mercoledì 7 settembre 2011

"Responsabilità" e "rigore": per una parte sola

Bruno Steri
Di questi tempi, nell'ora della "responsabilità" e del "rigore", la lettura dei principali giornali italiani produce l'effetto di un'esperienza limite: un'esperienza ai limiti della logica e del senso di realtà. Ciò vale, tuttavia, per chi ritenga che logica e realtà disponibili non siano solo quelle del comando capitalistico.
Purtroppo, non sembra valere per tutti gli altri: così, la responsabilità e il rigore di questo mondo capovolto mantengono tutta l'apparente forza dell'oggettività. Oggi, tale forza è rappresentata dal vincolo della Banca centrale europea, autorevolmente concretizzatosi nella missiva a firme congiunte dell'attuale presidente Jean Claude Trichet e di quello futuro Mario Draghi. L'Italia col suo debito pubblico - per dimensione percentuale, quarto del pianeta - è nel mirino delle incursioni speculative dei "mercati" ed è in odore di fallimento. La Bce è disposta a farsi carico del problema, interviene acquistando titoli pubblici del Bel Paese (oltre che spagnoli) riducendo il divario tra il rendimento di questi ultimi e quello dei bund tedeschi e, in questo modo, scongiurando il pericolo di un ulteriore insostenibile aggravamento degli interessi sul debito nostrano (e iberico). In cambio, però esige ulteriore rigore: segnatamente, chiede all'Italia di anticipare di un anno - dal 2014 al 2013 - il raggiungimento del pareggio di bilancio. Non è chiaro se la suddetta lettera si sia limitata a indicare l'entità della manovra necessaria o se si sia spinta a specificare di quali provvedimenti essa debba consistere: non è chiaro, cioè, a quale grado di commissariamento esterno la vita democratica del nostro Paese debba assoggettarsi. Ciò che importa è la bontà dell'obiettivo. Cosa c'è di più virtuoso - in una famiglia, in uno stato - dei conti in ordine? In particolare, quando ad essere in questione è, drammaticamente, la salvezza stessa di questa famiglia, di questo stato? In tale contesto non può mancare il buon senso del buon padre di famiglia, nonché quello della principale carica dello stato medesimo, a predicare unità di intenti e concordia nazionale. La ricreazione (del governo e dell'opposizione) è finita e «qualcosa è cambiato per sempre» - nota su Il Sole 24 Ore il lucido Stefano Folli - aggiungendo a scanso di equivoci che, appunto, «il vincolo della Bce vale per la maggioranza, ma anche per l'opposizione».
La logica appare stringente: in realtà, contiene un intollerabile imbroglio ai danni dei soliti noti. Per carità di patria, non vogliamo qui discutere il discutibilissimo assioma del pareggio di bilancio: un assioma ammazza-popoli nient'affatto neutro, che d'incanto fa fuori qualsiasi ipotesi di deficit spending.
Stiamo al punto della speculazione. Da tale logica sono stati puntualmente espunti alcuni interrogativi cruciali. Chi ha detto che, per sconfiggere la speculazione, l'unica via sia quella di dissanguare la gran parte di popolazioni già abbondantemente dissanguate? Perché invece non si è provveduto per tempo, ad esempio, a vietare la vendita di titoli allo scoperto, a porre vincoli al mercato dei derivati, in particolare vietando quello dei cds, a sospendere la valutazione delle agenzie di rating nei confronti dei debiti sovrani, a controllare i movimenti di capitale e a tassare le transazioni finanziarie? Si tratterebbe di misure non certo bolsceviche, ma compatibili con un capitalismo ancora capace di egemonia (come quello di recente auspicato sul quotidiano padronale da un liberale autentico quale è Guido Rossi). Ma, evidentemente, nonostante tutte le dichiarazioni sin qui rilasciate, a dettar legge è il dogma del "libero mercato" oltre che la logica dei rapporti di forza (la forza politica ed economica acquisita dai centri di potere dell'odierno "capitalismo da casinò").
Siamo dunque all'epilogo di un duro confronto di classe. La sequela di misure ventilate per mettere insieme i 20 miliardi di euro necessari per abbassare all'1% entro il 2012 il rapporto deficit/pil (ma non si esclude un ulteriore aggravio di 8-10 miliardi, che farebbe salire il computo complessivo della manovra da 48 a 60 miliardi) è a dir poco raccapricciante. Tra le ipotesi al vaglio, si va dal taglio dell'assistenza (pensioni di invalidità, assegni per la maternità) al taglio delle agevolazioni fiscali (una "riforma del fisco" alla rovescia), dalla sospensione (o definitiva liquidazione) delle pensioni di anzianità al rincaro di un punto dell'Iva (su questo si esita non perché si mediti sull'iniquità dell'imposizione indiretta, ma per timore di un incremento dell'inflazione), dalla liberalizzazione delle utilities alla privatizzazione di quote ulteriori di partecipazione pubblica in grandi aziende (su cui, a quanto pare, vi è un accordo bipartisan). Per non parlare degli interventi sulla Costituzione: articolo 41 (briglia sciolta all' "iniziativa economica privata") e articolo 81 (costituzionalizzazione del pareggio di bilancio).
Dopo l'incontro di ieri con le parti sociali, oggi è in programma l'audizione del ministro dell'Economia con le competenti commissioni di Camera e Senato: sapremo quindi qualcosa di più preciso, anche se possiamo immaginare che non cambierà il segno antipopolare della manovra. Rifondazione Comunista e la Federazione della Sinistra hanno le loro contro-proposte da discutere insieme con tutti quelli che hanno intenzione di non subire un simile diktat e si preparano ad un autunno assai caldo. La posta in gioco è la risposta alla domanda: Chi paga?


Liberazione 11/08/2011, pag 1 e 3

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