venerdì 11 febbraio 2011

Inscatolati nel Camping River. Che fine fanno i soldi "per i rom"

Deportati e abbandonati gli ex del Casilino 900. Costo: un milione e mezzo l'anno
Daniele Nalbone
Si chiama Casilino l'ultimo bambino nato nel campo nomadi Casilino 900 e oggi vive, con molti dei rom "trasferiti" da quello che una volta era il campo abusivo più grande d'Europa, al camping River, struttura ufficiale del Comune di Roma, a pochi metri dal cimitero di Prima Porta, lungo la via Tiberina. Sul web sono tantissime le immagini che ritraggono il sindaco Alemanno e l'assessora alle Politiche Sociali, Sveva Belviso, mentre si intrattengono con i genitori di Casilino, mentre lo tengono in braccio. Il tutto, ovviamente, davanti ai flash dei fotografi.
Era il 20 febbraio di un anno fa. Era il giorno della festa di chiusura del Casilino 900. Era il giorno in cui Giovanni Alemanno, Sveva Belviso e il prefetto Giuseppe Pecoraro allora commissario straordinario dell'emergenza Rom (stessi poteri richiesti oggi, a un anno di distanza, al ministro Maroni) firmarono una dichiarazione di impegno dal titolo significativo: "Siamo sempre figli di uno stesso padre". «In occasione della festa di chiusura del Casilino 900» si legge nel foglio che apre il dossier che il Comitato Ex Caslino 900 ci ha consegnato martedì durante l'assemblea "di movimento" all'ex Cinema Volturno «il Comune di Roma si impegna a portare avanti il programma di sviluppo e di integrazione della Comunità Rom, particolarmente in riferimento ai seguenti punti: educazione/formazione; lavoro; casa; problematiche giovanili; assistenza sanitaria». Tutto questo, quasi un anno fa.
«Ma oggi la realtà è ben diversa» ha spiegato martedì in assemblea Bayram Rasimi, ex membro del coordinamento Rom di Roma. "Ex" perché a fine gennaio si è dimesso dalla carica «per protesta contro il Comune che non ha mai mantenuto gli impegni presi, ma soprattutto con la mia comunità che, in qualche modo, avevo tradito convincendola a firmare quell'impegno, ad abbandonare volontariamente il Casilino 900, ad accettare il trasferimento al Camping River». E oggi spiega in un dossier, insieme al comitato Ex Casilino 900, il perché di questa protesta: «I campi nomadi, chiamati anche villaggi attrezzati, sono il simbolo di assistenzialismo ed esclusione. Costituiscono un terreno fertile per la crescita della differenziazione sociale, del degrado e della discriminazione, favorendo anche l'inevitabile diffusione della criminalità, la cinica speculazione sugli stessi rom e il diffondersi del razzismo nei loro confronti. Inoltre, la politica dei campi nomadi si rivela un costo e uno spreco inammissibili di denaro pubblico».
Il tutto affermato e messo per iscritto mentre il sindaco Alemanno va chiedendo altri 30 milioni di euro, oltre ai 32 spesi lo scorso anno, per tendopoli e altri campi a dimostrazione, come spiega il dossier, che «il campo rappresenta da decenni l'unica soluzione dell'amministrazione della capitale». Dopo la distruzione delle baracche del Casilino 900 quella che, tra mille difficoltà, era una comunità ha subito una vera e propria diaspora: «da un territorio nel quale tanti sono nati, cresciuti e dove hanno lavorato per anni», denunciano, «siamo stati trasferiti fino a 29 km di distanza» con il risultato che i bambini che continuano ad andare a scuola nell'VII Municipio «arrivano in ritardo la mattina e al ritorno escono prima per permettere al pulmino di recuperare tutti entro l'orario di chiusura delle scuole». È così che i ragazzi perdono circa un terzo delle ore di lezione in un anno.
Per far sì che il campo venisse sgomberato nella maniera più tranquilla furono promessi ai rom una collocazione più idonea, un lavoro e la possibilità di integrarsi con facilità nella società. Ebbene, a un anno di distanza «tutto ciò non è stato mantenuto, le persone continuano a vivere in quei campi attrezzati fuori dal Raccordo anulare dove dovevano rimanere solo per un tempo determinato (sei mesi, ndr)».
Il Camping River, dove vennero trasferiti i rom macedoni e kosovari, è uno dei villaggi autorizzati dal comune di Roma. «Di proprietà di Roberto Fagiolari, già presidente della cooperativa Chebesà (che sotto Veltroni aveva ottenuto l'appalto per i lavori relativi alle infrastrutture del campo di via di Salone)» si legge nel dossier « viene gestito dalla cooperativa Isola Verde onlus. Prima di trasferirsi, al fine di convincerli ad accettare la proposta del Comune, ad alcuni rappresentanti delle famiglie del Casilino 900 furono mostrati spazi del Camping come una piscina o un parco giochi in realtà inutilizzabili». Non solo. «Il servizio di trasporto gratuito dal Camping a Prima Porta (3km) si è rivelato, in seguito, un servizio al nero gestito privatamente al costo di 2 euro andata e ritorno. Dei percorsi di avviamento al lavoro e di accesso alle case, nessuna traccia».
E così, per la modica cifra di 1milione e 452mila euro l'anno (come da interrogazione Regione Lazio n.1205), 569 rom sono stati rinchiusi in 108 container di dimensione variabile dai 14 ai 23 mq (in cui vivono famiglie composte anche da 7 persone!), 8 bungalow e 23 stanze. Il tutto, a meno di 30 metri di distanza dal fiume Tevere, in un'area che, come dimostra il Piano regionale paesaggistico, ricade in piena fascia protetta e ampiamente all'interno dei 150 metri che «debbono essere mantenuti integri e inedificati». Senza considerare che secondo l'Ambito di programmazione strategica del Tevere questo tratto di sponda è soggetta a rischio esondazione, «pertanto la disciplina d'uso del territorio deve ridurre al minimo indispensabile gli interventi antropici». Ma, in fondo, questi sono "solo" rom.


Liberazione 10/02/2011, pag 6

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