giovedì 4 novembre 2010

Un altro segnale di speranza dal Sudamerica

Fabio Amato
L'annunciata vittoria di Dilma Roussef è una bella notizia, di cui siamo felici. I sondaggi e tutti i pronostici non davano dubbi sulla riconferma del PT e della sua candidata alla Presidenza del Brasile. Ma come sappiamo bene in Italia, non sempre i sondaggi prevedono tutto, anche se a dare sicurezza sull' annunciata affermazione petista c'erano gli otto anni di governo Lula. Otto anni in cui pur tra mille e più contraddizioni, mediazioni e finanche scandali che hanno travolto il Partito dei Lavoratori, il Brasile ha iniziato un cambiamento. Dopo il Presidente operaio e sindacalista (vero, non come da noi inventato dal marketing ), è la volta di una donna, già guerrigliera marxista, prigioniera della dittatura, laica e in prima fila nelle battaglie per i diritti civili. Il ben più noto Serra subisce così la sua seconda sconfitta e con lui il Partito Socialdemocratico. La scelta del popolo brasiliano non ha la sua ragione nel carisma di un singolo, o di una singola, ma sulla scommessa di continuare il cambiamento, appena iniziato, ed anche, per varie ragioni, limitato. Un cambiamento nella direzione di un'alternativa al modello neoliberista che aveva messo in ginocchio il Brasile. Giustamente Leonardo Boff, padre della teologia della Liberazione, che si era speso in un appello al voto verso i più critici o delusi, esorta ora Dilma a portare avanti quelle promesse di riforme sociali che sono state fino ad oggi solamente annunciate o praticate dentro i limiti di una rigorosa politica macroeconomica e di compromessi parlamentari. Boff definisce la stagione di Lula come una transizione , con elementi di continuità, ma significativi e storici elementi di rottura con il passato e novità. Ed è su questi che si basa il grande successo di Lula, di Dilma e della coalizione che la sostiene, fra cui il Partito Comunista del Brasile.
La novità di sottrarre milioni di donne e uomini alla povertà. Qualcosa che non era mai accaduto prima. E'infatti dagli stati più poveri che continua ad arrivare tanta parte del sostegno alla base della vittoria di ieri. La povertà si è ridotta in Brasile, attraverso programmi come borsa famiglia o fame zero. Ma tante rimangono le disuguaglianze e le contraddizioni di questo enorme paese. La crisi ora impone ora di scegliere una più netta politica in direzione della costruzione di un vero e proprio stato sociale. Dilma dovrà conquistare con l'azione del governo quel credito che Lula aveva ereditato da anni di battaglie sociali e di opposizione. Il sostegno da parte dei movimenti sociali, da organizzazioni come i sem terra, dipenderà dall'attuazione o meno di riforme come quella agraria indispensabili per iniziare una fase di cambiamenti strutturali, non solo di politiche redistributive, che aggrediscano quei fattori stabili di produzione di enormi disuguaglianze sociali. Per far questo dovrà lasciar perdere il fondo monetario internazionale e i suoi disastrosi consigli e marciare nella costruzione di un Brasile in grado di crescere abbattendo le sue disuguaglianze, combattendo la povertà, aumentando i diritti sociali come quelli civili, tutelando le sue ricchezze ambientali. Questa vittoria ha anche risvolti sul piano internazionale.
Il Brasile infatti è stato un punto di riferimento nella rinascita dell'america latina. E' un paese chiave per la sua economia e per i processi di integrazione. Con questa vittoria si colpiscono i reazionari che in tutta la regione, sostenuti come sempre dal vicino del Nord, tramano per rovesciare questi processi, con tutti i mezzi possibili, come tentato anche recentemente in Ecuador con il colpo di stato fallito. Continuare ad avere un Brasile governato da una forza progressista è un importante elemento che rafforza la primavera latinoamericana e la sua strada verso l'integrazione, l'indipendenza politica, la giustizia sociale. L'altro è sul piano mondiale, nella ridefinizione, attraverso il Bric, dei poteri geopolitici globali. Ultimo, ma non meno importante, questa vittoria è un segnale di speranza per noi che viviamo in un'Europa ubriaca di monetarismo, malata di terza via, e prigioniera delle sue pulsioni reazionarie. Può esistere una via d'uscita a sinistra dalla crisi. Dalla parte dell'umanità e contro il neoliberismo.

Liberazione 02/11/2010, pag 4

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