venerdì 18 febbraio 2011

La rapina planetaria detta paradisi fiscali

Prendi i soldi e scappa

Maria R. Calderoni
Addio belle signore, vi saluto e vado a Singapore. Così faceva una canzone di Roberto Vecchioni degli anni Sessanta o giù di lì e nessuno ha mai capito che ci volesse andare a fare, lui, a Singapore. E' però certo, Singapore è una bella "piazza", intesa come paradiso fiscale, una piazza rinomata. Una vera tigre malese: questa piccola repubblica del Commonwealth situata tra la Malaysia e l'Indonesia - caldo umido, foresta tropicale, lingua tamil, 4 milioni circa di abitanti, primo porto commerciale del mondo e terza borsa asiatica - risulta dotata di formidabili forzieri off limits. Andate e portate tutti i soldi che volete, siete al sicuro. Singapore, che in sanscrito vuol dire "città del leone", è lontana, ma soprattutto imprendibile; e in più ha il privilegio di non essere inclusa nella lista dei 40 Paesi-ladroni. Ed è ormai un hub finanziario di importanza mondiale, un'attrazione fatale specialmente per il denaro "europeo". In sostanza, la metà degli investimenti che partono dal nostro continente in direzione Asia, approdano qui felicemente e qui felicemente "spariscono", cioè diventano top secret, volatilizzati attraverso l'ingegnoso sistema bancario qui in atto, degno della migliore tradizione anglosassone (la City se ne intende).
Paradisi fiscali. Loro se ne infischiano della crisi, e non gliene frega niente se l'Ocse agita l'inutile minaccia della "black list", la lista nera degli Stati che inguattano miliardi di miliardi di denaro fatto riparare all'estero e reso inaccessibile a ogni occhio di fisco, pur globale che sia. Paradisi fiscali, prendi i soldi e scappa.
Dicesi "paradiso fiscale", infatti, un territorio fuori controllo, al riparo dalla regolamentazione internazionale, con imposizione fiscale molto ridotta o addirittura assente; e con norme particolarmente rigide sul segreto bancario che consentono di compiere transazioni "coperte". Un territorio, si capisce bene, in grado di attrarre grandi masse di capitale, non importa di quale origine, natura e provenienza, criminale o meno.
Visto da questo punto di vista, insomma, un Territorio Ideale, un Paradiso, appunto. Di tali "paradisi" se ne contano attualmente tra i 40 e gli 80, a seconda delle stime (l'Ocse ne denuncia appunto 40). L'elenco è suggestivo e planetario, va' un po' a vedere dove arriva il Grande Denaro.Tanto per citare (e in ordine alfabetico): Andorra, Antigua, Aruba, Bahamas, Barbados, Belize, Cayman, Costa Rica, Cipro, Hong Kong, Isole Cook, Liberia, Liechtenstein, Lussemburgo, Macao, Mauritius, Panama, Samoa, San Marino, Svizzera (e metteteci anche l'Isola di Man). Le Isole Cook, le Isole Marshall e Madeira e Malta, e pure la piccola Tonga sperduta nel Pacifico ma ben attrezzata, capace di risucchiare svariati bilioni di dollari (vi ricordo che un bilione è uguale a 1.000 miliardi).
Paradisi, là dove si ragiona non in termini di milioni, ma di miliardi di dollari. Prendete le Cayman (30mila abitanti), là risultano imboscati 297.249 miliardi di dollari (di cui quasi 5mila provenienti dall'Italia, 50mila dalla Germania). Prendete la Liberia, africana e povera, là ne sono finiti 16.231. E la fantastica Isola di Man, «senza tempo, eterna e misteriosa», dove Hitchcock ha girato uno dei suoi film? In mezzo al Mar d'Irlanda, 76mila abitanti, dipendenza della Corona Britannica, lei vanta il Tynwald - il parlamento più antico del mondo (979 d.C.) - nonché la Grande Foresta e il Regno delle Fate; ma vanta anche la formidabile attrattiva di essere una specie di Isola del tesoro: 50 miliardi di euro, tesaurizzati e irreprensibilmente custoditi dentro i caveau delle molteplici banche autorizzate ad operare in questo magico rifugio degli "gnomi".
Ma non occorre andare tanto lontano. Più facile raggiungere l'ultimo granducato rimasto al mondo, quel Lussemburgo che è pure uno dei padri fondatori dell'Unione Europea e vanta uno dei redditi pro capite più alti (43mila euro): lì sono pronte 200 banche con oltre 400 miliardi di euro di deposito, e 6.000 fondi, appunto "lussemburghesi", che valgono affari per altri 300 miliardi. Andate tranquilli, per i non residenti lì non esistono tasse né sul reddito, né sui dividendi, né sul capital gain, tampoco si pagano imposte di successione; e inoltre il granducato, noblesse oblige, è assolutamente inespugnabile in fatto di riservatezza. Che volete di più?
E poi, comunque, c'è sempre la nostra immarcescibile Svizzera, l'ex Elvezia amata dagli anarchici - prima piazza offshore del mondo, 2.000 miliardi di dollari di fondi esteri in gestione - dove oltre 500 banche e assicurazioni fanno al caso vostro e dove il segreto bancario è un comandamento (rivelare il nome di un correntista può anche voler dire 6 mesi di galera). Oggi è Zug, il più piccolo e il più ricco dei cantoni, ad attrarre irresistibilmente i capitali fuggitivi: tra le stradine medievali e all'ombra della famosa Torre del Tempo, trovate infatti centinaia di palazzi modernissimi che ospitano le sedi delle ventisettemila imprese registrate alla locale Camera di Commercio (chissà perché proprio lì...). E se non la Svizzera, c'è sempre il Liechtenstein, 35mila abitanti e 100mila miliardi di euro ben custoditi nelle 15 banche del Principato.
Si potrebbe passare in rassegna uno per uno tutti i 40 e più Stati-ladroni, ma crediamo di aver reso l'idea con i pochi esempi descritti. "Paradisi fiscali: uno scippo planetario", questo il titolo del libro-dossier pubblicato nel 2002 per le edizioni Malatempora a cura di "Ares 200 Onlus" . Secondo i dati del volume, il giro d'affari dei paradisi è di circa 1.800 miliardi di dollari l'anno. Di essi, il 40 per cento riguarda capitali provenienti da criminalità organizzata, traffico d'armi compreso; il 45 da "pianificazione fiscale" (eufemismo che sta per furto al fisco) derivanti per la maggior parte da società multinazionali, ma anche da persone fisiche, uomini d'affari, star dello spettacolo, ecc; il 15 da corruzione e saccheggi politici.
Il libro è un vaso di Pandora: le società offshore sparse sul pianeta sono 680.000; i trust 1.200.000; le banche con agenzie nei paradisi circa 10.000; l'evasione fiscale nel mondo 292 milioni di dollari Usa l'anno; il riciclaggio di denaro sporco circa 600 miliardi di dollari annui.
I paradisi fiscali non nascono da soli. La City di Londra ne sa qualcosa. E' un fatto, l'Inghilterra ad esempio domina incontrastata su più di venti paradisi dell'arcipelago fiscale fuorilegge, dalle Cayman a Man, alle isole del Canale; e ben può essere considerata un "portale" di lusso per introiettare capitali in transito e in cerca di "protezione".
Né l'Italia sta a guardare. Secondo la sezione antiriciclaggio dell'Ufficio Italiano Cambi, nel 1999 erano non meno di 10mila miliardi di lire i capitali che lasciavano l'Italia per emigrare nei forzieri offshore; e non risulta che il cosiddetto scudo fiscale, introdotto a beneficio dei capitali che rientrano, abbia sortito un effetto decente. Anzi, il denaro ha continuato a battere le solite strade occulte. Anzi, tutto risulta ancora più facile oggi, e anche incredibilmente veloce, grazie al trasferimento elettronico: in meno di 24 ore - vi assicurano - potete "movimentare" il vostro denaro ben 72 volte in giro per il mondo.
Ci provò De Gaulle. Nel 1962 organizzò una specie di spedizione militare inviando a Monaco centinaia di doganieri per pretendere dal Principato l'impegno a tassare i residenti francesi. Più recentemente, Angela Merkel ha mosso i servizi segreti e stanziato 5 milioni di euro per corrompere un funzionario di banca del Liechtenstein e indurlo a rivelare i nutriti elenchi di cittadini tedeschi con patrimoni imbucati a Vaduz. Ora ci prova l'Europarlamento: non più tardi di qualche giorno fa ha chiesto la chiusura delle piazze finanziarie offshore, prevedendo sanzioni già a partire dal Supervertice, quello del G20 fissato a Londra il 2 aprile. In pratica crollerebbe un Muro anche nel 2009, andrebbe in frantumi una Superpotenza detta Segreto Bancario.
Sì, chi ci crede.


Liberazione 22/03/2009, pag 8

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