Ironia della storia. Il leader dell'ex colonia italiana fa shopping nel Belpaese
Simonetta Cossu
"It's the economy, stupid!" è la frase che rese celebre Bill Clinton nella sua corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Oggi, quando il colonnello Gheddafi atterrerà a Roma sarà bene che anche gli italiani se la ricordino: "E' l'economia, stupido!" Forse andrebbe un po' adattata allo spirito di questo decennio che più di economia parla di affari.
La torta in gioco infatti in questo campo è bella ricca. Ettore Livini su Repubblica parla di un giro da 40miliardi di euro. "Un pirotecnico giro d'operazioni -si legge - gestite in prima persona dai due leader e da un piccolo esercito di fedelissimi ("gli imprenditori sono i soldati della nostra epoca", dice il Colonnello) che ha già mosso in 24 mesi quasi 40 miliardi di euro e che rischia di cambiare - non è difficile immaginare in che direzione - gli equilibri della finanza e dell'industria di casa nostra".
Allora incominciamo con vedere quali sono i settori interessati. Direttamente Mohamed e Silvio detengono quote nella Quinta Communications, società di produzione cinematografica di Tarak Ben Ammar, l'imprenditore franco-tunisino tra i principali fautori dell'asse Arcore-Tripoli. Spiccioli, in quanto i grossi affari sono di ben altra portata. L'Italia ha dimostrato di saper essere un mercato tra i più aperti, e spesso gli interessi stranieri si sono indirizzati verso società leader in settori strategici.
La Libyan investment Authority (Lia) è stata creata nel dicembre di tre anni fa con una dotazione di 50 miliardi di dollari di capitale. E Gheddafi ha sottolineato che il 90% degli investimenti libici all'estero avranno come destinazione privilegiata l'Italia. E' da comprendere quindi il ricevimento in pompa magna da parte di Berlusconi. Solo quest'affermazione vale un fiume di denaro da 45 miliardi di dollari diretto sia verso le blu chip italiane che verso le pmi, tanto che Mediobanca ha un ruolo non secondario nell'indirizzare questi investimenti.
In cambio di questo fiume in entrata la Libia è pronta ad assicurare alle industrie italiane affari di non poco conto. Poco prima di firmare il trattato di accordo nel 2008, il segretario libico che lavorava alla stesura del trattato si presentò in Assolombarda a Milano per presentare il piano di investimenti previsti per modernizzare la Libia: 153 miliardi di dollari. Una cifra che fece cadere più di una mascella. Per questo il dossier Libia è su tutte le scrivanie che contano, non importa se sul lato della domanda o dell'offerta.
Oggi l'Italia è il primo partner commerciale per la Libia. Una posizione che vale 20 miliardi di euro nel 2008, in crescita del 27% sull'anno precedente.
Le imprese italiane sono già in Libia pronte a costruire strade e reti telefoniche. Da lì l'Eni, che è a Tripoli dal 1959 era Mattei, oggi ricava non meno di 250 mila barili di petrolio al giorno, il 30% delle importazioni italiane. E sempre dalla Libia arriva il 12& del gas importato. l'a.d. dell'Eni, Paolo Scaroni, solo pochi giorni fa ha detto di ritenere la Libia «come la pupilla dei miei occhi perchè con questo paese abbiamo relazioni importanti. Pensiamo che in Libia investiremo 25 miliardi di dollari». Scaroni ha aggiunto di considerare tutti i propri interlocutori «da Gheddafi a Chavez, tutti belli, bravi e buoni. Perchè per me sono tutti clienti». Alla faccia dei diritti umani.
Così come la costruzione della mega-autostrada da tre miliardi di dollari che attraverserà il litorale libico dalla Tunisia all'Egitto, 1700 chilometri è parco gioco per le aziende italiane. Alla fase di prequalifica, secondo quanto risulta all'agenzia Radiocor, parteciperanno infatti la cordata formata da Impregilo e Cmc di Ravenna, il consorzio fra Astaldi, Toto, Grandi Lavori Fincosit e Ghella, il gruppo Condotte. Alla finestra al momento il gruppo Salini-Todini, Pizzarotti, Cmb di Carpi, il gruppo Gavio tramite Itinera e diverse realtà del mondo cooperativo. L'opera è infatti prevista dal trattato di amicizia siglato nel 2008 fra Berlusconi e Gheddafi.
Dulcis in fondo le banche. Il colonnello è riuscito in due anni a diventare il primo azionista della prima banca italiana (Unicredit) con una quota vicina al 7% (valore quasi 2,5 miliardi) e grazie allo storico 7,5% che controlla nella Juventus è il quinto singolo investitore per dimensioni a Piazza Affari. Le finanziarie di Tripoli hanno studiato il dossier Telecom, puntano a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali. Palazzo Grazioli, nell'ambito del do ut des di questa realpolitik mediterranea, ha dato l'ok all'ingresso di Tripoli con l'1% nell'Eni ("puntiamo al 5-10%", ha precisato l'ambasciatore Hafed Gaddur). E la Libia ha allungato di 25 anni le concessioni del cane a sei zampe in cambio di 28 miliardi di investimenti. Un patto quello con la Libia che Berlusconi riassume così: «scuse e risarcimenti contro meno clandestini e più gas e petrolio».
Liberazione 29/08/2010, pag 2
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