla stampa qualche giorno prima da Ralegan Siddhi, nello stato occidentale di Maharashtra, dove è nato e da dove dirigeva il suo movimento di protesta.
Martedì stesso, poco dopo l'arresto, la polizia aveva avuto l'ordine di rilasciare Hazare. Che invece ha deciso di rimanere nel carcere Tihar di Nuova Delhi, dove sta proseguendo il suo sciopero della fame sostenuto da migliaia di persone, che fuori dalla prigione cantano slogan anti-corruzione. Hazare ha detto che non lascerà il carcere finché non gli sarà permesso di riprendere la protesta nei tempi e nei modi da lui stabiliti. Ieri sera Hazare stava ancora trattando con la polizia per il luogo, il numero massimo di partecipanti e la durata delle proteste, che il gandhiano non vorrebbe inferiore a trenta giorni. Sarebbe un vero e proprio assedio per il governo Singh.
La sua fermezza ha del resto già scatenato una reazione a catena che si è propagata in buona parte del paese: a Delhi, come detto, dove secondo i media ieri c'è stata una delle manifestazioni più partecipate degli ultimi anni, e poi a Mumbai, Chandigarh, Hyderabad, Bangalore, Ahmedabad, Amritsar, Bhubaneshwar e nello stato nord-orientale di Assam. Anche alcuni avvocati della Corte suprema hanno annunciato di voler prendere parte alle proteste e gli autisti di risciò sono entrati in sciopero.
Quel che manca ad Hazare sono però sostenitori nella maggioranza parlamentare che appoggia il premier Singh, che ancora oggi critica pesantemente l'atteggiamento del predicatore. Per il primo ministro indiano lo sciopero della fame è «totalmente fuori luogo», un tentativo di raggirare la democrazia. Per parte sua il governo nega di aver messo il bavaglio al movimento di protesta, e dice di aver interrotto la manifestazione solo perché i seguaci del predicatore gandhiano non avevano voluto accettare le restrizioni imposte dalla polizia sul numero di partecipanti e sulla durata del digiuno.
Critiche anche dal partito del Congresso, che invece qualcosa da farsi perdonare l'avrebbe: nei mesi scorsi la maggioranza è stata coinvolta sempre più spesso in gravi scandali legati alla corruzione. Hazare, però, può contare perlomeno sul sostegno dell'opposizione, che ieri ha interrotto più volte l'intervento del premier in parlamento.
E' improbabile che le manifestazioni di oggi si trasformino in una protesta simile a quelle che hanno animato la primavera araba. Del resto gli indiani hanno sempre potuto mandare a casa i governo con il voto - nonostante dal 1974 nel paese abbia governato una dinastia familiare. E così faranno probabilmente nelle prossime elezioni del 2014, come dimostrano le più recenti indicazioni di voto pubblicate dall'India Today, favorevoli al principale partito d'opposizione.
Del resto l'attuale protesta potrebbe paralizzare ancora di più la già inefficace attività riformatrice del governo Singh, fiaccato da numerosi scandali. "Il governo non sa veramente cosa fare", ha detto alla Reuters Kuldip Nayar, un analista politico indiano: "Non si rendono conto di quanto sia profondo e diffuso sia il risentimento popolare nei suoi confronti".
Nonostante da tempo ormai il pil indiano cresca ogni anno di una percentuale a due cifre, la povertà nel paese - la terza potenza economica dell'Asia - è ancora drammaticamente diffusa: un indiano su cinque che soffre la fame e la metà della popolazione di 1,2 miliardi di persone è sotto la soglia di povertà. Questa situazione, unita alla sofferenza della classe media emergente, che non ha ancora trovato uno spazio adeguato nella "nuova" India, crea una miscela molto pericolosa per il governo.


Liberazione 18/08/2011, pag 5

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