giovedì 18 novembre 2010

Quando la Cia mise in salvo i carnefici della Shoah

Il "New York Times" riesuma un rapporto di 600 pagine in cui emergono gli aiuti forniti ai nazisti dopo la caduta del Reich

Matteo Alviti
Più che una rivelazione, una conferma. La Cia e il Dipartimento di giustizia statunitensi si impegnarono attivamente nella copertura di alcuni nazisti fuggiti dall'Europa nel secondo dopoguerra. Lo dimostrano numerose prove raccolte in un rapporto di 600 pagine finito, dopo quattro anni di insabbiamenti, nella redazione del New York Times.
Il lavoro, frutto in primis dell'impegno di Mark Richard, avvocato del Dipartimento di giustizia scomparso da un anno e mezzo, mette in luce come l'intelligence statunitense abbia contribuito a creare un «porto sicuro» negli Usa per alcuni uomini di Hitler. E racconta di decenni di contrasti tra stati, spesso tenuti nascosti all'opinione pubblica, sul destino di quei criminali.
Tutto è iniziato nel 1999, quando Richard ha convinto l'allora ministro della giustizia del presidente Clinton, Janet Reno, a iniziare un'indagine sull'operato della Cia e dell'Ufficio per le investigazioni speciali (Osi). L'Osi, pezzo del Dipartimento di giustizia oggi fuso in un altra agenzia, era stato creato nel 1979 con il compito di deportare i nazisti. In Germania, non negli Stati Uniti.
E se effettivamente l'Osi dalla sua creazione ha bloccato l'ingresso, deportato o tolto la cittadinanza statunitense a più di 300 criminali nazisti, il rapporto Richard documenta alcuni casi clamorosi. Le rivelazioni più scottanti riguardano la Cia. Che i servizi esteri statunitensi avessero usato i nazisti nel dopoguerra per lavori di intelligence era cosa nota. Ma il report di Richard documenta anche diversi casi in cui la Cia, e in alcuni episodi anche funzionari governativi, si sono fatti garanti dell'ingresso di quei criminali negli Usa.
Come per Otto von Bolschwing, collaboratore di Adolf Eichmann che nel 1954 fu aiutato dalla Cia in cambio della sua collaborazione. O di Arthur L. Rudolph, trasferito per la sua competenza nella missilistica negli Usa nel 1945 nell'ambito dell'"operazione graffetta" - programma di reclutamento degli scienziati del Reich - e divenuto poi un onorato dipendente della Nasa. E se in questi due casi il Dipartimento di giustizia si spese per la loro deportazione dagli Usa, ci sono altri episodi che testimoniano un certo coinvolgimento nella protezione di alcuni criminali. Come quando si nascose alla giustizia l'identità di Tcherim Soobzokov, ex soldato delle SS ucciso in un attentato da un gruppo di radicali ebrei.
Nel rapporto si parla anche della «pistola fumante» che nel 1997 avrebbe potuto «provare definitivamente» che la Svizzera comprò l'oro sottratto dai nazisti agli ebrei. E di una serie di incontri, falliti, che gli Usa hanno tenuto nel 2000 con le autorità lettoni per convincerle a perseguire alcuni sospetti.
Il Dipartimento di giustizia si è difeso specificando che il rapporto non è mai stato completato formalmente, e che quindi non rappresenta alcuna posizione ufficiale, viziato com'è da «numerosi errori e omissioni». Senza specificare però quali sarebbero questi errori.
Mark Richard, il papà del rapporto controverso, non ha fatto in tempo a vedere riconosciuto pubblicamente il suo lavoro. Dopo aver consegnato la versione finale nel 2006, le sue richieste di rendere noto il contenuto del rapporto sono state rifiutate. Richard si è ammalato poco dopo di cancro ed è morto nel giugno del 2009. In seguito alla sua scomparsa un avvocato di Washington, David Sobel, e l'Archivio per la sicurezza nazionale, un gruppo privato di ricerca, hanno chiesto il rilascio del report in ottemperanza alla legge sulla libertà d'informazione. Dopo una breve resistenza il Dipartimento di giustizia ha concesso loro una copia del lavoro, ma, a differenza di quella a disposizione del Nyt, con più di mille passaggi cancellati per «rispetto della privacy» e in seguito a «deliberazioni interne».

Liberazione 16/11/2010, pag 6

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