mercoledì 7 settembre 2011

Un altro "passo avanti" verso un'Europa classista


Bruno Steri
Con la conferenza stampa di Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, l'Unione Europea si è autorevolmente presentata attraverso la voce dei suoi due Stati guida. Dal punto di vista delle gerarchie politiche di fatto operanti, non si tratta certo di una novità; ma non vi è dubbio che l'evento (trasmesso in diretta sui canali televisivi del continente) abbia avuto, al di là dei contenuti espressi, un significativo impatto simbolico: in primo piano non la Commissione, non il Consiglio, ma i leader di Germania e Francia. Si è parlato di "passo in avanti" sulla strada del consolidamento di questa Europa. Sta di fatto che un tale passo emana dalle direttive concordate dai vertici politici di due Paesi: a tutti gli altri non resta che prendere o lasciare.
In proposito, si pongono immediatamente due questioni. La prima, procedurale: qual è la fonte della legittimità democratica di tale supposto "passo in avanti"? La seconda, di merito: ma è davvero "passo in avanti"? Alla prima domanda c'è chi ha provato a rispondere dislocando la risposta sul piano rarefatto della Storia (vedi Fabrizio Galimberti su il Sole 24 ore di ieri). Perché la faccenda non abbia lo sgradevole sapore dell'imposizione, bisognerebbe considerare il contesto eccezionale in cui ha preso piede. L'Ue è infatti un "laboratorio" che ha dovuto e ancora continua a dover fare i conti con il sussistere di diverse aree di sovranità, un "esperimento unico nella Storia" (una sola moneta per diversi Stati e diverse politiche di bilancio) che gradualmente - come il travaglio di un parto - dovrà condurre a una nuova e comune governance.
Nel nome di tale obiettivo, si tratterebbe dunque di far temporaneamente buon viso a cattiva sorte. Purtroppo una tale descrizione vola talmente in alto da perdere i connotati concreti di quel che sta avvenendo. E quel che sta avvenendo è l'estremo contraccolpo di un progetto europeo che, sin dall'inizio, è viziato sotto il profilo delle garanzie democratiche (tant'è che proprio lo Stato più forte, la Germania, pone oggi esplicitamente il problema di un suo "controllo" diretto delle decisioni da assumere in sede continentale) e, sin dall'inizio, non è affatto neutro sul piano sociale.
Qual è il merito delle proposte avanzate? I più ottimisti hanno sottolineato l'impegno a superare le attuali lentezze e frammentazioni procedurali attraverso il varo di un "governo economico" comune: un establishment costituito dai capi di Stato e di governo con una presidenza stabile, da riunirsi due volte l'anno con compiti di vigilanza e coordinamento interstatuale.
Così come è stata salutata positivamente (ma non da tutti gli ambienti politici continentali e non da parte dei mercati) la proposta di una tassazione delle transazioni finanziarie (su quest'ultima, posto che siano superate le resistenze politiche, ricordiamo di passaggio che tutto dipenderà dalla consistenza della tassazione: se non si trattasse semplicemente di far cassa ma di porre realmente un freno ai flussi speculativi, occorrerebbe che la tassazione andasse ben oltre il ventilato 0,05% sugli scambi effettuati).
Tuttavia, il cuore del pacchetto di proposte è altrove ed è in linea con il carattere regressivo, ferocemente classista, di questa Unione: del resto, non è un caso che i promotori appartengano ai ranghi della destra europea e che essi non abbiano perso l'occasione per giudicare con favore la manovra "lacrime e sangue" di un governo di destra come quello italiano. Il dogma ideologico del pareggio di bilancio è il sigillo imposto alla mediazione franco-tedesca, tradotto in "regola aurea" da inserire nelle Costituzioni dei 17 Paesi della zona euro.
La strada è dunque tracciata: ciò significa che, in punta di principio, il "rigore" delle politiche economiche deve coincidere con il contenimento dei costi e il taglio del welfare. Questo è l'input che arriva dall'Europa. E cala il sipario sulla prospettiva di un'Europa promotrice di politiche espansive, di piani di sviluppo all'insegna dell'equità sociale, dell'innovazione produttiva, della tutela ambientale.
Il dominus tedesco ottiene di rinviare alle calende greche ogni decisione sulla ragionevole ipotesi di emettere euro-obbligazioni (i cosiddetti eurobond) in grado di coprire, con la garanzia dei Paesi più solidi e quindi a tassi di interesse accettabili, l'esposizione debitoria dell'Eurozona. Tutto al contrario, si propone che ai Paesi che non rispettino il piano di riequilibrio del deficit pubblico sia negato l'accesso ai Fondi di coesione e ai Fondi strutturali, a quelle risorse attivate precisamente per sostenere le regioni europee in difficoltà. Come dire: chi ha già l'acqua alla gola sia spinto definitivamente sott'acqua.
Un concetto significativo è comparso nel ragionamento della signora Merkel: rendere permanente quel che è stato sin qui rapsodico e dettato dall'emergenza. Disgraziatamente, tale formulazione era riferita a misure quali quelle messe in mostra dalla manovra italiana. Che è tutto dire.


Liberazione 19/08/2011, pag 1 e 2

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