mercoledì 8 settembre 2010

Medio Oriente, il difficile tavolo sbilenco

Luisa Morgantini
Un tavolo davvero sbilenco quello che il 2 settembre ha visto incontrare a Washington il presidente Abbas e il primo ministro Netanyahu sotto l'auspicio dell'amministrazione Usa.
Obama ha ribadito la formula due popoli due stati, ha chiesto alle parti di cogliere questa opportunità e di arrivare entro un anno ad una soluzione definitiva della questione israelo-palestinese. Nessun accenno alla differenza di condizioni, da una parte Israele, uno stato che occupa militarmente un territorio e continua a costruire colonie illegali, condannato a parole ma mai costretto a rispettare né gli accordi sottoscritti né la legalità internazionale; dall'altro rappresentanti dell'Autorità palestinese e non ancora di uno stato, un'Autorità i cui rappresentanti non possono muoversi senza il coordinamento con Israele e che possono esercitare (a seconda della volontà israeliana) il loro pieno potere solo sul 6% di quel 22% che sono i territori occupati del 1967.
Dal discorso di Obama sembrava che bastasse la buona volontà delle due parti. Nessuna pressione su Israele affinché continuasse almeno la moratoria per l'ampliamento delle colonie che dovrebbe cessare il 26 settembre.
Del resto Netanyahu si è recato a Washington dicendo chiaramente che non avrebbe accettato precondizioni come quelle che invece Mahmoud Abbas diceva di voler porre: la cessazione dell'ampliamento e della costruzione delle colonie. L'Autorità palestinese non ha potuto esimersi dal partecipare: le pressioni fatte da Europei, Usa, paesi arabi, Nazioni unite sono state molto forti. Non partecipare avrebbe significato darsi in pasto alla propaganda israeliana sulla non esistenza in Palestina di un partner per la pace.
Se Obama non ha distinto le diverse responsabilità, Hilary Clinton nel lasciare Netanyahu e Abbas soli per tre ore, ha voluto ribadire che non ci saranno soluzioni imposte e che i negoziati saranno condotti direttamente dalle due parti. Sembra di vedere un copione già scritto, dopo gli accordi di Oslo, un accordo profondamente complesso e con degli errori di fondo, come aveva anche detto Haider Abdel Shafi, protagonista dei negoziati di Madrid del 1991. Non si decise il blocco delle colonie e sarebbe stata comunque necessaria una forte presenza internazionale per far applicare gli accordi. Invece palestinesi ed israeliani sono stati lasciati soli in una situazione di totale asimmetria. L'assassinio di Rabin per mano di un ebreo fanatico, legato ai coloni di Kyriat Arba, e gli attentati suicidi perpetrati da Hamas, hanno chiuso la sfida che poteva essere l'accordo di Oslo e la politica di continua colonizzazione dei territori occupati della Cisgiordania si è fatta incalzante: dagli accordi di Oslo ad oggi i coloni sono passati da 150mila ad oltre 500mila.
Oggi le autorità israeliane giocano sulla parziale rappresentatività del presidente Abbas, visto che il territorio della Cisgiordania è separato da Gaza non solo geograficamente ma anche politicamente. Naturalmente la divisione palestinese è di una gravità straordinaria, e le responsabilità sono anche della leadership palestinese, oltre che di quella israeliana e della comunità internazionale che, oltre a non avere riconosciuto un governo legittimamente eletto dal popolo palestinese, permette la punizione collettiva di una popolazione di un milione e mezzo di persone non esercitando pressioni sufficienti su Israele per togliere l'embargo a Gaza.
Anche l'azione militare di Hamas proprio all'inizio dei negoziati, pur essendo stata immediatamente utilizzata da Netanyahu per discutere della sicurezza anziché degli insediamenti, non ha però avuto l'impatto di altri attentati. Hamas questa volta non ha attaccato civili in Israele ma coloni illegali nel territorio palestinese. L'Anp ha condannato con forza l'attacco, sottraendo ad Israele l'accusa tanto spesso rivolta ad Arafat di parlare in un modo e agire nell'altro. Hamas con quell'attacco ha voluto mandare un segnale chiaro, noi esistiamo e dovete tener conto di noi. Mi auguro che i palestinesi comprendano che non è possibile lasciare escluso dalle decisioni una forza come Hamas che ha preso il 44% dei voti nelle ultime elezioni e che la ripresa di azioni militari sarebbe solo devastante per la popolazione palestinese che con il governo di Salam Fayyad sta faticosamente rafforzando le infrastrutture per uno stato palestinese. Ma Hamas e Fatah non sono le sole forze in campo, i partiti nell'Olp e anche il partito di Mustapha Barghouti, Al Mubadara, si sono detti contrari ai negoziati, per cui i negoziatori palestinesi, fanno bene a tenersi molto sottotono e continuare a dire come dice Nabil Shaat, ricomparso vicino ad Abbas a Washington, che le colonie e il loro blocco sono dirimenti per la trattativa.
Netanyahu con questi negoziati si è rafforzato, non ha ancora tradito i suoi coloni, anche se molti di questi lo considerano ormai un traditore ed hanno ricominciato a scavare per costruire nuovi insediamenti. Vedremo cosa succederà il 26 settembre quando scadrà la moratoria per la costruzione delle colonie. In realtà Israele è una società profondamente divisa con forme di razzismo anche al proprio interno, religiosi delle diverse correnti, russi, askenazi e safarditi, laici, immigrati, coloni. Si sta formando una nuova sinistra di giovani che rifiutano di prestare servizio militare, vanno nei territori occupati con i palestinesi e gli internazionali per protestare contro il muro, l'apartheid e l'occupazione; intellettuali che si rifiutano di partecipare all'inaugurazione di centri culturali di una colonia come quella di Ariel.
E in Palestina si sviluppa la resistenza popolare nonviolenta, sotto attacco dalle autorità israeliane: leader incarcerati, ma malgrado questo ogni giorno si aggiunge un villaggio o un area che tenta di bloccare la costruzione del muro e la sottrazione delle terre.
L'Europa è stata esclusa dal negoziato, il ruolo del quartetto è stato completamente emarginato, a Washington sono andati il re di Giordana e il presidente dell' Egitto. La presenza parziale di Blair, che peraltro non rappresenta politicamente il quartetto ma ne è solo l'inviato speciale per le questioni economiche, non può certamente supplire all'assenza delle Nazioni Unite, dell' Europa e della Russia.
Intanto vedremo cosa succederà al prossimo incontro il 14 Settembre. Forse un miracolo: Israele si deciderà a fermare la colonizzazione e a riconoscere ai palestinesi il diritto alla libertà e alla loro terra. Miracolo, che potrebbe avvenire solo se la Comunità Internazionale decidesse di imporre ad Israele il rispetto del diritto internazionale e sollevarla dall'impunità per i crimini commessi contro la popolazione palestinese.

Liberazione 05/09/2010, pag 1 e 9

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