sabato 28 agosto 2010

Dalla destra alla destra. Postfascisti nel XXI secolo, ma con Gentile nel cuore

Fondazioni, giornali, webmagazine, libri. Il progetto culturale dei finiani

Tonino Bucci
Tutti ne parlano. La destra moderna e liberal del XXI secolo può contare su un leader, nella persona del Presidente della Camera, su una pattuglia di parlamentari, su un'eccellente visibilità politica, su un giornale quotidiano di riferimento - il Secolo d'Italia - su fondazioni come FareFuturo (che pubblica anche l'omonimo webmagazine) e Generazione Italia. In questa struttura sono coinvolti politici e intellettuali, giornalisti ed esponenti istituzionali, ex militanti del vecchio Msi e nuovi "compagni di strada". Tutti chiamati, ognuno a diverso titolo, a concorrere alla costruzione di quella che ormai viene definita la nuova destra del XXI secolo. Già da tempo, ben prima che la maggioranza di governo entrasse in fibrillazione, i periodici e le fondazioni dell'area finiana producono una quantità impressionante di iniziative politiche, dibattiti, tavole rotonde, riviste e saggi.
Ma quel che colpisce di questo intenso lavorìo è soprattutto la dimensione culturale, perché è sull'elaborazione teorica che in prevalenza la destra finiana ha puntato per definire la la sua immagine pubblica. Del resto, non c'è di che sorprendersi se un pezzo di classe dirigente politica erede nientemeno che dell'Msi investa così tanto nel proprio sdoganamento culturale.
Nessuno però sa dire con precisione cosa sia questa destra tanto rumorosa. Nonostante oggi conti quanto un drappello di parlamentari l'area finiana si candida a diventare la destra del XXI secolo e accredita di sé l'immagine di una destra nazionale, popolare, plebiscitaria. Al momento abbiamo solo nudi nomi, stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Postfascisti o liberali, statalisti ma anche mercatisti, cultori del merito e delle competenze ma sensibili ai diritti civili, garanti dell'ordine e degli obblighi ma non a discapito delle libertà degli individui, gelosi custodi della propria memoria (mettiamoci pure dentro il Ventennio, la Repubblica di Salò, Evola, Schmitt, Nietzsche, i campi hobbit) eppure disincantati, lanciati a passo spedito verso una politica postideologica, verso un immaginario leggero e un populismo-pop, tanto da accaparrarsi qualsiasi icona culturale di massa, da Zorro a Capitan Harlock, da Love Story a Giovanna d'Arco. Una destra che ama gli eroi ribelli e anarchici epperò anche l'ordine e il conformismo. Ce n'è per tutti i gusti in questa rapida carrellata (leggere il Secolo per credere).
Non c'è altro modo che entrare per il corridoio centrale se se ne vuol venire a capo, ad esempio sfogliando le pagine di uno dei (tanti) libri dedicati direttamente o indirettamente a Fini. Ci riferiamo a La destra e le libertà di Agostino Carrino, docente di diritto costituzionale all'Università di Napoli Federico II nonché editorialista del Secolo (edizioni Guida, pp. 368, euro 20,50). Una scelta non a caso, visto che del Presidente della Camera il saggio di Carrino porta anche la firma della prefazione. A voler fare uso della sintesi sono due gli ingredienti della ricetta di questa immaginaria destra del futuro, perfettamente integrata nella società multietnica in piena globalizzazione. Primo, si vagheggia una destra che non faccia più sfoggio della propria antimodernità, che non abbia nostalgie per comunità perdute o per un qualche ordine rintracciabile nell'epoca premoderna. Secondo, il requisito che si richiede alla destra perché possa diventare una forza nazionale-popolare è di andare "oltre gli steccati", oltre la contrapposizione fascismo-antifascismo. Punto d'approdo dichiarato, un immaginario postideologico e spregiudicato, capace di utilizzare a proprio vantaggio anche temi raccattati nel campo avversario della sinistra. Fino a sfiorare - altro cliché di destra - il gusto della provocazione beffarda, à la Prezzolini («la Costituzione di Stalin non era male», scrive Carrino).
Con orgoglio sprezzante viene esibita una certa disinvoltura nell'andare incontro al disordine, quasi una dichiarata esaltazione del fluire del tempo - ma in fondo fa parte della destra, tradizionalmente forza d'ordine, giocare anche col disordine. Carrino non lo smentisce, anzi cita pure Mao, «c'è un grande disordine sotto il cielo: la situazione è eccellente». «Il disordine ha valore perché è presago di ordine, così come l'ordine precede inevitabilmente qualche disordine». Può anche essere che l'uomo di destra del XXI secolo si lasci alle spalle il mito (risalente a Julius Evola) dell'eroe irriducibile in piedi in un mondo decdente di rovine, ultimo discendente di un'antica stirpe, una sorta di eroe ribelle in piedi in un mondo decadente di rovine. Ma non è - non illudetevi - una conversione, non è la rinuncia a un ideale di comunità fondata sulla gerarchia dei valori, sugli obblighi degli individui nei confronti dell'interesse generale, sull'armonia tra lavoro e impresa, su uno Stato "decisionista" o presidenzialista che sia. C'è ancora molto Gentile e della sua versione forte del liberalismo nelle affermazioni di Carrino. La svolta, semmai, sta nella consapevolezza che a una comunità nazionale a misura di ceti medi, pacificata in una sorta di neocorporativismo, non ci si può arrivare cancellando le istituzioni della democrazia rappresentativa, i diritti e la libertà degli individui. Non si può essere per la tradizione contro il futuro, per l'ordine contro il disordine, per gli obblighi contro i diritti, per la comunità contro l'individuo, per lo Stato contro il mercato. Questa destra non vuole più costruire il suo discorso politico sulla difesa di un ordine collocato in un passato premoderno, non se la sente più di contrapporre la fede identitaria in una comunità perduta «alla volontà di libertà che vive nell'uomo e che è altrettanto naturale del desiderio di ordine, pur se talvolta la libertà è costretta ad affermarsi esattamente rovesciando l'ordine tramandato».
Ma allora se non si può lottare contro la modernità, non resta che agire dentro di essa, utilizzarne gli strumenti, adottarne le forme sì, ma per stravolgerne i contenuti, per neutralizzarne gli effetti ritenuti più pericolosi, più nocivi e più disgreganti in una comunità che ha da essere il più omogenea possibile. «E' stato l'errore fondamentale di una certa vecchia destra - scrive Carrino - non riuscire ad accettare la crisi della modernità come fenomeno strutturale col quale convivere». Un discorso non contro le istituzioni della democrazia rappresentativa, ma comunque orientato a modificarle nel senso del patriottismo repubblicano, del populismo, del presidenzialismo, del decisionismo. L'apertura sui diritti civili, le concessioni sulla cittadinanza agli immigrati e agli stranieri vanno di pari passo con la riaffermazione del «senso di responsabilità verso l'intera comunità nazionale», degli obblighi dei cittadini rispetto «a un destino nazionale comune» (citazione dalla prefazione di Fini). Ordine e comunità non spariscono, né tntomeno lasciano la scena all'individuo. E anche quando si cerca tener dentro l'individuo e le sue libertà e i suoi diritti si tratta di un «rinnovato liberalismo», di un individuo che deve «custodire» la sua libertà manco fosse un segreto, in ogni caso piegandola al legame sociale. «Essere di destra significa, ancora oggi, rifiutare l'ideologia e la retorica dei diritti che si espandono e crescono su se stessi, senza limiti, e affermare la pari dignità dell'individuo e della comunità». Individui «che sappiano rischiare, agire, impegnarsi, lavorare senza intendersi attendersi a priori che lo Stato intervenga a aiutarli». Il circolo si chiude, nella comunità perfetta il mercato prescrive ai cittadini come rapportarsi gli uni agli altri e lo Stato decide quale sia l'interesse generale al quale - gentilianamente - il singolo ha da conformarsi. Non sarà una comunità-nazione definita da requisiti naturali, chiusa entro appartenenze di razza o stirpe o religione, ma l'ideale di un'entità omogenea rimane e per costruirla possono risultare utili anche gli strumenti del diritto costituzionale (da Schmitt a Kelsen). La nuova frontiera mobile è la cittadinanza, il confine che definisce e separa chi farà parte del corpo elettorale e chi no.

Liberazione 27/08/2010, pag 8

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