giovedì 10 febbraio 2011

Edgar Morin pro e contro Karl Marx

Tradotti una cinquantina di saggi vecchi di mezzo secolo ma sempre attualissimi
Daniele Barbieri
E' curioso che le sinistre (perlomeno in Europa) da decenni gareggino nel gettare via Marx e il suo metodo mentre - a ogni crisi - le teste pensanti del capitalismo lo riscoprono.
Probabilmente ha ragione Edgar Morin con il suo Pro e contro Marx, appena tradotto da Erickson (104 pagine per 10 euri) dove nel sottotitolo invita a «Ritrovarlo sotto le macerie dei marxismi».
Impressiona scoprire che gli articoli e i saggi di Morin qui riuniti risalgono perlopiù a 50 anni or sono. Il più recente - si fa per dire - è del 1993 ma è stato ripubblicato, pari pari, nel 2007 a dimostrare che Morin sa guardare lontano, che il suo articolato rapporto con Marx resta così profondo da non temere le svolte (meglio: i terremoti) della storia. E' corretto dunque quello che Morin scrive nella prefazione del gennaio 2010: «Di fatto per tutta la vita, in tutta la mia opera, sono restato fedele alla prospettiva marxiana della mia adolescenza ed è proprio questa "fedeltà" che […] mi ha spinto a "superare" Marx nel senso hegeliano del termine (superare conservando)».
Sono ben pochi - e perlopiù eretici come Cornelius Castoriadis - i marxisti con i quali si confronta Edgar Morin mentre ricorda i nostri debiti («mi baso più su Eraclito, Montaigne, Pascal, Shakespeare») e invita a fare i conti con le novità (Einstein e Foucault soprattutto).
Sin dalla prefazione Morin invita a rifiutare il generico "uomo". In primo luogo «abbandonando il maschile». Poi concependo l'essere umano «in modo trinitario, cioè inseparabilmente individuo-società-specie». L'homo non è soltanto sapiens (cioè razionale), faber (produttore e creatore), oeconomicus (spinto cioè dall'interesse materiale) ma anche ludens (mosso dal gioco, dal puro piacere) e demens (delirante). E su quest'uomo demens - insensato distruttore anche del pianeta, l'unica casa che ha - Morin torna più volte per invitarci a vedere l'essere umano «complesso, multiplo che porta in sé un cosmo di sogni e di fantasmi» (pagina 76) e «farla finita con il mito unilaterale di homo sapiens per considerare la complessità indissociabile dell'homo sapiens-demens» (pag 90).
Morin polemizza con i marxisti dogmatici e ricorda che «le sintesi, nella vita, sono provvisorie e parziali […] La dialettica procede a strappi, con uno sforzo che ricomincia di continuo». Indignerà qualche iper-materialista (ne esistono ancora?) la capacità di Morin nel coniugare reale e immaginario - «c'è sempre una parte di magia di cui abbiamo bisogno» - e nel ricordare che «per essere veramente realisti bisogna essere un po' utopisti». Pagine che hanno una doppia valenza visto che sono state scritte da chi non si è mai nascosto dietro le presunte necessità della storia con la S maiuscola per giustificare perfino gli orrori di Stalin (e infatti il paragrafo si intitola «si comincia con l'essere "realisti", si finisce per essere bestie»).
Non ci sono risposte facili, pronte una volta per tutte. «Non c'è uomo totale. Le nostre contraddizioni e i nostri limiti non possono essere soppressi. Essi ci spingono al contrario a trasformarci trasformando il mondo». Ed è ragionando di prassi - «se si pensa troppo non si agisce più, se si agisce troppo non si pensa più eccetera» - che Morin scrive: «L'azione è costantemente minacciata dal fallimento. O piuttosto non è altro che una sequela di fallimenti interrotti da una riuscita […] Vi sono dunque scommesse, cadute, tentativi, errori. Fallimenti, follie. Il mondo della politica non è come quello del pensiero che cancella le sue ipotesi, che tace i suoi sogni e i suoi deliri […] E' il mondo del triplo rischio: materiale, etico e dialettico». E poche righe dopo: «La politica è la più barbara di tutte le arti»
Il quinto capitolo - «Alla ricerca dei fondamenti perduti» del 1993 ma "attualizzato" al 2010 - ci piomba nella barbarie dell'oggi, nella sparizione dei "grandi progetti" (sostituiti dai sondaggi, ironizza Morin), nelle grandi possibilità e grandi inquietudini collegate alle neuroscienze, in un mondo dove «si pensa sia normale distruggere le eccedenze agricole europee mentre la fame colpisce un quarto dell'umanità» e dove «chiamiamo realismo l'assenza di pensiero». Sono 15 le sfide individuate da Morin per il nuovo secolo e, a fine libro, propone «4 finalità» concrete per salvare «la patria terrena». Il «nodo gordiano» infatti è un pianeta che si unifica mentre tutto «diviene sempre più frammentato», mentre «l'incomprensione non fa che accrescersi». Una nuova barbarie tecnica si allea a quelle antiche e - se non invertiamo la rotta - ci aspetta «nel migliore dei casi il Medio Evo planetario, nel peggiore Mad Max». Il nemico è il «pensiero chiuso» nella variante della «tecnoscienza burocratizzata» e del «pensiero sempre più locale». Ci occorre un pensare in grado di «cogliere la multidimensionalità della realtà» e magari anche un altro sguardo che, come suggerì Shakespeare, sia capace di «fragore e furore».


Liberazione 06/02/2011, pag 8

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