mercoledì 8 settembre 2010

Costi, disastri e fosforo bianco: tutti i disastri della guerra irachena

Gli affari della Halliburton, le torture e 4421 bare con la bandiera a stelle e strisce

Matteo Alviti
Dall'annuncio in diretta tv dell'attacco statunitense all'Iraq di Saddam Hussein da parte del presidente George W. Bush jr., il 19 marzo del 2003, sono passati sette anni e mezzo e decine di migliaia di morti. La guerra irachena è stato un buco nero che ha inghiottito vite e centinaia di miliardi di dollari, scavando un solco profondo tra l'occidente e il mondo islamico e riducendo l'immagine degli Usa ai minimi termini.
La rapida conquista del paese, la cattura e l'esecuzione di Saddam, gli attentati, gli scontri etnici e interreligiosi, Abu Ghraib, il fosforo bianco su Fallujah, i sanguinosi scontri con le milizie sciite a Karbala, Najaf e Sadr City, a Baghdad. Le prime "elezioni" nel gennaio del 2005 e la costituzione approvata dal referendum di ottobre, seguita dalle elezioni per il primo governo iracheno permanente del dopoguerra. L'uccisione del qaedista al-Zarqawi nel giugno del 2006. Il "surge", l'aumento di truppe (e di violenze) voluto da Bush nel 2007, e i 17 morti uccisi dai contractors della Blackwater a settembre dello stesso anno. Le storie poco chiare sui contratti alle imprese statunitensi, Halliburton dell'ex vicepresidente Cheney su tutte. E i rapimenti di stranieri, dal 2004 - tra cui l'inviata del Manifesto Giuliana Sgrena, le due Simone, il giornalista Enzo Baldoni, i quattro contractors italiani. La storia della seconda guerra del Golfo è lunga e lascerà segni profondi.
Difficile, anche oggi, comprendere esattamente la portata del conflitto. Come per ogni guerra i "numeri" sono discordi, un'inevitabile approssimazione che comunque non restituisce il dolore provato da ognuna delle vittime. Sono soprattutto le morti e i ferimenti di civili ad essere difficili da definire, come quelli dei combattenti e dei terroristi iracheni. Il riferimento principale è il lavoro di Iraq Body Count, che ha tenuto un registro delle morti civili usando un sistema di controllo incrociato. L'organizzazione stima che al luglio del 2010 il numero di vittime sia compreso tra 97461 e 106348 civili. A parte il massacro dei primi due mesi di guerra, sono stati il 2006 e il 2007 gli anni più sanguinosi per la popolazione. Alcune fonti, come la rivista britannica Lancet, hanno però scritto già nel 2006 di un numero di vittime complessivo superiore alle 600mila persone.
Vittime sono anche i circa cinque milioni di iracheni costretti ad abbandonare le proprie case. L'Altro commissariato per i rifugiati considera l'esodo forzato degli iracheni come la più grande migrazione collettiva dalla seconda guerra mondiale. Circa la metà dei rifugiati è rimasta all'interno del paese, mentre più di due milioni di persone sono scappate all'estero, soprattutto in Siria e in Giordania.
Sulle vittime militari della coalizione dei volenterosi i numeri sono più chiari. Secondo gli ultimi dati forniti dal dipartimento della difesa Usa in Iraq hanno perso la vita 4421 tra soldati e personale della difesa - gli anni peggiori sono stati il 2004 e il 2007. I feriti superano le 32mila unità, senza contare tutti quelli, e sono tanti, che soffrono di disturbi psichici post traumatici per gli orrori a cui hanno preso parte. Dopo gli Usa è stata la Gran Bretagna laburista, fedele alleata di guerra degli Usa, a pagare il più alto tributo di morti, con 179 persone. L'Italia - coinvolta nell'avventura irachena tra il maggio del 2003 e la fine del 2006 - ha perso 26 persone, tra militari e civili, e si sarebbe resa responsabile della morte, secondo l'Iraq Body Count, di 20 civili iracheni. Oltre ai militari in Iraq sono morti anche un numero indefinito di contractors: si parla di 460 persone, tra cui Fabrizio Quattrocchi ucciso il 14 aprile del 2004 dai suoi rapitori.
Oltre ai costi umani, la guerra irachena è stata un immane spreco di risorse economiche, che ha permesso a pochi grandi gruppi petroliferi, industriali, di telecomunicazioni e all'industria bellica statunitense e mondiale di arricchirsi spropositatamente. Anche in quest'ambito le cifre sono discordanti. Secondo l'indipendente e stimato Congressional Research Service, entro la fine del 2011 gli Usa avranno bruciato 802 miliardi di dollari. Una cifra che, secondo l'economista premio nobel Joseph Stiglitz, salirebbe invece fino a tremila miliardi di dollari, contando anche le ricadute sul budget e l'economia statunitensi.

Liberazione 02/09/2010, pag 2

Nessun commento: