Boris Sollazzo
A Liberazione di Federico Aldovrandi abbiamo iniziato a sapere ben prima di altri. Per il talento e il tenace coraggio del collega Checchino Antonini e perchè tutti sembravano volerla ignorare. Come ricorda anche Federico Vendemmiati nel suo E' stato morto un ragazzo, Federico Aldovrandi che una notte incontrò la polizia, solo un pugno di colleghi, insieme e grazie ai coniugi Aldovrandi e alla loro disperata ricerca di verità, dal blog alla presenza costante durante il processo fino quest'opera cinematografica, hanno seguito fin dall'inizio questo pasticciaccio brutto in quel di Ferrara. Il documentario di questo giornalista rigoroso e sobrio, ha lo stesso spirito ed equilibrio, la medesima sete di giustizia di quella madre che aprì un blog nel gennaio 2006, perchè tre mesi di silenzio di tutti e di bugie di alcuni, media e uomini di legge compresi, dalla (e sulla) morte del figlio avvenuta il 25 settembre 2005, la stavano soffocando. Non è, la sua, una guerra santa contro le forze dell'ordine, di cui si fida(va), nè la reazione disperata di una donna a cui hanno tolto, nel modo peggiore, la persona più cara, il figlio. No, è la lotta di una cittadina che combatte per sè, per noi, per quel giovane di 18 anni "bastonato di brutto, come l'Italia agli Europei" (parole di uno dei quattro poliziotti imputati al processo) che aveva la colpa di passeggiare, una mattina, nel posto sbagliato al momento sbagliato. E, soprattutto, di aver incontrato le persone sbagliate. Quattro poliziotti. Un'odissea fatta di manganelli rotti, dichiarazioni di difesa sempre sorprendenti e disumane (dei loro manganelli parla Giovanardi, della pistola quasi rubata da Federico si sa nel dibattimento, in una ricerca, parole del giudice, "di una difesa perfetta, anche a scapito della coerenza"), di un cinismo atroce di avvocati e poliziotti imputati, sia in aula che nelle intercettazioni che ci consentono di capire bene qual è la verità, al di là della burocrazia giudiziaria, delle pastoie dei cavilli e di arringhe ignobili a difesa di "quattro persone per bene", contro "una madre che fa pena", o un ragazzo che avrebbe assunto ogni droga, sintetica e non, ora sul mercato. Alla fine della proiezione, a Venezia, occhi lucidi e capannelli, perchè chi non ha letto Antonini su Liberazione o pochi altri, tutta la storia non la sa. Alcuni neanche avevano visto la foto, terribile icona di uno scontro aperto, ormai, tra società civile e Italia in divisa, tutori del disordine che sporcano l'onestà dei colleghi onesti. Ecco perchè qui la valanga di parole, tra testimonianze e sentenze, la serrata alternanza di immagini e registrazioni- e con la legge-bavaglio avremmo mai saputo?- ci restituiscono scampoli di verità nascoste che si riuniscono in una sentenza di colpevolezza troppo faticosa, troppo leggera, troppo fallace nel non restituirci non tanto cos'è successo, ma perchè. Tanti, troppi ragazzi muoiono per mano di chi dovrebbe difenderli: il corpo martoriato di Federico sembra quello di Stefano Cucchi, il suo rimanere a terra esanime assomiglia a quello di Carlo Giuliani, il titolo del documentario viene da una frase, infelice ma indicativa, pronunciata in occasione dell'omicidio di Gabriele Sandri. E non a caso il film comincia con i cori da stadio "Giustizia per Federico", quasi a segnare i confini di una guerra che ormai si è fatta civile e generazionale, che ci preoccupa perchè assomiglia troppo a qualcosa di già accaduto. Il bello di un film del genere, però, è che non rimarrà una gemma di un festival, ma uscirà dalle Giornate degli Autori, dalla sezione Spazio Aperto, per finire, da ieri, in libreria, in un combinato libro+dvd della Promo Music Corvino Meda Editore. Ciao Fede. E scusaci, tutti.
Liberazione 10/09/2010, pag 9
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