Parla il leader dell'Afghanistan solidarity party: «Siamo come l'Onda verde iraniana, ma molto più deboli»
Francesca Marretta
Kabul
La sede dell'Afghanistan solidarity party non potrebbe essere più anonima. L'appartamento di due stranze, senza bandiere, nè effigi alle pareti, si trova in un palazzo su uno stradone alla periferia di Kabul. Il primo agosto, questo movimento laico che non parteciprà alle prossime elezioni di settembre, ha organizzato una manifestazione al centro di Kabul a cui hanno preso parte qualche centinaia di persone, di cui circa la metà donne. Si protestava contro la presenza delle truppe Nato in Aghanistan, dopo l'uccisione di 52 persone a Herat, imputata alla forze Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf). «Ne organizzeremo altre», annuncia Razmak, secondo cui «la fine dell'occupazione Nato è il punto di partenza per costruire un Afghanistan democratico». Il governo Karzai è un «fantoccio che starebbe in piedi senza il sostegno Usa», continua il leader dell'Asp, fondato nel 2003, che secondo la stima dello stesso partito, conterebbe attualmente tra i 20 e 30mila affiliati e che ha legami con l'onda verde iraniana. «Organizziamo qui in Afghanistan manifestazioni contro il regime di Teheran, sopratutto ad Herat e come il movimento iraniano, la nostra anima sono i giovani, ma qui in Afghanistan siamo ancora in embrione», continua il 34enne e magrissimo Razmak, con due occhi che sembrano uscire dalle orbite. Il personaggio politico afghano che rispetta di più, con cui il suo gruppo politico collabora è Malalay Joya, 29 anni, parlamentare sopravvissuta a 4 tentativi di omicidio per le denunce contro i signori della guerra che siedono nel governo di Kabul, sospesa dalla carica nel 2007 per aver definito il Parlamento del suo paese «peggio di una stalla».
Come Malay, Razmak pensa che questo governo non sia meglio dei talebani, «anzi è più pericoloso, dato che ne fanno parte warlord e criminali che la fanno da padrone». Secondo Ramzak quello del ritorno dei talebani al potere è solo uno spauracchio. «Quando si affermò quel regime per molti, all'inizio, fu una liberazione da insicurezza e violenza gratuita. Poi il popolo afghano ha conosciuto l'assurdità di quel governo che mai rivorrebbe. Inoltre non si deve fare confusione tra i talebani pakistani e ceceni che combattono strategicamente le forze della coalizione in certe zone, con i vari gruppi locali. Gli afghani dei villaggi si rivolgono ai talebani non solo perchè li temono, ma per l'assenza dell'azione di governo mista a corruzione e abusi».
Karzai ha perso un'occasione storica, continua il giovane politico, che ai tempi dell'occupazione sovietica faceva parte dei Jabhai Mujaheddin, mentre al tempo dei talebani era rifugiato in Pakistan. «Quando l'attuale presidente arrivò al potere il sostegno popolare fu autentico. Anche noi lo sostenemmo, perchè speravamo, in quella fase, che si sarebbero aperte le porte di un processo democratico».
Secondo il quotidiano britannico The Guardian, che ha di recente pubblicato un commento sull'Afghanistan solidarity party, questo movimento che si batte per un Afghanistan laico troverebbe radici in quello che fu il partito politico maoista afghano fondato nel '68. Ma l'attuale leader, che allora non era ancora nato, non ne fa menzione. Sottolinea invece l'identità di vedute con Rawa, la sola organizzazione per i diritti delle donne in Afghanistan con agenda politica. Come le esponenti di Rawa, anche gli attivisti dell'Afghanistan solidarity party, ricevono minacce per le attività che svolgono. Intimidazioni che arrivano «da tutte le parti, dai governativi, come dai talebani», dice Razmak, che mostra una foto di Lal Mohammed, leader del suo movimento nella provincia di Helmand, ucciso cinque anni fa dai talebani, per il suo impegno per la scolarizzazione delle donne.
Il giovane politico è sicuro che alle prossime «elezioni farsa» di settembre voterà anche meno gente rispetto alle presidenziali che hanno riconfermato Karzai. Tira in ballo le candidate donne, definendole «paravento del regime». La maggior parte non ha mai fatto politica, nè si è distinta per impegno sociale, conclude Razmak, che fa qualche esempio «C'è Farida Tarana, che faceva la cantante o Rubina Jalali, che oltre alla bella presenza può vantare impieghi presso Kabul Bank e Azizi Bank». Ramzak resta perplesso nell'apprendere che anche in Italia siedono in parlamento o sono state candidare signorine di bell'aspetto che lavoravano in televisione e non avevano nel curriculum esperienze di impegno sociale o politico. Poi si mette a ridere. Fino a quando gli spieghiamo che non si tratta di uno scherzo.
Liberazione 05/08/2010, pag 6
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