giovedì 10 febbraio 2011

«Non, je ne regrette rien»: Rumsfeld non si pente

A giorni negli Usa l'autobiografia dell'ex capo del Pentagono di Iraq e Abi Ghraib
Martino Mazzonis
Non ha niente di cui scusarsi con il mondo, Donald Rumsfeld. Non ha sbagliato sul promuovere assieme alla banda neocon la guerra in Iraq e non ha sbagliato a gestirla. E' questo il messaggio che l'ex Segretario alla Difesa di George W. Bush consegna alla sua autobiografia di 800 pagine "Known and Unknown", di cui il Washington Post ha ottenuto una copia in anticipo, rivelandone i contenuti. Dedicata in larghissima parte proprio agli anni di Bush. Dopo il libro del presidente meno amato della storia Usa, che qui e la qualche rimorso sembra averlo avuto, uno dei cattivi di quell'amministrazione ribadisce che le scelte fatte sono state giuste. E semmai spiega i problemi avuti in politica estera come frutto della mancanza di disciplina e unità di intenti all'interno del gruppo che la gestiva negli anni tra il 2001 e il 2008. Ovvero, l'Iraq non è stato un problema di giudizio sbagliato, una scelta dissennata e basata su un'informazione sbagliata - le inesistenti armi di disstruzione di massa di Saddam - ma un'operazione gestita in maniera confusa all'interno del National Security Council, dove diverse figure chiave della politica militare ed estera litigavano tra loro. Peccato che gli analisti, già all'epoca imputassero le tensioni tra il Dipartimento di Stato (dove Segretario era Colin Powell) e il Pentagono, proprio al modo di lavorare di Rumsfeld. Il falco per eccellenza invece spiega che di fronte a certe tensioni tra Dipartimenti così importanti, «Solo il presidente può imporre delle scelte». E fa capire che Bush non era esattamente in grado di imporre la sua politica.
Insomma, a parte i litigi sul dopo Saddam, con Powell che insisteva per far emergere figure politiche autoctone e Rumsfeld che pensava bastasse mollare il gocerno a qualche figura in esilio, l'Iraq è stato la scelta giusta. E il Medio Oriente, con Saddam Hussein ancora al suo posto «Sarebbe un luogo molto più pericoloso». Il 78enne ex politico, più giovane e poi più anziano Segretario di Stato della stioria Usa, è uscito di scena nel 2006 quando dopo la pesante sconfitta nelle elezioni di mezzo termine l'ala pragmatica dei repubblicani impose a Bush di disfarsi dell'ala più imbarazzante della sua amministrazione. Wolfovitz aveva lasciato nel 2005, per andare alla Banca mondiale, dalla quale fu costretto a dimettersi per aver aumentato lo stipendio della donna con cui aveva una relazione, Zoellick, il vice di Rumsfeld lasciò con il suo capo. Tra le poche cose che nell'autobiografia racconta di sé c'è la tossicodipendenza dei due figli. Non ci sono - sembra di capire - grandi rivelazioni o passaggi del libro da cui emerga in qualce modo una figura diversa da quella che tutti abbiamo in testa. Come in passato, gli attacchi di Rummy agli avversari sono morbidi. In questo, l'ex diplomatico è un uomo di Stato: rivela le noie interne ma seza esagerare. Tanto più che se la prende con Colin Powell e Condoleezza Rice che, tutto sommato, sono ancora giovani e potrebbero sempre decidere un ritorno sulla scena politica. E' con loro che Rumsfedl è più critico. Con la giovane donna che ha era consigliera per la sicurezza nazionale e poi Segretario di Stato, che era troppo problematica e metteva davanti al presidente troppe opzioni possibili, anziché indicare una strada chiara. E poi, in Pakistan, così come in Uzbekistan, metteva troppa enfasi sui diritti umani e scaricò il generale Musharraf. Per non parlare degli sforzi diplomatici con Iran, Siria e Corea del Nord. Con l'ex generale con il quale si scontrò - e che lasciò l'amministrazione già nel 2005 - se la prende perché questi era riluttante a seguire le scelte di Bush in materia di politica estera e per attacchi che - a dire di Rumsfeld - Powell avrebbe fatto tramite i media, passando carte e suggerendo punti deboli della strategia del Pentagono che lo stesso Rumsfekld guidava.
L'unico rimpianto politico cui il diplomatico si lascia andare durante l'autobiografia è quello relativo alle dimissioni. Avrebbe dovuto andarsene dopo Abu Ghraib. No, non dopo la scoperta delle torture, ma dopo l'esplosione dello scandalo e la diffusione delle foto: due cose diverse, le torture erano autorizzate, il livello di malrattamenti gratuiti di Abu Ghraib no. Anche in questo caso non c'è pentimento, ma magari rimpianto a non aver gestito meglio la situazione. Ecco un libro di cui i prigionieri torturati avrebbero fatto volentieri a meno.


Liberazione 04/02/2011, pag 8

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