mercoledì 7 settembre 2011

«Il potere dei militari è già in declino»

Lea Nocera Docente dell'Orientale, autrice di "La Turchia contemporanea"

Guido Caldiron
Prima le dimissioni, in polemica con il governo, dei vertici di marina, aviazione ed esercito dal Consiglio supremo della difesa turco. Poi, la nomina da parte del premier Recep Tayyip Erdogan, di un suo uomo di fiducia, il generale Necdet Ozel, già comandante della gendarmeria, come capo di Stato maggiore delle Forze Armate. Si è chiuso così l'ennesimo braccio di ferro tra le autorità politiche e militari di Ankara. Tutto era cominciato con l'intenzone dei vertici militari di promuovere alcuni ufficiali attualmente in carcere perché implicati nel 2003 in un piano per un presunto colpo di stato che avrebbe dovuto rovescare proprio il governo dell'Akp, il Partito per la Giustizia e il Benessere, una sorta di Dc islamica, di Erdogan che alcuni considerano come una minaccia per l'identità laica del paese. Secondo alcuni politologi turchi quanto accaduto nei giorni scorsi segna un'ulteriore affermazione del potere politico democratico nei confronti dei militari che hanno retto per decenni le sorti del paese in seguito a ripetuti colpi di Stato.
Abbiamo cercato di capire cosa stia realmente accadendo ad Ankara rivolgendo alcune domande a Lea Nocera, docente di Lingua e Letteratura turca all'Università Orientale di Napoli che segue da anni la situazione della Turchia, con particolare attenzione alle dinamiche sociali, culturali, di genere e al fenomeno migratorio turco in Europa, e a cui ha dedicato recentemente il volume La Turchia contemporanea. Dalla repubblica kemalista al governo dell'AKP, pubblicato da Carocci (pp. 160, euro 12,50).

Gli eventi di questi giorni segnano davvero, come dicono alcuni osservatori, la vittoria definitiva del potere politico sui militari, che sono stati per molti anni "i padroni" della società turca?
In realtà il declino del ruolo esercitato dai militari nella vita politica turca è iniziato da tempo e si può cogliere sia nell'approvazione di una serie di riforme giuridiche volute dal governo che hanno cominciato a limitare il peso delle forze armate nel paese, sia dall'apertura di una serie di processi per scandali economici in cui erano coinvolti alcuni dei vertici dell'esercito. Al di là del giudizio dei media, in Turchia tutto sembra però avvenire più attraverso lenti passi progressivi che per fratture nette. Così anche le nuove nomine fatte ora da Erdogan per i vertici delle forze armate hanno il sapore del compromesso e della mediazione tra il potere civile e quello militare. E' questa, del resto, la maggiore caratteristica del partito di Erdogan: ci si trova di fronte ad avvenimenti in qualche modo spettacolari che sembrano sul punto di minacciare ogni equilibrio, e poi invece si apre la strada a un compromesso che però segna sempre dei punti a favore della linea voluta dal premier.

Quindi, al di là dello scontro di questi gorni, Erdogan lavora per una soluzione più a lungo termine della questione "militare"?
Il governo sta pensando da tempo a una riforma in senso professionale dell'esercito che prevede una forte riduzione della leva obbligatoria e lo sviluppo di corpi scelti formati da volontari. Inoltre c'è un progetto che riguarda la modifica delle "regioni militari", vale a dire l'organizzazione delle truppe sul territorio che fa seguito alla ridefinizione della geopolitica turca, sempre meno preoccupata del fronte mediterraneo e dell'Egeo e sempre più attenta a cosa avviene ad Est del paese. Perciò il controllo del Consiglio supremo della difesa, il vero oggetto delle scontro di questi ultimi giorni, non significa soltanto assicurarsi dei vertici militari "fedeli", ma anche favorire la crescita di una nuova leva di ufficiali più favorevoli di quelli di un tempo alla specializzazione e alla professionalizzazione delle Forze Armate.

Ma la vittoria dell'Akp sui militari può essere presentata come un passo verso la ulteriore democratizzazione del paese?
Credo che le cose siano un po' più complesse. Mi spiego. E' chiaro che vedere indebolito il ruolo dei militari in un paese in cui la loro è stata a lungo una presenza davvero ingombrante, non può che apparire positivo. Il problema è che però il partito di Erdogan, malgrado abbia in occasione delle elezioni politiche di giugno raccolto ancora più voti che in passato, sta attraversando una fase critica il cui epilogo non è ancora chiaro. L'Akp sta sì cercando di limitare il ruolo dei militari, ma contemporaneamente riduce anche il peso dei contropoteri che limitano in democrazia il ruolo del governo. Erdogan cerca di mettere le mani su tutti i posti di potere più importanti, all'interno, si tratti dell'Università piuttosto che della Giustizia, mentre, all'estero, cerca di ritagliarsi un nuovo ruolo nei confronti del Medioriente e di Israele, senza aver però mai risolto la questione curda. Difficile perciò al momento capire dove condurrà tutto questo.


Liberazione 06/08/2011, pag 7

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