giovedì 24 febbraio 2011

Muammar e i suoi figli la dinastia al capolinea

Mohammad, Hannibal, Fatima e gli altri, quando il potere è un affare di famiglia

Francesca Marretta
Quando arrivò per la prima volta in Italia nel 2009, Muammar Gheddafi portò con sè una foto del 1931 di Omar Al Mukhtar, il "Leone del deserto", simbolo della resistenza libica alla colonizzazione italiana. Dal punto di vista diplomatico, si tratta di una stravaganza. Una delle tante provocazioni del Colonnello di Tripoli. La repressione nel sangue delle rivolte di questi giorni in Libia, finirà per oscurare gli aspetti bizzarri della sua personalità. Nelle cronache degli anni a venire Gheddafi sarà ricordato come il macellaio di Bengasi, che non ha esitato a sguinzagliare mercenari per uccidere centinaia di libici. I cartelli e gli striscioni inneggianti a Omar el Mukhtar, sono oggi branditi dai manifestanti che chiedono la fine del suo regime. Dopo 41 anni al potere, quella dei Gheddafi appare come un'altra "Dinasty" del Medio Oriente arrivata al capolinea. Al pari di Mubarak in Egitto, Muammar Gheddafi aveva organizzato la successione al trono, preparandosi al passaggio dello scettro a uno dei suoi otto figli. Si capirà tra breve quanto impiegheranno i protagonisti della "Dinasty" libica a fare le valigie, come i vicini egiziani. Sapranno certo che la possibilità di vedersi recapitare un'ordine di cattura per i massacri di questi giorni dalla Corte penale internazionale, non è affatto remota. Considerato che la famiglia è numerosa, non è poi detto che trovino la porta aperta presso paesi "amici". Oltre al Colonnello, tocca trovare casa sette figli maschi e una femmina. Vediamo chi sono. Il figlio più intelligente di Gheddafi, si dice il prediletto, ha studiato alla London School of Economics ed è architetto. Si chiama Saif al Islam, spada dell'Islam. E' il primo figlio della seconda moglie di Gheddafi, Safia. Il nome affibbiatogli dal babbo è apparso a lungo una contraddizione con l'impegno mostrato da Saif in questioni come la salvaguardia dei diritti umani e le libertà civili.
Presidente della Fondazione Gheddafi, Saif è sempre stato considerato il riformista di famiglia. E' stato lui a imprimere una svolta in senso democratico all'informazione riaprendo un giornale e una televisione, viste come libere se comparate all'informazione di Stato. Ed è grazie a Saif, che è stata avviata la normalizzazione dei rapporti fra Tripoli e l'Occidente. Di recente, le velleità riformiste di Gheddafi Jr numero due, che non ha mai avuto, a differenza di alcuni fratelli, una base di potere nell'esercito e nei servizi di sicurezza, sono state ridimensionate. Tanto che quello che era un giornale esiste solo come sito web, Oea, che ha diffuso informazioni sui morti a Bengasi. Per la serie, il sangue non è acqua, alla prova dei fatti, il colto e riformista Saif si è schierato con papà. Un paio di giorni fa, in un discorso alla nazione via etere della durata di quaranta minuti, ha negato, che nei disordini di questi giorni in Libia vi siano stati centinaia di morti. Ha messo in guardia il popolo dal pericolo di una guerra civile manovrata dall'esterno, in particolare dagli esuli in Gran Bretagna e da chi ha interesse a mettere le mani sul petrolio libico. Se cade papà la Libia sarà divisa in emirati islamici, ha detto in soldoni Saif, che ha invitato a «porre fine allo spargimento di sangue». Come se la repressione non l'avesse ordinata il Colonnello. «Muammar Gheddafi sta guidando la lotta a Tripoli e vinceremo», ha concluso il messaggio televisivo il Gheddafi dotato del maggior quoziente intellettivo.
Il primogenito Mohammed, figlio della Prima moglie di Gheddafi, Fatima, è meno noto ai media e non alrettanto brillante. Nel 2006 disse che Papa Benedetto XVI avrebbe fatto bene a convertirsi all'Islam. Per ovvi motivi ha rimediato lavori buoni, a Tripoli, sia come capo del Comimato Olimpico libico, che nel campo delle telecomunicazioni. Il terzogenito, al-Saadi (o Saad), conosciuto in Italia come calciatore di serie A, ha ricoperto incarichi militari in Libia. E' anche noto alle cronache internazionali per lo sbarco a Hollywood dove ha investito cento milioni di dollari, proventi del greggio di casa. In questi giorni di tumulti e violenze in Libia, si è proposto come sindaco di Bengasi, dove però risulta «persona non grata». Motassin Bilal Gheddafi, per gli amici Hannibal, mise in crisi i rapporti con la Svizzera, quando, fu arrestato nel 2008 a Ginevra, insieme alla moglie incinta per aver picchiato due inservienti, una tunisina e un marocchino. Invece che scuse, dalla Libia scattarono immediatamente ritorsioni. Altre marachelle di Hannibal sono state segnalate, negli anni, anche Roma, Parigi e Coopenaghen. La sorella Aisha, 33 anni, avvocato, ha tirato fuori dai guai il fratello testa-calda in varie occasioni. Più che per le doti professionali, grazie al nome di famiglia. La togata di casa Gheddafi faceva parte del team di difesa di Saddam Hussein. Un'altra figlia femmina, adottata dal Colonnello, Hanna, morì nel bombardamento americano di Tripoli e Bengasi nel 1986. Del quartogenito Mutasim-Billah si dice abbia preso parte a un complotto contro suo padre, che però lo avrebbe perdonato. Tanto che in seguito è diventato consigliere per la sicurezza nazionale. Khamis, è capo del battaglione Jahfal 36. I cui uomini, secondo le testimonianze che arrivano in queste ore dalla Cirenaica, hanno ricevuto ordine di sparare ad altezza d'uomo contro cittadini libici. Il più giovane dei Gheddafi, Saif al-Arab, 29 anni, studia in Germania. Nel 2005 furono trovati fucili d'assalto e munizioni nella Ferrari di cui era alla guida. Buon sangue non mente. Intanto si rincorrono voci sulla fuga all'estero del Colonnello. Forse ha acquistato un pacchetto-famiglia a prezzo scontato. Per la Dinasty libica si avvicina l'ultima puntata.


Liberazione 22/02/2011, pag 3

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