giovedì 18 novembre 2010

Scintille a Bruxelles: Irlanda e Portogallo sull'orlo del baratro

Il presidente permanente Van Rompuy lancia l'allarme: a rischio l'Unione

Matteo Alviti
Berlino
Scintille a Bruxelles. Il vertice dei ministri dell'economia e delle finanze dei paesi della zona euro si è riunito ieri pomeriggio nella "capitale europea" sotto la guida di Jean-Claude Juncker per decidere, tra le altre cose, degli aiuti alle finanze irlandesi, che si avvicinano con una discreta velocità al collasso. La situazione è seria, il clima teso. In gioco, sono le parole del presidente dell'Unione europea van Rompuy, c'è la sopravvivenza dell'euro e della stessa Unione europea. E se van Rompuy si dice comunque fiducioso, gli ostacoli sono molti.
Come per la Grecia, l'Europa non può permettersi uno scivolone dell'Irlanda, che contagerebbe Portogallo, Spagna e atri grandi paesi europei - Italia in primis, che ha il dedito pubblico più grande d'Europa, al 119,1% nel secondo trimestre 2010. Ma il governo irlandese, che deve proteggere una maggioranza parlamentare interna risicata, per ora rifiuta l'idea di ricorrere agli aiuti, sostenendo che la crisi è limitata alle banche e controllabile. «Servono soluzioni credibili per stabilizzare la fiducia dei mercati nell'Irlanda», ha detto ieri pomeriggio in parlamento il premier Cowen, non prestiti europei. Dublino non cercherebbe aiuti per le finanze pubbliche, ma solo per il settore bancario.
Secondo gli esperti l'Irlanda avrebbe bisogno di circa 70-80 miliardi di euro. I presupposti per attingere al fondo provvisorio di stabilità finanziaria, costituito lo scorso maggio in seguito alla crisi greca, sarebbero l'impossibilità di trovare liquidità sul mercato internazionale del credito e, naturalmente, una richiesta ufficiale di aiuto. Entrambe le condizioni attualmente non sono soddisfatte. Primo perché Dublino può contare su liquidità fino ad almeno metà del 2011. Secondo perché, come ricordato sopra, per ora il governo irlandese resiste all'idea di abbandonarsi alle cure che le prescriverebbero l'Europa e il Fondo monetario internazionale per risollevarsi dalla crisi. Un atteggiamento inaccettabile per i futuri creditori europei, che in caso di aiuti sicuramente pretenderebbero l'innalzamento della flat-tax per le imprese, oggi al 12,5%, che tanta ricchezza ha portato in Irlanda - facendo concorrenza sleale agli altri paesi, dicono alcuni.
E intanto il tempo passa, sui mercati i tassi applicati ai titoli di stato crescono, e il deficit dell'ormai ex "tigre celtica" è arrivato a toccare il 32%, più di dieci volte il limite consentito dal patto di stabilità. Per salvare le sue banche indebitate, tra cui quella in peggiori acque è l'Anglo Irish Bank, Dublino dovrà garantire crediti per 350 miliardi di euro.
Secondo il Financial Times Deutschland sarebbero oggi soprattutto la Bce - che sostiene il mercato del credito delle banche irlandesi per più del 10% - e gli stati più piccoli a spingere per un rapido intervento europeo, mentre i paesi più grandi, tra cui la Germania, per ora tirerebbero ancora il freno. Questo nonostante le banche tedesche siano tra le più esposte in Irlanda, per una cifra superiore ai 138 miliardi di dollari. Ieri, come per smorzare l'allarmismo delle parole di van Rompuy, il commissario europeo agli affari economici Olli Rehn ha reso noto che al momento l'esecutivo Ue è impegnato con la Bce e il Fmi per «risolvere il problema del settore bancario irlandese». E «non è in gioco la sopravvivenza dell'euro».
Proprio la Germania è stata criticata di nuovo lunedì da Grecia e Irlanda per aver proposto la partecipazione dei privati al fondo di stabilità, che dal 2013 sostituirà il fondo provvisorio istituito in occasione della crisi greca. Un rischio in più per gli stati in difficoltà, sostiene il premier greco Papandreou, che con questa alzata di testa ha provocato ieri la reazione del ministro delle finanze tedesco Schäuble, per cui la «solidarietà non è una strada a senso unico. Lo si dovrebbe ricordare anche in Grecia».
A questa situazione precaria ieri si è aggiunto anche il mancato accordo tra consiglio e parlamento europeo sul bilancio comunitario per il 2011, che, a detta del commissario al bilancio Lewandowsky, inciderà negativamente sulla crescita. Con 24 stati su 27 sopra il limite di deficit al 3% fissato dal patto di stabilità, ieri l'euro, nonostante le forti pressioni, ha retto tutto sommato bene, chiudendo in ribasso ma sopra l‘1,356 sul dollaro - il valore più basso dallo scorso settembre. Oggi ai ministri dell'eurozona si uniranno gli altri 11 ministri delle finanze della Ue per un meeting a 27. E la questione irlandese sarà ancora sul tavolo.

Liberazione 17/11/2010, pag 6

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