giovedì 10 febbraio 2011

Mediterraneo. Reazione a catena - la cronologia

27/01/2011

Dal suicidio di Mohammed Buoazizi, che si è dato fuoco per protesta in Tunisia e da cui tutto è cominciato, fino ai cortei egiziani contro Mubarak: questi gli eventi principali
8 febbraio, Egitto: incontro tra il presidente Hosni Mubarak e il suo vice Omar Suleiman. Secondo quanto riferito da quest'ultimo, il governo avrebbe già pronta una "road map" pe run rapido traferimento dei poteri. L'ex capo dei servizi segreti dell'esercito ha aggiunto che lo stesso Mubarak vuole che non si proceda in alcun modo contro i manifestanti, anche coloro che ne hanno ripetutamente chiesto le dimissioni. Le voci raccolte a piazza Tahrir però dicono che la repressione continua anche se con una minore esibizione di forza. Nel pomeriggio centinaia di migliaia di persone si radunano nella piazza per chiedere una svolta reale. Manifestazione ad Alessandria, davanti alla moschea di Ibrahim. La polizia libera Wael Ghonim, il dirigente di Google incarcerato il 28 gennaio.

6 febbraio, Egitto: il vicepresidente Omar Suleiman incontra una delegazione in rappresentanza delle forze d'opposizione. Rifiuta categoricamente la possibilità che Mubarak possa dimettersi prima della scandenza del suo mandato o di conferire al suo vice i pieni poteri. Si può trattare, dice Suleiman, sulla liberazione dei prigionieri politici, sull'alleggerimento delle leggi d'emergenza e della censura. I Fratelli Musulmani, presenti all'incontro con due esponenti di spicco, dicono no all'offerta del vicepresidente. La situazione in piazza Tahrir è più tranquilla ma la tensione resta alta in altri punti della capitale. Le immagini dei reparti antisommossa che fanno fuoco su un civile che li affronta inerme, con le mani alzate, fanno il giro del mondo.

5 febbraio, Egitto: il politburo dell'Npd, il Partito nazional-democratico del presidente Hosni Mubarak si dimette. Viene nominato segretario della formazione Hossam Badrawi, un liberale. Il presidente incontra il premier Shafiq e con i ministri di Commercio, Industria, Finanze e Petrolio. Vengono annunciate misure per il rilancio economico del Paese. Nel frattempo, il Banco del credito agricolo rivela che la crisi costa alle finanze egiziane 310 milioni di dollari al giorno. A piazza Tharir, continua la protesta di migliaia di persone.

4 febbraio, Egitto: scade l'ultimatum lanciato da Mohammed el Baradei a Mubarak: dimettiti entro venerdì. In piazza arriva Amir Moussa, ex segretario della Lega Araba.;
Marocco: gruppi giovanili organizzano per il 20 febbraio una manifestazione contro il governo marocchino.

3 febbraio, Egitto: la situazione comincia a precipitare. L'esercito respinge un tentativo, da parte dei gruppi pro-Mubarak, di attaccare la folla. Vengono lanciate bottiglie molotov sui manifestanti, colpiti anche dal fuoco di cecchini. Nel pomeriggio gli oppositori riprendono il controllo della nevralgica piazza Tahrir. Si diffondono i primi bilanci degli scontri di ieri, che parlano di 10 morti e circa 1500 feriti. Il vicepresidente, Omar Suleiman, annuncia ufficialmente che il figlio del presidente Hosni Mubarak, Gamal, non parteciperà alle presidenziali previste per il prossimo settembre ma gela la piazza sulle dimissioni del presidente: Mubarak non deve dimettersi, altrimenti l'Egitto spofonda nel caos. L'Onu lascia il Paese. La collaboratrice dal Cairo conferma a Peacereporter che è cominciata la caccia ai giornalisti stranieri e che la polizia guida le perquisizioni a caccia di materiale fotografico. La Cnn ha reso noto che la sua troupe al Cairo è stata malmenata e che la polizia ha sequestrato il girato e distrutto le telecamere.
Algeria: il presidente Abdelaziz Bouteflika annuncia che lo stato di emergenza, in vigore dal 1992, verrà revocato a breve. Yemen:manifestazioni di protesta divampano in tutto il Paese. L'opposizione, dopo aver rifiutato l'offerta del presidente Ali Abdullah Saleh, da 30 anni al potere, non ricandidarsi nel 2013, celebrano la versione yemenita della "Giornata della rabbia", invocando un cambio di regime. A Sana'a si radunano 20 mila persone, chiamate in piazza dai gruppi della società civile e dai leader dei partiti d'opposizione.
Libano: un centinaio di dimostranti tenta l'assalto all'Ambasciata egiziana di Beirut. Gli scontri con i reparti antisommossa che creano un cordone di sicurezza intorno all'edificio durano 20 minuti circa.

2 febbraio, Egitto: arrivano in piazza anche i sostenitori del presidente Hosni Mubarak; si registrano scontri con i manifestanti. L'esercito chiede alla gente di tornare nelle proprie case e annuncia che da ora in poi il coprifuoco sarà fatto rispettare con maggiore decisione. Gli Stati Uniti chiedono al governo egiziano che la transizione sia reale e cominci subito, quasi rispondendo al messaggio con cui Mubarak aveva dichiarato di voler portare a termine il suo mandato.

1 febbraio, Egitto: continuano le manifestazioni in piazza Tahrir, dove secondo alcune stime si raccolgono due milioni di persone. Mohammed elBaradei lancia un ultimatum al presidente Hosni Mubarak, chiedendogli di farsi da parte entro venerdì. L'esercito si schiera apertamente con la popolazione, riconoscendo la legittimità della protesta e delle rischieste categoriche rivolte al regime. Si diffondono voci circa una presunta fuga del Faraone verso il Bahrein. Nella notte il presidente parla al popolo e promette di non ricandidarsi per le elezioni di settembre ma conferma di voler restare al suo posto fino alla scadenza del mandato e di non voler morire lontano dal suo Egitto.
Giordania: re Abdallah accetta le dimissioni, chieste a gran voce dalla piazza, del Primo ministro Samir Rifai, ritenuto il responsabile della crisi economica che paralizza il Paese. Al suo posto nomina Marouf Bakhit, con l'incarico di formare il nuovo governo e attuare "delle vere riforme economiche".

31 gennaio, Egitto: varato il nuovo esecutivo di Ahmed Shafiq. Tra i nuovi ministri figurano Joudat al-Malt, alle Finanze, e Mahmoud Wagdi agli Interni, al posto di habib al-Adli, considerato il vero responsabile della repressione. La mossa non spegne le proteste; per i manifestanti si tratta di un'operazione maquillage, oltretutto tardiva. Dure critiche di Israele all'Unione Europea e agli Stati Uniti per aver abbandonato Mubarak al suo destino. L'egitto, dicono gli israeliani, non va destabilizzato.

30 gennaio, Egitto: le proteste continuano in tutto il Paese. Si diffondono i primi bilanci di giorni di scontri tra polizia e manifestanti: oltre 150 morti, mille feriti e centinaia di arrestati.
Sudan: centinaia di studenti scendono in strada a el Obeid, 600 chilometri a ovest della capitale Khartoum, per chiedere la fine del regime del presidente Omar el Bashir. La polizia risponde con i lacrimogeni nonostante i manifestanti si fossero limitati ad urlare slogan contro il governo. Secondo alcuni testimoni, accanto ai reparti antisommossa si sarebbero schierati studenti aderenti al partito di el Bashir. Disordini anche a Khartoum, dove la polizia ha schierato 20 camion davanti all'università, nel tentativo di impedire a 300 studenti dissidenti di organizzare una manifestazione contro il regime. Anche qui gli agenti hanno fatto ricorso ai manganelli e ai lacrimogeni.

29 gennaio, Egitto: all'una di notte il presidente Mubarak parla alla nazione e annuncia le dimissioni del governo. Da lì a poche ore annuncerà la nomina di Omar Suleiman, potentissimo ex capo dei servizi segreti egiziani e da anni eminenza grigia del regime, come vice-presidente, carica creata ex novo. Viene nominato anche un nuovo premier, Ahmed Shafiq, ex ministro dell'Aviazione civile. Non cessano però le manifestazioni: per la folla la mossa di Mubarak è una presa in giro. Si pretende un rinnovamento vero. Al Cairo la folla continua a crescere: viene tentato l'assalto al Museo Egizio. Una quarantina di persona riescono a penetrare all'interno e a distruggere un paio di mummie e diverse teche. Interviene la polizia che arresta i saccheggiatori tra gli applausi dei manifestanti, che formano un cordone attorno al palazzo per impedire che altri sciacalli possano entrare. Tank vengono schierati davanti al museo e davanti alle piramidi. L'aereoporto del Cairo è preso d'assalto. I turisti vi si riversano in fuga, scene di caos. Dall'area riservata continuano le partenze di magnati e dei potenti dello stato verso i Paesi del Golfo. elBaradei riesce a lasciare la sua abitazione e a raggiungere i manifestanti in piazza Tahrir, il cuore della protesta. La folla chiede le dimissioni di Mubarak, il quale ordina il ripiegamento dei reparti antisommossa e gioca la carta dell'esercito, che gode di grande popolarità nel Paese. La folla sfida il coprifuoco.

28 gennaio, Egitto: continuano le proteste in tutto il Paese. Si registrano oltre mille feritim 170 solo a Suez. La rete telefonica (e quindi anche Internet) continua a essere interrotta. Al Cairo secondo Al Jazeera fa la sua comparsa una unità antiterrorismo d'elite, piazzata in punti strategici. La tensione resta altissima. Si diffondo voci circa la fuga della moglie e dei figli di Mubarak a Londra. Nel pomeriggio le agenzie battono la notizia dell'arresto di elBaradei. Lanci successivi spiegano che l'ex direttore dell'Aiea sarebbe stato trattenuto mentre si trovava a pregare in una moschea. Anomala rivolta in un carcere a un centinaio di chilometri dal Cairo: le guardie abbandonano la struttura, i prigionieri prima di scappare saccheggino l'armeria. Alcuni osservatori spiegano che il regime stia giocando la carta del disordine per poi poter giustificare il pugno di ferro nel ristabilire l'ordine.

27 gennaio, Egitto: l'ex capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, Moghammed elBaradei ha annunciato l'immediata partenza da Vienna, dove vive, per Il Cairo, dichiarando di "essere pronto a prendere il potere se il popolo glielo chiederà" e dicendosi disposto ad entrare ad un governo di transizione. Per l'agenzia Reuters, l'opposizione guadagna un personaggio di caratura internazionale che potrebbe cambiare il quadro politico. Scontri a Suez e nel Sinai settentrionale. Il regime chiude l'accesso a Facebook, Twitter e Blackberry. Giordania: il re Abdallah II annuncia un programma di riforme economiche e sociali, nel tentativo di disinnescare lo scontento che ha portato per le strade di Amman centinaia di persone. Per la stessa ragione, ha invitato politici e funzionari a dare una risposta alle domande e ai bisogni della popolazione.
Yemen: dimostrazioni nel Paese contro il governo di Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni. Manifestazioni in mattinata nella capitale Sana'a e in altri centri.

26 gennaio, Tunisia: la polizia spara lacrimogeni sui manifestanti nella Casbah di Tunisi.
Egitto: Un manifestante e un agente di polizia muoiono negli scontri. I reparti antisommossa sparano lacrimogeni. Disordini anche a Suez, dove si registrano 55 feriti tra i civili e 15 tra gli agenti di polizia. Un portavoce del presidente americano Barack Obama dichiara che la Casa Bianca auspica che il governo egiziano risponda ai cittadini e riconosca i loro diritti universali.

25 gennaio, Egitto: viene indetto "la giornata della rabbia": scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nella capitale. Si radunano circa 30 mila persone in piazza Taharir, chiedendo riforme politiche e sociali, sul modello dei "fratelli tunisini". I manifestanti si dirigono verso la sede del partito di governo Pnd (Partito nazionaldemocratico), verso il ministero degli Esteri e la televisione di stato. Il ministro degli Interni, Habib el-Hadli promette il pugno di ferro "contro ogni manifestazione non autorizzata del dissenso". Il bilancio è di quattro morti, uno dei quali è un agente di polizia schiacciato dalla folla. Circa 400 le persone arrestate.

24 gennaio, Tunisia: cominciano negoziati per formare un governo ad interim, il cui compito è quello di "difendere la rivoluzione del Gelsomino".

23 gennaio, Tunisia: la polizia arresta il portavoce di Ben Alì, Abdelaziz in Dhia, e Abdallah Qallal, ex ministro dell'Interno e poi presidente della Camera alta del Parlamento. Arrestati anche Larbi Nasra e suo figlio, proprietari di Hannibal Tv, con l'accusa di tradimento, sospettati di favorire il ritorno di ben Alì dall'Arabia Saudita.

22 gennaio, Tunisia: circa duemila poliziotti si uniscono alla folla, chiedendo la dissoluzione del partito di governo. Alcuni manifestanti irrompono nell'ufficio del Primo ministro. Ai dipartimenti di esercito e servizi di sicurezza viene ordinato di non distruggere nessun documento.
Algeria: secondo Al Jazeera, in due settimane di proteste, otto persone si sono date fuoco, anche se alcuni casi sarebbero riconducibili a malattia mentale.

21 gennaio, Tunisia: indetto un lutto nazionale di tre giorni in memoria delle vittime della repressione. Manifestazioni pacifiche chiedeono la dissoluzione del nuovo ganibetto. Ghannouci promette di dimittersi subito dopo le prime libere elezioni, che verranno indette - dice - quanto prima.

20 gennaio, Tunisia: i ministri si dimettono in massa dall'Rcd (raggruppamento per la cultura e la democrazia), il partito di governo, come segno di discontinuità ma mantengono il posto.

19 gennaio, Tunisia: la Svizzera annuncia di aver congelato i beni della famiglia presidenziale. Intanto, viene avviata un'inchiesta per accertare l'entità della ricchezza di Ben Alì e del suo clan.

18 gennaio, Tunisia: nuove preteste scoppiano in diverse città. I manifestanti denunciano la presenza di troppi uomini della vecchia guardia nel nuovo governo.
Egitto, due persone si danno fuoco al Cairo e Alessandria.

16 gennaio, Tunisia: viene arrestato l'ex ministro dell'Interno, Rafik Belhaj, responsabile della repressione delle manifestazioni e della morte di decine di civili. Finiscono in carcere alcuni componenti del clan di Ben Alì.
Marocco: a Rabat, scontri tra polizia e dimostranti che provavano ad organizzare una manifestazione, sempre contro l'inflazione galoppante. Gli agenti sparano lacrimogeni.
Yemen: cresce la tensione a causa della mancanza di prodotti di carburante, per problemi di approvvigionamento. Il presidente Ali Abdullah Saleh silura Omar Arhabi, capo della Yemen Petroleum Company. Lunghe code davanti ai distributori.
Mauritania: un uomo, Ya'coub Ould Dahoud, si dà fuoco per protestare contro l'inflazione, davanti al Parlamento.

15 gennaio, Tunisia: la Corte Costituzionale ordina che il presidente ad interim sia lo speaker del Parlamento, Fouad Mebazaa, il quale chiama Mohammed Ghannouci per formare il nuovo governo. Scoppiano disordini in molte cittadine del Paese: si moltiplicano le denunce di piccole gang di saccheggiatori e criminali che approfittano della confusione.

14 gennaio, Tunisia: Ben Alì impone lo stato d'emergenza, scioglie il governo e promette nuove elezioni entro sei mesi. Vengono vietati i raduni di più tre persone. Nella notte il presidente riesce a lasciare il Paese con la sua famiglia. Arriverà, dopo il rifiuto della Francia di ospitarlo, in Arabia Saudita. L'esercito prende il controllo dell'aereoporto e lo spazio aereo viene chiuso.
Giordania: centinaia di persone si riuniscono nella cittadina meridionale di Rakak per gridare slogan contro il Primo ministro Samir al-Rifai. Altre proteste eplodono nella capitale Amman e a Irbid, nel nord.

13 gennaio, Tunisia: Una Ong parigina, ripresa da Al Jazeera, diffonde un bilancio provvisorio di due settimane di scontri nel Paese: 66 morti. Per il regime i morti sono 23. Ben Alì, in un discorso televisivo, promette una svolta liberale, riforme, un indagine sulle uccisioni dei manifestanti e di non ricandidarsi nel 2014.
Giordania: anche la popolazione giordana insorge contro l'inflazione. Il Movimento Islamico annuncia l'adesione alle manifestazioni indette dai partiti di sinistra contro il carovita previste per il giorno dopo ad Amman, Irbid, Aqaba, Madaba e Karnak.

10 gennaio, Algeria: continuano i disordini. Il bilancio provvisorio è di cinque morti e 800 feriti.

9 gennaio, Tunisia: la polizia uccide altri due manifestanti a Miknassi.
Algeria: il ministro dell'Interno, Daho Ould Kabila, conferma la morte di tre cittadini durante gli scontri a M'sila, Tipasa e Boumerdes.

8 gennaio, Tunisia: sei persone vengono uccise dai reparti antisommossa a Tala, al confine con l'Algeria. Altri tre morti nella regione di Kasserine.
Algeria: i manifestanti sfidano il divieto delle autorità e scendono in piazza per protestare contro il caroprezzi dei generi alimentari e degli affitti. La polizia interviene con violenza. Secondo la Cnn, tre persone sono rimaste uccise durante le manifestazioni in diverse città algerine. Oltre 300 i feriti.

7 gennaio, Tunisia: le autorità arrestano un gruppo di blogger e giornalisti, alcuni dei quali risultano scomparsi. Tra questi, figura Hamadi Kaloutcha.

6 gennaio, Tunisia: il 95 per cento degli avvocati tunisini sciopera per protesta contro la brutalità della polizia, chiedendo agli apparati di sicurezza di fermare la repressione.
Algeria: cortei e manifestazioni a Bab El Wadi, Zaralda e Wahran.

5 gennaio, Tunisia: muore il ragazzo che aveva dato il via alla protesta, incendiandosi.
Algeria: esplodono le proteste per l'inflazione dei generi alimentari.

3 gennaio, Tunisia: la protesta raggiunge le sedi del partito di governo. A Thala una manifestazione pacifica di 250 studenti viene repressa: seguono disordini, con camion e macchine date alle fiamme.

2 gennaio, Tunisia: Un gruppo di hacker attacca alcuni siti web governativi, mettendoli fuori uso. Il governo risponde sabotando i profili Facebook e Twitter di utenti che avevano raccontato in diretta le manifestazioni.

30 dicembre, Tunisia: morte di un manifestante colpito da proiettili sei giorni prima. Il Partito Socialista francese condanna la "brutale repressione del regime".

29 dicembre, Tunisia: la polizia disperde le proteste a Sbikhta e Chebba. Un network privato, Nessma Tv, comincia a coprire le manifestazioni, dando così una risonanza nazionale ad ogni corteo di protesta.

28 dicembre, Tunisia: il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali condanna le manifestazioni come "inaccettabili", opera di "pochi estremisti". I sindacati organizzano un altro corteo a Gafsa. Intanto 300 avvocati protestano davanti alla sede del governo contro la repressione dei manifestanti. Vengono dimessi, senza spiegazione, i governatori di Sidi Bouzid, Jendouba e Zaghouan. Anche tre ministri (Comunicazioni, Commercio e Affari religiosi) vengono sostituiti.

27 dicembre, Tunisia: Le proteste arrivano a Tunisi, dove la gente scende in piazza per chiedere lavoro e in segno di solidarietà con i manifestanti delle regioni più povere. I disordini intanto si estendono a Sousse.

25 dicembre, Tunisia: le proteste si estendono a Kairouan, Sfax e Ben Guerdane. Un portavoce del ministro dell'Interno giustifica la polizia che spara sulla folla per "legittima difesa".

24 dicembre, Tunisia: Mohammed Ammari, 18 anni, viene ucciso dalla polizia intervenuta per sedare una manifestazione trasformatasi in rivolta. Centinaia di persone si radunano davanti alle sede dei sindacati, protestando contro la disoccupazione. Scoppiano scontri violenti ad al-Ragab e Miknassi. La polizia tortura, Abderraman Ayedi, avvocato.

22 dicembre, Tunisia: Stesso villaggio, si uccide Houcine Falci durante una manifestazione. Esponeva un cartello con scritto "No alla miseria, no alla disoccupazione".

17 dicembre, Tunisia: Mohammed Bouazizi si dà fuoco davanti al municipio di Sidi Bouzid, in Tunisia. La polizia gli aveva sequestrato il banco di frutta e verdura, sostenendo che non avesse la licenza per vendere. Il giovane aveva protestato ed era stato picchiato, tanto da dover essere portato in ospedale. In questo primo episodio c'è la spiegazione di come la protesta contro la galoppante inflazione dei prezzi dei generi alimentari sia diventata subito politica e diretta all'ottenimento di riforme politche e sociali.


a cura di Alberto Tundo

http://it.peacereporter.net/articolo/26558/Food-riots,+reazione+a+catena+-+la+cronologia

Nessun commento: