giovedì 3 febbraio 2011

Palestina in (s)vendita: le carte della vergogna

Focus sui negoziati tra Fatah e Israele dopo le rivelazioni dal sito Wikileaks
Francesca Marretta
La storia dei negoziati tra l'Anp e i governi israeliani dal 1999 a oggi, va riscritta. La diffusione, a partire dalla scorsa settimana, di documenti riservati, noti come "Palestine papers", da parte della televisione del Qatar al Jazeera e del quotidiano britannico The Guardian, ha provocato un terremoto politico in casa palestinese. I documenti confermano, da una parte, elementi noti o almeno su cui circolavano da tempo speculazioni, come gli scambi di intelligence, in funzione anti-Hamas, tra i servizi di sicurezza dell'Anp e quelli israeliani, dall'altra, arricchiscono il quadro di elementi nuovi. Oltre ad accendere i riflettori sull'estrema debolezza negoziale e politica dei vertici dell'Anp, i leaks mettono in evidenza la discrepanza tra quello che è stato presentato all'opinione pubblica, palestinese e internazionale, e quello che accadeva a porte chiuse. I diretti interessati, dal Presidente palestinese Abbas, al capo negoziatore Saeb Erekat, gridano al complotto e puntano il dito contro l'Emiro del Qatar, e il presunto interesse di quest'ultimo e per lui della Tv dell'emirato, a infangare l'Anp a tutto vantaggio degli "amici", come insinua l'Anp, di Hamas. I dossier riservati, circa 1700, sono stati redatti da funzionari palestinesi, americani e britannici.
I "Palestine papers" riguardano quattro argomenti principali: Primo: le grandi concessioni che l'Anp ha mostrato di essere disposta a fare a Israele per ottenere uno Stato palestinese. Secondo, i compromessi sul diritto al ritorno dei profughi. Terzo, le questioni relative alla cooperazione con Israele in termini di sicurezza. Quarto, gli scambi tra l'Anp e gli Usa ai tempi della discussione del rapporto Goldstone alle Nazioni Unite. Illuminanti le parole di Saeb Erekat: «Vi regaliamo la più grande Yerushalaim della storia ebraica. Che volete di più? Manca solo che mi converta al sionismo». Questa è una delle frasi pubblicate nel dossier. Ma in un'intervista con Sir Robert Frost, su al Jazeera, ieri Saeb Erekat ha spiegato come le sue parole siano state decontestualizzate. I Palestine papers raccontano, intanto, le enormi concessioni che i negoziatori palestinesi hanno servito in questi anni sul piatto alla controparte israeliana, sugli insediamenti e sul negoziato relativo ai luoghi sacri di Gerusalemme. Nel 2008, ad esempio, l'ex premier dell'Anp Ahmed Qurei avrebbe detto si all'annessione a Israele di tutti gli insediamenti ebraici costruiti illegalmente dopo il 1967, a Gerusalemme, tranne che Har Homa (Jabal Abu Ghneim).
I palestinesi sarebbero stati disposti anche a scambiare parte del quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, con altri territori. L'Anp era pronta anche a trattare con Israele per affidare il controllo della Spianata delle Moschee a un comitato internazionale. Sarebbe stata questa la «soluzione creativa» proposta dal capo-negoziatore palestinese Saeb Erekat a George Mitchell (inviato Usa per le trattative di pace in Medio Oriente) in un incontro dell'ottobre 2009. «Per la Città Vecchià, sovranità alla Palestina, eccetto il quartiere ebraico e parti di quello armeno. Haram può essere lasciato da discutere. Avete i parametri della formula Clinton. L'unica cosa che non posso fare è convertirmi al sionismo», avrebbe detto Erekat.

Diritto al (non) ritorno.
Tzipi Livni a Saeb Erekat, nel 2008, quando era ministro degli Esteri di Israele: «Il vostro Stato sarà la risposta a tutti i palestinesi, compresi i rifugiati. Mettere fine alle rivendicazioni significa soddisfare i diritti nazionali di tutti». Nel corso di colloqui che non hanno mai portato a un accordo, l'Anp propose, in base al contenuto dei documenti segreti, che solo a una minima parte dei circa sei milioni di rifugiati palestinesi venisse riconosciuto il diritto al ritorno. Le concessioni fatte dai palestinesi riguardano, oltre al "numero simbolico", come lo definisce Erekat in uno scambio con l'ex Premier israeliano Olmert, di potenziali aventi diritto a tornare dai paesi in cui vivono come profughi, e la non concessione a questi ultimi a votare per l'approvazione di un accordo di pace con Israele. Il numero, secondo i palestinesi poteva essere di 100mila in dieci anni. Molti di meno, per Olmert.

Collaborazione Israele-Anp sulla sicurezza.
Siamo nel 2005, il ministro della Difesa israeliano Mofaz si rivolge così al ministro dell'Interno dell'Anp Nasser Yousef: «Perchè non lo ammazzate?» il riferimento è a Hassan al-Madhoun, cane sciolto, ma esponente delle Brigate martiri di Al-Aqsa, braccio armato di al-Fatah. «Vedremo» è la risposta di Yousef, che comunica al ministro israeliano di aver parlato della richiesta israeliana al responsabile dei servizi di sicurezza Rashid Abu Shabak. Qualche mese più tardi al-Madhoun fu ucciso a Gaza dagli israeliani. Ma oggi, alla luce delle rivelazioni emergono interrogativi sul ruolo svolto dall'Anp. Considerato anche che in base a uno dei documenti Erekat dice: «Abbiamo dovuto uccidere dei palestinesi per stabilire l'autorità della legge».

Gli Usa, l'Anp, Ginevra e il rapporto Goldstone.
Ottobre 2009, il Consiglio per i diritti umani dell'Onu deve discutere il Rapporto Goldstone, che ha indagato sui crimini di guerra commessi a Striscia di Gaza tra dicembre 2008 e gennaio 2009. Abbas accetta di contribuire alla proroga del voto sulla discussione del rapporto. Secondo le rivelazioni dei palestinian papers, già settimane prima dell'annunciata data per il voto, gli Usa avevano esercitato pressioni sull'Anp, per rallentare il voto allo scopo, secondo quello che gli Usa dicevano ad Abbas "di riprendere i negoziati con Israele". In questo senso l'Anp avrebbe assicurato di impegnarsi a fare "di tutto per creare un'atmosfera favorevole" al negoziati. Tradotto, propone un posticipo del voto presso il Consiglio delle Nazioni Unite. Cosa che, già all'epoca provocò una forte condanna nel mondo arabo e tra i palestinesi. Non si conosce la gola profonda che ha reso possibile le rivelazioni, ma alcuni osservatori hanno indicato nell'ex ministro ed ex capo dei servizi di sicurezza, Mohammed Dahlan, attualmente sottoposto a indagini per verificare se il suo patrimonio personale sia frutto di sottrazioni illecite alle casse dell'Anp, uno dei possibili delatori. Ma i "Palestinian papers" rivelano elementi nuovi anche relativamente all'inserimento dell'Anp negli equilibri regionali. Per esempio Abbas convinse un uomo d'affari a finanziare con 50 milioni di dollari il leader dell'opposizione iraniana Mir Hossein Mussavi. La cosa non si concretizzò. La faccenda è raccontata da Saeb Erekat, all'inviato speciale Usa George Mitchell in un incontro dell'ottobre 2009: «È il momento della verità in Medio Oriente. Ahmadinejad è a Gaza e in Libano. Il Pakistan sta andando fallito. Gli Stati arabi non fanno nulla. Abu Mazen ha dovuto convincere un uomo d'affari per pagare Mussavi in modo che avesse una stazione radio», avrebbe detto Erekat. La mossa di Abu Mazen è spiegata in questi termini da Erekat ad alcuni collaboratori: «Stiamo invertendo il comportamento arabo, che è quello di andare a Washington a dire quello che ci serve. Stiamo dicendo a Obama che possiamo dare aiuto in Pakistan, Somalia, Afghanistan, Iran». Tutto questo accade mentre il Medio Oriente è in fiamme e il popolo si rivolta contro il potere. Dall'Egitto, alla Tunisia, allo Yemen. Popoli che invocano democrazia, ma almeno hanno uno Stato. I palestinesi non hanno nemmeno quello.


Liberazione 01/02/2011, pag 4

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