giovedì 3 febbraio 2011

Quella fratellanza tra Islam, carità e conservatorismo

"I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo" di Massimo Campanini e Karim Mezran
Guido Caldiron
C'è uno spettro che si aggira per il Medioriente, che anche se annuncia profonde trasformazioni, non è detto porterà con sé la libertà? Saranno le organizzazioni militanti dell'Islam politico a egemonizzare il futuro delle società della sponda Sud del Mediterraneo che stanno dando vita in questi giorni a una vera e propria rivoluzione in nome della democrazia e della giustizia sociale? E se sì, questo significherà veder sfumare il sogno democratico di oggi? Questo il quesito che fa da sfondo ai commenti degli analisti internazionali alle straordinarie giornate che si vivono in questo momento al Cairo, Tunisi, Algeri, Amman e che, in ogni caso, cambieranno per sempre il volto di quei paesi. Un quesito che nasconde spesso il desiderio che lo status quo e gli interessi che garantisce non subiscano contraccolpi globali - perché il movimento che brucia le strade dell'Egitto non dovrebbe poter arrivare anche in Libia, Siria o Arabia Saudita? - e che sembra negare dignità politica alle moltitudini arabe che vogliono riprendere nelle proprie mani il loro futuro a più di quarant'anni dalla fine dei movimenti di liberazione nazionale, ma che merita di essere preso in considerazione nel momento in cui società intere scelgono di mettere fine democraticamente a decenni di autoritarismo e di povertà.
Perciò, per tentare di capire se davvero quella "islamista" potrebbe rappresentare una sorta di ipoteca sul futuro dei paesi che si cimentano oggi con il loro Sessantotto, non solo quello studentesco ma anche quello che portò nel nostro paese allo Statuto dei lavoratori - ma forse il paragone più azzeccato sarebbe con l'89 delle società dell'Europa dell'Est -, si può guardare a quel movimento dei Fratelli Musulmani che, oltre ad essere nato e essere ancora oggi molto attivo e presente in Egitto, incarna l'ipotesi più articolata e coerente di "via islamica alla politica". L'ampio studio I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, pubblicato di recente da Utet (pp. 282, euro 22.00), e curato da Massimo Campanini e Karim Mezran, rappresenta il miglior approccio al tema. Tra i maggiori studiosi italiani dell'Islam e docente di Storia dei paesi islamici all'Università di Napoli l'Orientale, Campanini, direttore del Centro Studi Americani di Roma e Adjunct Professor of Middle East Studies alla Johns Hopkins University, Mezran, hanno curato un'opera che ripercorre l'intera vicenda storica della Fratellanza avvalendosi anche del contributo di Anthony Santilli, sull'Egitto, di Daniele Atzori, sulla Giordania, di Marco Di Dunato, sulla Palestina, di Tiziana Giuliani, sul Maghreb e di Stefano Allievi, sull'Europa.
L'interrogativo che fa da sfondo al libro non potrebbe essere più attuale e verte proprio sul «rapporto tra democrazia e Islam» alla luce dell'esperienza storica conosciuta fin qui dal maggiore movimento islamista. E una prima risposta Campanini e Mezran la offrono già definendo l'oggetto del loro studio. «Una delle espressioni più ambigue che si possono utilizzare per classificare i movimenti islamisti contemporanei - spiegano i curatori dell'opera - è quella di distinguere tra islamismo moderato e islamismo radicale. In un certo senso la distinzione è euro-centrica, occidentalo-centrica»: gli islamisti moderati sono quelli che in qualche modo accettano la concezione politica dell'Occidente e l'ordine internazionale stabilito dall'Occidente, i radicali quelli che la contestano. Eppure, «nonostante queste ambiguità, è possibile dire che un islamismo "moderato", ancorché conservatore in molteplici scelte, soprattutto sul piano sociale, esiste». E la traccia più consistente di questa "tendenza" dell'Islam politico può essere rintracciata proprio nell'attività dei Fratelli Musulmani che, in particolare in paesi come l'Egitto, il Marocco e la Giordania, hanno «assunto posizioni "moderate" scindendo i propri destini dalle organizzazioni estremiste». «Si tratta - precisano Campanini e Mezran - di una posizione, per così dire "centrista" alle cui ali si pongono, a "sinistra" la teologia islamica della liberazione di un Shari'ati di un Hanafi (iraniano il primo, teorico di un avvicinamento tra Islam e marxismo e egiziano il secondo, fondatore della rivista "Islamic Left", nda), e, a "destra", il terrorismo di al Qa'ida».
La stessa storia della Fratellanza aiuta anche a cogliere un altro aspetto spesso poco chiaro nelle vicende dei movimenti islamisti, la cui genesi è erroneamente considerata come una sorta di reazione all'influenza occidentale sulle terre dell'Islam. Sorta nel 1928 in un paese che aveva già conosciuto la rivoluzione del 1919 contro l'occupazione inglese e l'organizzazione di elezioni generali, la nascita del gruppo «avvenne - come spiega Santilli - in un periodo in cui il processo di modernizzazione e di secolarizzazione dello stato egiziano si era esteso a tutti i compartimenti del politico», estromettendo la religione dalla gestione della macchina statale. E sarà proprio per «ristabilire la preminenza che l'Islam aveva perduto» che il fondatore della Fratellanza Hasan al Banna definirà le linee guida di un'"ideologia dell'azione" destinata a fare della fede e del ruolo del credente nella società il cuore della proposta islamista. Alla rivendicazione della centralità dell'Islam nello spazio pubblico, i Fratelli uniranno infatti fin dalle origini del loro movimento una particolare attenzione per l'educazione dei giovani e le pratiche caritatevoli nei confonti dei più deboli, poi diventata la cifra distintiva del gruppo attivo nella sanità, nell'assistenza sociale e nell'istruzione.
I Fratelli intendevano perciò liberare il paese dagli inglesi, come l'intero movimento nazionalista, ma non per creare una democrazia, bensì uno Stato islamico. Solo che nell'Egitto del periodo compreso tra le due guerre mondiali, e ancor di più nel secondo dopoguerra quando il paese diventò il centro politico e culturale del movimento panarabista e del socialismo arabo, una simile sfida si scontrò con una durissima repressione. Sarà infatti l'eroe pararabo Nasser, il colonnello che dal 1954 era salito ai vertici del potere dopo l'abbattimento della monarchia ad opera di un gruppo di ufficiali, che scioglierà i Fratelli Musulmani e farà impiccare, alla fine dell'agosto del 1966, il loro stesso leader Sayyid Qutb, successore di al Banna. «Questa esecuzione - spiega l'islamologo francese Gilles Kepel in Jihad. Ascesa e declino (Carocci, 2001) - porterà a una radicalizzazione dello scontro tra il nazionalismo allora trionfante (incarnato nel mondo arabo da Nasser nella sua versione socialista) e l'islamismo rivisitato da Qutb».
Tutto comincerà a cambiare quando il collante del socialismo arabo e il mito nazionalista cederanno via via il posto in molti paesi arabi all'autoritarismo e alla miseria gestite dagli ex eroi dell'indipendenza. «Alla fine degli anni Settanta - sottolinea ancora Kepel -, i rapporti di forza tra le due ideologie si saranno rovesciati e l'islamismo sarà diventato una nuova utopia capace di mobilitare le masse. Il contributo di Qutb, insieme a quello di altre due figure determinanti, il pakistano Mawdudi (1903-1979) e l'iraniano Khomeini (1902-1989), avrà un ruolo essenziale in questo processo»: «Tutti e tre condividono una visione principalmente politica dell'Islam e invocano l'instaurazione di uno stato islamico. In questo senso, si oppongono sia al nazionalismo laico predominante negli anni Sessanta, sia alle concezioni tradizionali dell'Islam, che non considerano la lotta politica una priorità assoluta».
In questo contesto i Fratelli Musulmani hanno acquisito un ruolo di primo piano, influenzando l'Islam politico dal Maghreb al Medio Oriente e facendo sentire il loro peso anche nelle comunità musulmane d'Europa, ad esempio in Francia e nel nostro paese. Questo mentre in Egitto, pur esprimendo un atteggiamento non sempre netto nei confronti del regime di Mubarak, la Fratellanza si trasformava nel maggior movimento organizzato dell'opposizione, sostenendo a un tempo un forte conservatorismo sociale, ad esempio nei confronti dei diritti delle donne, e alcune rivendicazioni di carattere economico provenienti dai settori più deboli della società. Anche, su questo punto, come racconta Anthony Santilli, «si è passati da un programma economico dalle tendenze "socialiste", che ha animato il movimento dalla sua nascita sino al periodo nasseriano, fino al convinto sostegno che oggi si accorda al corso neo-liberale, seppur con vaghi accenni all'importanza di garantire una giustizia sociale».
Come sembrano suggerire Campanini e Mezran con I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, la storia dell'islamismo potrebbe trovarsi ora di fronte a un bivio: le piazze arabe sembrano dirlo oggi con molta nettezza. Quel che è certo è che con i vecchi tiranni potrebbe cadere oggi anche il "muro" politico del mondo arabo: «Riteniamo che sia necessario uscire dalla contrapposizione tra il Verde e il Nero in cui si trova il Medio Oriente da almeno quarant'anni. Questa metafora indica da un lato, con il Nero, la capacità repressiva dello stato mediorientale, in genere autoritario e autocratico, e dall'altro l'unica reale opposizione a questo sistema che è rappresentato dal Verde dei movimenti islamisti. (...) Il Medio Oriente si è trovato ormai da decenni stretto nella morsa di questa letale contrapposizione che ha in sostanza paralizzato i sistemi politici, impedendo lo sviluppo di un'efficace liberalizzazione e l'evoluzione positiva della comunità politica».

Liberazione 02/02/2011, pag 12

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Titolo I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo
Prezzo € 22,00
Prezzi in altre valute

Dati 2010, XVIII-312 p., brossura
Curatore Campanini M.; Mezran K.
Editore UTET

http://www.ibs.it/code/9788802081922/zzz99-campanini-m-mezran/fratelli-musulmani-nel-mondo.html

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