giovedì 23 settembre 2010

Via l'ad scomodo, ora è più forte l'intreccio politica-economia

Dopo la vittoria elettorale del 2008, è partita la caccia alla banca

Nicola Melloni
La vicenda Unicredit che tiene banco in questi giorni è un segnale importante di come, dietro le quinte, si stiano riposizionando diversi pesi massimi del capitalismo italiano. Pensare seriamente che l'attacco portato a Profumo dipenda dai rapporti tesi tra Amministratore Delegato e Presidente e dai risultati non brillanti di Unicredit nell'ultimo paio d'anni vuol dire concentrarsi sulle apparenze ed ignorare la realtà del capitalismo straccione all'italiana.
Unicredit è una banca strana per l'Italia. E' la più importante banca del nostro paese ed uno dei principali istituti creditizi europei e le sue ramificazioni internazionali l'hanno portata ad essere un attore fondamentale soprattutto nell'Est Europa. Creata proprio da Profumo a partire dal Credito Italiano, Unicredit ha rotto le regole non scritte del capitalismo italiano e del suo rapporto simbiotico con la politica. In sostanza, Profumo ha cercato di dare ad Unicredit un profilo europeo - cioè di indipendenza dal governo e dai palazzi romani - ma lo ha fatto, inevitabilmente, usando gli strumenti che c'erano a disposizione, cioè le fondazioni bancarie, che sono proprio il punto di incontro tra politica e finanza e che ora gli si ritorcono contro e ne chiedono la sostituzione. Bisogna cercare di capire il perché.
Profumo in questi anni ha predicato un approccio all'impresa e alla banca di tipo anglosassone, basato sul mercato e sulla finanziarizzazione dell'economia e che in Italia vantava grandi sponsor, soprattutto nei governi di centro-sinistra che lavoravano ad una modernizzazione di stampo liberale. Questo modello economico ha però trovato sulla sua strada fortissime resistenze da parte di larghi settori della politica e dell'imprenditoria. Settori ostili ad una svolta liberale non perché preoccupati dalle ricadute socio-economiche, ma perché timorosi di perdere le rendite di posizione generate da un sistema corrotto e clientelare. Ed in questo sistema, le banche hanno un ruolo decisivo.
Dopo la vittoria elettorale della Lega e di Berlusconi nel 2008 è partita la caccia alla banca, vecchio-nuovo gioco di società della politica italiana. Attraverso le nomine nelle fondazioni, il partito di Bossi ha rivendicato il controllo sulle grandi banche italiane, soprattutto, naturalmente, su Unicredit. Lo slogan, rozzo ma efficace, è stato quello di usare i soldi dei correntisti del nord per finanziare le imprese del nord. D'altronde un comportamento molto simile lo tennero già Fassino, D'Alema e Consorte quando Unipol cercò di conquistare Bnl durante il risiko bancario 2005-06 (ed allora contrastato dai prodiani e dall'area più liberal dell'Ulivo). Il discorso della Lega e dei Fassino, in linea di principio, non fa una piega. La politica industriale la si fa anche attraverso il controllo del credito ed utilizzare le banche per finanziare gli investimenti produttivi è senz'altro una cosa di buon senso. Il mercato trasparente di Profumo funziona in realtà solo sulla carta, la mano invisibile non esiste e le banche ormai si sono distaccate dalla loro funzione storica di intermediari finanziari tra risparmio (le famiglie) ed investimento (le imprese).
Purtroppo però, come spesso in Italia, ad un problema serio si dà una risposta inadeguata. La proposta politica alternativa non si è incentrata su una riproposizione dell'intervento pubblico - di coordinamento, di proprietà, di indirizzo - in economia, ma sulla sopravvivenza di un papocchio di conflitto d'interessi. Il modello di impresa proposto da Profumo è agli antipodi di questa concezione del mercato, ma non è per questo, o quantomeno solo per questo, che l'Ad di Unicredit è diventato scomodo. In fondo, con la vittoria berlusconiana e la crisi finanziaria che ha colpito le grandi banche europee ed americane, la trasformazione liberale non sembra davvero all'ordine del giorno. Ma Profumo conserva un grande potere e quel potere è molto ambito. Unicredit non è entrata nelle tante imprese succhia-soldi in cui si è lanciato il cosiddetto gotha industrial-finanziario italiano, da Telecom ad Alitalia, che ha trasformato monopoli pubblici in monopoli privati ed ha trasferito soldi pubblici nelle mani di consorzi privati in cambio di aiuti politici. Profumo si è sottratto a questa logica, lavorando, in buona sostanza, solamente nell'interesse di Unicredit, per discutibile che questo possa essere.
La sua presenza è sempre stata scomoda ma lo è ancor di più oggi, all'indomani della crisi finanziaria, in un momento in cui si modificano gli equilibri di potere esistenti. In questo gioco di società, ovviamente, la più grande banca italiana è un giocatore fondamentale ed un alleato indispensabile. In che mani finirà Unicredit lo vedremo nei prossimi giorni, ma gli effetti di questo cambio della guardia saranno probabilmente di lunga durata e preannunciano un rafforzamento di quel sistema di intrecci politico-economici - della "cricca" per usare un termine molto in voga ultimamente - che sono una delle cause principali del declino del nostro Paese.

Liberazione 22/09/2010, pag 3

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