Continua lo sciopero senza precedenti dei lavoratori della funzione pubblica
Francesca Marretta
Passata la sbornia allegra dei mondiali di calcio, riusciti a ricompattare quella Nazione Arcobaleno che pareva il sogno incompiuto del padre della Patria Nelson Mandela, il Sudafrica di Jacob Zuma è ora alle prese con una protesta di popolo senza precedenti nell'era post-Apartheid. I lavoratori dell'intero settore pubblico scendono in piazza da ormai dieci giorni. Insegnanti, infermieri, guardie carcerarie, impiegati della Pubblica Amministrazione, marciano per le strade di Johannesburg, Pretoria, Città del Capo, Durban contro il governo dell'Anc. Chiedono aumenti di salario nella misura dell'8,6% e mille rand al mese in benefits (circa cento euro), rispedendo al mittente quel 7% e 500 rands messi sul tavolo dell'offerta. Mancano giusto i poliziotti che non possono aderire allo sciopero, pena il licenziamento, per un'ingiunzione della Magistratura che l'Esecutivo è riuscito ad ottrenere ieri. L'intervento del Tribunale del lavoro è scattato dopo che il sindacato di categoria aveva cominciato a mobilitare le forze dell'ordine per unirsi alle proteste. Nei giorni scorsi lo stesso Tribunale aveva decretato che servizi pubblici essenziali, come gli ospedali, riprendessero a finzionare immediatamente. E' stato invece necessario mandarci l'esercito. Ma persino sindacati che rappresentano i lavoratori del settore Difesa hanno minacciato l'adesione allo sciopero. Che potrebbe allargarsi ora anche al settore industriale. I sindacati sudafricani, come il Cosatu, che rappresenta oltre un milione di lavoratori, hanno annunciato che indietro non si torna, che la battaglia continua.
Picchetti e manifestazioni dunque continuano, e non è da escludere che si ripetano scene già viste in questi giorni di folla dispersa con lacrimogeni e proiettili di gomma. Il ministro della Sanità sudafricano Aaron Motsoaledi, medico, ha attaccato gli scioperanti del settore ospedaliero con parole pesanti, dicendo che chi lavora in strutture sanitarie non può permettersi di trasformarsi nel "killer" dei pazienti. Infermieri e addetti alle pulizie del Rahima Moosa Mother & Child Hospital di Johannesburg hanno rimandato l'accusa al mittente: «E' il ministro deve rispondere dei bambini morti negli ospedali». Un'insegnante che ha inviato un messaggio anonimo al quotidiano di Città del Capo "City Press" scrive: «Questa è una guerra. Purtroppo come in ogni guerra ci sono effetti collaterali. Fa male vedere infermieri che rifiutano di curare bambini e chi soffre, ma che scelta gli è rimasta?». Parole che gettano benzina sul fuoco in uno scontro sociale che mostra ferite profonde nella società sudafricana.
La rabbia portata in piazza in questi giorni fa tornare in mente le proteste nelle Township dell'anno scorso. Già allora, a cento giorni dall'elezione di Zuma, si protestava contro le mancate promesse dell'Anc per sollevare la popolazione da povertà e bassi salari. La rabbia dell'esercito di lavoratori del settore pubblico che si mobilita nell'intero Sudafrica dà la misura del fallimento del cosiddetto Black Economic Empowerment. Una politica che ha funzionato solo per pochi.
Secondo un rapporto pubblicato quest'anno dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (Osce), dal titolo "Tendenze nella distribuzione del reddito e della povertà in Sudafrica dalla fine dell'Apartheid", mentre gli indicatori sulle differenze sociali tra bianchi e cittadini di sangue misto permangono, ma mantegono gli stessi livelli che in precedenza, tra i neri sudafricani, la forbice si è allargata e si va allargando. Ed è contro i privilegi sociali ed ecomomici della classe dirigente sudafricana che i lavoratori del paese scendono in piazza.
Un dato particolarmente allarmante su come vanno le cose in Sudafrica, arriva inoltre dalla legge-bavaglio per la stampa e la libertà di espressione che l'African National Congress sta cercando di fare approvare. La legge (Protection of Information Bill) che sta attualmente seguendo l'iter parlamentare, darebbe potere ad agenzie governative di vietare la diffusione di informazioni su argomenti definiti di "interesse nazionale". Si dà ora il caso che contro una legge caratterizzata da vaghezza e discrezionalità relativa a tali presunte questioni di Stato, abbiano alzato gli scudi personalità perseguitate durante il regime dell'Apartheid. Per esempio il premio Nobel per la letteratura Nadine Gordimer. La scrittrice è firmataria di una petizione che intende fermare quella che è vista come una forma di censura assimilabile a quelle dei tempi dell'Apartheid. La petizione è sottoscritta da altri intellettuali sudafricani i cui lavori furono banditi ai tempi del regime segregazionista.
Liberazione 27/08/2010, pag 7
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