giovedì 23 settembre 2010

«Paga la sua ricerca di autonomia dalle fondazioni ambite dalla Lega»

Andrea Di Stefano direttore del mensile "Valori"

Andrea Di Stefano, direttore del mensile di finanza etica ed economia sociale "Valori". Con le dimissioni dell'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, si chiude un epoca. Secondo alcuni commentatori, dietro lo scontro che si è appena consumato al vertice del secondo gruppo bancario italiano ci sarebbe l'ombra della politica. Profumo dava fastidio perché garante dell'indipendenza di Unicredit. Cosa c'è di vero? Perché Profumo è stato costretto a dare le dimissioni?
La vendetta di Cesare Geronzi, forse. La resa dei conti con Silvio Berlusconi, meno probabile. La voglia dei leghisti di mettere le mani su un grande istituto di credito è il dato sicuramente più solido. Per il resto siamo nel capitolo delle congetture. Certo nelle dimissioni di Alessandro Profumo dalla guida di Unicredit le caselle del puzzle del complotto si compongono a meraviglia. L'amministratore delegato della prima banca italiana per proiezione internazionale ha superato prove molto difficili, dallo tsunami della crisi finanziaria alla riorganizzazione dopo la difficile fusione con Capitalia, ma non ha superato quella che a tutti gli effetti, e con il senno di poi, sembra essere la "trappola dei libici".

Sarebbe?
Durante la crisi Silvio Berlusconi, con il supporto del solito Tarak Ben Ammar, ha offerto una bella ciambella di salvataggio a Profumo, costretto ad un difficile aumento di capitale per migliorare i parametri di capitalizzazione imposti dal mercato e dalle autorità monetarie. Il fondo sovrano libico aveva voglia di investire in Italia, i rapporti con Tripoli erano ottimi e in continuo miglioramento, e l'amministratore delegato ha accolto con favore l'offerta sottovalutando, forse, che il regista dell'operazione poteva essere l'ex presidente di Mediobanca ed oggi delle Generali, Cesare Geronzi. Quel Geronzi che di fatto Profumo aveva silurato dopo la fusione, ritenendolo responsabile di una gestione discutibile e del pesante tasso di sofferenza dei crediti portato in dote da Capitalia.

Dunque si è trattato di una vendetta personale?
Alcune vicende apparentemente minori hanno appesantito il conto aperto tra Profumo e Geronzi. L'amministratore delegato di Unicredit ha deciso in prima persona di trasmettere alla procura della Repubblica della capitale il dossier relativo al conto corrente aperto dallo Ior in una filiale ex Capitalia nei pressi di oltre Tevere dove sono stati incassati molti assegni al portatore per i quali non sono rintracciabili i beneficiari. Molte linee di credito deliberate tra parti correlate, cioè a imprese rappresentate nel cda di Unicredit da amministratori-proprietari-azionisti di riferimento degli stessi soggetti beneficiari dei finanziamenti, sono state revocate o riviste.

Questo suo modo di agire non gli avrà certo procurato molte simpatie...
Il fatto è che Profumo era diventato a tutti gli effetti l'uomo del mercato, soprattutto degli investitori finanziari internazionali, in particolare di quelli della piazza londinese con la quale l'amministratore delegato con pedigree McKinsey si relazionava al meglio. Durante l'estate i libici sono tornati alla carica, acquistando nuovi pacchetti di azioni all'insaputa dei principali soci e dello stesso amministratore delegato che ha cercato di cavalcare i nuovi azionisti di riferimento per liberarsi dall'abbraccio delle fondazioni bancarie nel frattempo rivendicate dalla Lega vincente in Piemonte e Veneto. Una mossa spericolata che gli è costata una fragorosa caduta.

Liberazione 22/09/2010, pag 2

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