Tonino Bucci
Nessuno è in grado di pronosticare quanto lunga sarà ancora la vita della Seconda Repubblica. Anche perché da nessuna parte è scritto quale sia l'ordinamento costituzionale su cui essa si fonderebbe. Quasi bastasse evocarne il nome ossessivamente per decretarne l'esistenza. Di certo c'è soltanto che di Seconda Repubblica si è iniziato a parlare con sempre maggiore frequenza dal 1993, anno a partire dal quale si sono succedute le diverse leggi elettorali che hanno introdotto il maggioritario. Da allora, benché la Costituzione sia sempre quella del '48, si è iniziato a parlare di costituzione materiale divergente da quella formale. S'è detto e ripetuto che il maggioritario avrebbe concesso ai cittadini la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti e, per estensione, di eleggere direttamente il premier, trasformando radicalmente la nostra Repubblica da parlamentare a presidenzialista. Non c'è dubbio che la destra berlusconiana abbia investito l'intero suo progetto politico sulla scommessa di una democrazia populistica, maggioritaria e presidenzialista, comportandosi nella prassi politica come se l'elezione diretta del premier fosse una realtà consolidata e non - come di fatto è - uno stravolgimento della Costituzione. L'errore della sinistra è di non aver capito la gravità di questo processo e di non averlo contrastato a sufficienza. Semmai si è illusa di cogliere, nello schema bipolare della Seconda Repubblica, un'opportunità anche per se stessa.
In questi giorni di fibrillazione della maggioranza di governo i politici di destra hanno fatto continui riferimenti alla sovranità popolare. Con l'intento di far passare nell'opinione pubblica l'idea che il governo sarebbe diretta espressione del popolo e che, quindi, in caso di una sua crisi, il ritorno alle urne sarebbe d'obbligo. Un tentativo di contrapporre il presidenzialismo (immaginario) alla forma parlamentare della nostra Repubblica (scritta nella Costituzione), come spiega Carlo Galli, docente di storia delle dottrine politiche all'università di Bologna.
Lo schema è chiaro: il Popolo contro gli intrighi del Palazzo. Eppure questo popolo assomiglia di più a un'immagine vuota agitata strumentalmente, non le pare?
Il popolo di cui parla la destra è un sovrano a intermittenza, a sprazzi, un sovrano che si manifesta solo episodicamente, in occasione delle elezioni. Ma tra un'elezione e l'altra questo popolo scompare, senza che se ne veda traccia negli atti e nelle decisioni di governo. E' un sovrano che emette un soffio vitale e poi sparisce, investendo il Capo di un'autorità definitiva e svincolata da qualsiasi limite. Il popolo è, per la destra, un'entità informe da sottoporre a manipolazioni mediatiche o un fantasma da evocare solo nella misura in cui la sua presunta volontà si incarni nel leader, l'unico legittimato a rappresentarlo. Siamo di fronte a un espediente narrativo, o meglio ideologico.
C'è un curioso capovolgimento. La destra, oggi, si candida come l'unica forza in campo disposta a difendere le prerogative della sovranità popolare, facendo appello al popolo e alla sua energia rivoluzionaria per spazzare via gli assetti formali di potere esistenti. Curioso che sia la destra a detenere il monopolio simbolico della rivoluzione, no?
C'è una bella differenza. Intanto, le rivoluzioni non si dichiarano, ma si fanno. La rivoluzione è la massima espressione politica del potere costituente del popolo ed è, per così dire, un'autoaffermazione immediata che si enuncia nel momento stesso in cui si compie. Nessuno si sognerebbe di dire che in Italia, oggi, esista una situazione rivoluzionaria. Semmai è vero il contrario, prevalgono la disaffezione per la politica, la sfiducia, il distacco. Ma soprattutto la destra attribuisce alla categoria di popolo un significato completamente diverso da quello che, storicamente, le ha attribuito la sinistra. Nella tradizione di destra il popolo è un'unità organicistica, una comunità chiusa cui si appartiene o non appartiene per requisiti "naturali" e che va mantenuta e difesa nei suoi confini. La sinistra invece ha sempre pensato che la società fosse un luogo di conflitti e che il popolo, ben lontano dall'essere una comunità organica, fosse all'opposto una comunità da allargare, attraverso l'estensione dei diritti politici, della cittadinanza e della libertà. Se c'è un compito urgente per la sinistra è quello di difendere la Costituzione, come ha sempre fatto del resto. Non sarà la rivoluzione bolscevica, ma non è neppure poco. Bisogna contrastare questa visione demagogica della destra secondo la quale il dettato costituzionale sarebbe soltanto una questione formale. Berlusconi è quasi riuscito a far passare nell'opinione pubblica l'idea che applicare le norme previste dalla nostra Carta - per esempio, che il potere di scioglimento delle Camere spetta al Capo dello Stato e non al Presidente del Consiglio - equivalga pressapoco a un intrigo di palazzo. Credo che questa versione populistica e plebiscitaria della democrazia sia davvero un pericolo da scongiurare.
Si dice che ormai sia in vigore una costituzione materiale e che la nostra democrazia, di fatto, sarebbe una democrazia presidenziale...
Qui bisogna fare un discorso molto chiaro. La nostra è per Costituzione una repubblica parlamentare. Certo, la sovranità appartiene al popolo, ma la esercita nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione. Il popolo elegge i parlamentari, non il governo, il quale, a sua volta, è un organo esecutivo legittimato a governare esclusivamente in virtù del voto di fiducia che ottiene dal Parlamento. Il premier (anzi, il Presidente del Consiglio dei ministri) non è eletto dal popolo come surrettiziamente si vuol dare a intendere, ma ottiene il suo mandato da una maggioranza parlamentare. L'unico organo che secondo Costituzione incarna legittimamente la sovranità popolare è il Parlamento. Negli Stati Uniti il presidente è eletto direttamente dal popolo, ma quella è un'altra storia, una diversa forma di Stato (federale) e di governo (costituzionalismo puro), e un diverso assetto sociale (veramente pluralistico). In Europa un modello di repubblica (semi-)presidenziale è quello francese, un modello venato da accenti autoritari. Quello che mi sorprende favorevolmente è constatare come in Italia, nonostante i tentativi di far passare nell'opinione pubblica l'idea che saremmo già ora una repubblica presidenziale, ci sia una capacità di resistenza da parte dei poteri istituzionali garantiti dalla Costituzione, del Parlamento, della Corte costituzionale e della magistratura.
Fini si accredita come il leader di una destra nuova, moderna, liberale. Eppure se per un verso il Presidente della Camera insiste molto sulla partecipazione e i diritti individuali, per un altro continua a fare riferimento a un'idea di comunità-nazione. Nel migliore dei casi, la sua assomiglia a una destra neogentiliana, a un neoliberalismo autoritario incentrato su uno Stato forte. Non è così?
Anche se si è spinto ad affermare che la nazione non è più l'unico fondamento di legittimità della politica, e che - davanti al fenomeno del multiculturalimso - questo fondamento è piuttosto la Costituzione, Fini è e resta un uomo di destra. Definirlo di sinistra sarebbe un'offesa per tutti. La destra cui fa riferimento è una destra conservatrice, il che beninteso non significa statica. Il conservatorismo può colorarsi - soprattutto in Italia - di accenti progressivi. Il Presidente della Camera si è pronunciato più volte a favore di aperture sul terreno dei diritti civili; e anche sul tema dell'immigrazione Fini ha più volte accennato alla necessità di allargare la sfera della cittadinanza. Ma questo non è un fatto nuovo nella storia della destra italiana. Anzi, direi che è una costante nel pensiero politico di destra rendere fluttuante la frontiera della cittadinanza al fine di stabilire chi è dentro e chi è fuori della comunità nazionale. E' in fondo la vecchia politica della cooptazione, la stessa attuata da Giolitti. Certo, sempre meglio un Giolitti che un Roudini che sparava sulla folla dei manifestanti o un Pelloux. Aggiungerei che oltre al populismo mediatico di Berlusconi e al conservatorismo illuminato di Fini, esiste anche un terzo modello di destra, quella di Tremonti e Bossi. Non è da sottovalutare, anzi credo che sia questa la destra che comanda davvero ed è quella più legata agli interessi materiali sui territori.
Liberazione 28/08/2010, pag 8
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