mercoledì 10 novembre 2010

Il Fmi prova a svoltare: potere agli emergenti

Storica riforma dell'istituzione monetaria. Cina, India e Brasile entrano nel board

Matteo Alviti
Una riforma storica, che fa fare al Fondo monetario internazionale un passo in direzione delle economie emergenti - o meglio, che un tempo erano emergenti e oggi già si mangiano i concorrenti. E una riforma che, almeno in linea teorica, dovrebbe rendere l'istituzione finanziaria nata dopo la seconda guerra mondiale più "democratica" di quanto non sia oggi.
L'Fmi ha deciso venerdì di raddoppiare il fondo economico a sua disposizione e di adottare una variazione della propria struttura interna che darà alla Cina, tra le altre, un peso molto maggiore di quanto non ne abbia già oggi tra i 187 paesi membri. Secondo il presidente del fondo, Dominique Strauss-Khan, l'accordo rappresenta «il più grande spostamento di influenza dalla parte dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo» nella storia dell'istituzione.
Fondato nel dicembre del 1945 per governare la ricostruzione dopo la guerra mondiale e impedire che si verificasse di nuovo un tracollo dell'economia simile a quello del 1930, fino a oggi l'Fmi è stato dominato - in maniera estremamente discutibile - dalle potenze occidentali. Il meeting di venerdì che ha dato il via libera alle novità era intitolato "Riforma delle quote e della governance". Per quote si intendono i contributi dei membri al fondo globale. I venti grandi, che garantiscono per il 90% del capitale, si sono accordati per arrivare fino a 756 miliardi di dollari, praticamente il doppio dell'attuale. I cambiamenti in termini di governance invece riorganizzano la distribuzione del potere nel direttorio a 24 membri che gestisce le scelte del Fondo. Il peso del gruppo dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo cresce di circa il 6%. La Cina passerà dal sesto al terzo posto tra i detentori di quote decisionali - dietro Usa e Giappone, scavalcando Germania, Francia e Gran Bretagna. India, Brasile e Russia entrano nella topten. Mentre gli europei hanno acconsentito a cedere due dei nove seggi del direttorio da loro occupati. Infine, d'ora in poi tutti i membri del direttorio saranno eletti, e non più nominati.
Erano ormai anni che l'Fmi cercava di completare un processo di riforme interne. Strauss-Kahn, in carica dal 2007, aveva fatto della ridistribuzione un obiettivo fondamentale del suo mandato. Già nel 2008 era passato un piano simile, ma non era poi mai stato adottato per non essere stato ratificato dal numero minimo di stati previsto. Venerdì il capitolo riforme sembra essersi chiuso felicemente, con l'accordo di tutti i protagonisti. Ma l'ultima parola non è ancora scritta: perché le riforme siano effettive dovranno infatti prima essere approvate dai banchieri centrali e passare poi per un lungo processo di approvazione che porterà alla ratifica finale.
A una settimana dal prossimo vertice G20 in programma a Seul - dove probabilmente le recenti tensioni valutarie tra la Cina e gli Usa faranno scintille - gli ostacoli più difficili sembrano comunque alle spalle. Il processo di approvazione dovrebbe concludersi, secondo le previsioni, entro l'autunno del 2012, in tempo per il meeting tra l'Fmi e la Banca mondiale. Almeno così si augura Strauss-Khan, che proprio quell'anno terminerà il suo mandato.

Liberazione 07/11/2010, pag 7

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