Raul Mordenti
Il 25 luglio di Silvio Berlusconi si è consumato nelle modalità farsesche che contraddistinguono il ripetersi degli eventi nella storia (la prima volta in tragedia, la seconda in farsa, come dice Marx) ; invece del voto contrario al duce su un OdG di Dino Grandi, un bel po' di astensioni per difendere un sottosegretario alla Giustizia (sic!) indagato e indifendibile; invece dei saluti romani e dello sguainare dei pugnali della Milizia, il grido "Silvio! Silvio!" spudoratamente intonato dai fedelissimi nell'aula di Montecitorio; invece dell'invito alla "vendetta tremenda vendetta" di Pavolini, il fondo del "Giornale" di famiglia che invita a Votare, votare, votare; e, questa volta, neppure un reuccio in grado di far portare via da un'autoambulanza lo sconfitto. Altra differenza non da poco: questa volta l'esecuzione dei "traditori" ha preceduto, e non seguito, il "tradimento", con i fucili del plotone di esecuzione caricati col piombo dei "trattamenti Boffo" affidati ai sicari Feltri e Belpietro.
Resta la sostanza, resta cioè la fine di una coalizione che sembra naufragare sugli scandali e sulla rivendicazione dell'impunità, dato che il movimento operaio non è riuscito a farla naufragare sugli attacchi ai salari, sulla disoccupazione, sul precariato, sulla distruzione della scuola e dell'università e sulla gestione ferocemente classista della crisi economica. Tuttavia la fine del governo Berlusconi può anche non significare la fine di Berlusconi e del berlusconismo. Esiste sempre per "papi" la speranza - chiamiamola così - rappresentata dalla miseria della leadership del centro-sinistra. Chi volesse averne un assaggio probante vada a leggersi il recente intervento di Veltroni che ammonisce a non abbandonare il bipolarismo, ma anzi, se possibile, a rafforzarlo! Come se l'esperienza di un quindicennio di sconfitte non fosse ancora bastato per far capire a quelli come Veltroni che costringere la dialettica politica nello schema forzato della scelta fra due campi, e due capi, non solo mortifica la democrazia, non solo umilia e ferisce a morte il parlamentarismo disegnato dalla Costituzione, non solo impedisce che la dialettica della lotta fra le classi si rappresenti nella sfera della politica, non solo incrementa a dismisura l'astensionismo di sinistra, ma garantisce a priori la vittoria della destra. Insomma: il bipolarismo è la vittoria di Berlusconi, e una cosa non può esistere senza l'altra. Lo confessiamo: un po' conforta e (a seconda dei temperamenti) un po' disgusta leggere oggi da Massimo Cacciari che il bipolarismo è la rovina dell'Italia, e sentir dire più o meno le stesse cose da Francesco Rutelli, dato che questi due (e troppi altri silenziosamente pentiti senza una sola parola di autocritica) sono stati fra i maggiori teorizzatori e artefici del sistema bipolare che ha consegnato il paese alla banda berlusconiana.
Ma grande è il potere di oblio, oppure di perdono, del nostro popolo, e i pentimenti tardivi sono sempre preferibili all'accanita riproposta dei medesimi errori, e delle medesime sconfitte.
I comunisti hanno posto non da oggi il problema della necessità di fuoruscire dalla gabbia del bipolarismo per ridare forza e spazio alla difesa degli interessi popolari, alla democrazia, anzi alla stessa politica. Questa nostra proposta politica strategica, non contingente, incontra delle risposte importanti (lo sentiamo ogni giorno) nel popolo della sinistra, che ha purtroppo verificato con l'esperienza in questi anni l'assoluta inutilità, anzi la tremenda dannosità, del cosiddetto "voto utile", dato sotto ricatto. Non dimentichiamolo mai, e anzi ricordiamolo a tutti (dato che nessun altro lo fa notare): è il "voto utile" del bipolarismo che ha escluso dal Parlamento l'opposizione di sinistra, col bel risultato che le Camere votano ora all'unanimità la guerra in Afghanistan e che nessuno sostiene in Parlamento le ragioni degli operai in lotta; ed è sempre il "voto utile" che ha portato in Parlamento nelle liste del PD (magari eletti coi voti della nostra gente!) anche quei deputati che oggi si astengono o, addirittura, che votano per Berlusconi. Dunque, abbiamo buone ragioni per rivendicare la fine del terribile meccanismo del bipolarismo, e aspettiamo risposte chiare anche da parte di chi, come Vendola, tace su questo punto cruciale perché sembra aver sposato il bipolarismo e la sua logica micidiale.
E tuttavia, anche (o perfino) con il sistema elettorale attuale, si vada a votare al più presto.
Non spetta alla sinistra, in tutte le sue articolazioni, salvare il Governo della guerra, della disoccupazione e dei tagli alla scuola e alla sanità, e meno che mai spetta alla sinistra appoggiare la riproposta di queste medesime politiche, magari con Tremonti al posto di Berlusconi. Solo la campagna elettorale può mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità e renderci possibile presentare Berlusconi il conto, non solo delle sue malefatte giudiziarie ma anche della sua politica economica e del massacro sociale di questi anni. Che le forze politiche più legate alla borghesia si ricompattino (da Fini a Rutelli passando per Casini e, soprattutto, per Draghi e Montezemolo) serve a far capire a tutti qual è la posta in gioco, ed è una posta che ha a che fare (una volta di più) coi salari e con le pensioni, insomma col problema di quale classe debba pagare la crisi, o, per dirla con Lenin, di decidere "chi le prende e chi le dà".
La "questione comunista" e la sua nuova evidente attualità è tutta qui: se deve esistere, oppure no, un Partito comunista, che rappresenti cioè anche politicamente l'autonomia di lotte, di interessi e di prospettive del proletariato, vecchio e nuovo. Oramai è del tutto chiaro che molti, anche nel centrosinistra, pensano che un tale partito non debba assolutamente esistere, e per sopprimerlo essi sono disposti a pagare (coscientemente oppure no) anche il prezzo di un eterno ritorno del berlusconismo.
Dimostrare coi fatti non solo la teorica necessità ma anche la pratica possibilità di un simile Partito comunista è invece ciò che dà senso al nostro impegno collettivo di questi mesi, durissimi ma anche ricchi di possibilità e di entusiasmo.
Liberazione 06/08/2010, pag 1 e 3
Il 25 luglio di Silvio Berlusconi si è consumato nelle modalità farsesche che contraddistinguono il ripetersi degli eventi nella storia (la prima volta in tragedia, la seconda in farsa, come dice Marx) ; invece del voto contrario al duce su un OdG di Dino Grandi, un bel po' di astensioni per difendere un sottosegretario alla Giustizia (sic!) indagato e indifendibile; invece dei saluti romani e dello sguainare dei pugnali della Milizia, il grido "Silvio! Silvio!" spudoratamente intonato dai fedelissimi nell'aula di Montecitorio; invece dell'invito alla "vendetta tremenda vendetta" di Pavolini, il fondo del "Giornale" di famiglia che invita a Votare, votare, votare; e, questa volta, neppure un reuccio in grado di far portare via da un'autoambulanza lo sconfitto. Altra differenza non da poco: questa volta l'esecuzione dei "traditori" ha preceduto, e non seguito, il "tradimento", con i fucili del plotone di esecuzione caricati col piombo dei "trattamenti Boffo" affidati ai sicari Feltri e Belpietro.
Resta la sostanza, resta cioè la fine di una coalizione che sembra naufragare sugli scandali e sulla rivendicazione dell'impunità, dato che il movimento operaio non è riuscito a farla naufragare sugli attacchi ai salari, sulla disoccupazione, sul precariato, sulla distruzione della scuola e dell'università e sulla gestione ferocemente classista della crisi economica. Tuttavia la fine del governo Berlusconi può anche non significare la fine di Berlusconi e del berlusconismo. Esiste sempre per "papi" la speranza - chiamiamola così - rappresentata dalla miseria della leadership del centro-sinistra. Chi volesse averne un assaggio probante vada a leggersi il recente intervento di Veltroni che ammonisce a non abbandonare il bipolarismo, ma anzi, se possibile, a rafforzarlo! Come se l'esperienza di un quindicennio di sconfitte non fosse ancora bastato per far capire a quelli come Veltroni che costringere la dialettica politica nello schema forzato della scelta fra due campi, e due capi, non solo mortifica la democrazia, non solo umilia e ferisce a morte il parlamentarismo disegnato dalla Costituzione, non solo impedisce che la dialettica della lotta fra le classi si rappresenti nella sfera della politica, non solo incrementa a dismisura l'astensionismo di sinistra, ma garantisce a priori la vittoria della destra. Insomma: il bipolarismo è la vittoria di Berlusconi, e una cosa non può esistere senza l'altra. Lo confessiamo: un po' conforta e (a seconda dei temperamenti) un po' disgusta leggere oggi da Massimo Cacciari che il bipolarismo è la rovina dell'Italia, e sentir dire più o meno le stesse cose da Francesco Rutelli, dato che questi due (e troppi altri silenziosamente pentiti senza una sola parola di autocritica) sono stati fra i maggiori teorizzatori e artefici del sistema bipolare che ha consegnato il paese alla banda berlusconiana.
Ma grande è il potere di oblio, oppure di perdono, del nostro popolo, e i pentimenti tardivi sono sempre preferibili all'accanita riproposta dei medesimi errori, e delle medesime sconfitte.
I comunisti hanno posto non da oggi il problema della necessità di fuoruscire dalla gabbia del bipolarismo per ridare forza e spazio alla difesa degli interessi popolari, alla democrazia, anzi alla stessa politica. Questa nostra proposta politica strategica, non contingente, incontra delle risposte importanti (lo sentiamo ogni giorno) nel popolo della sinistra, che ha purtroppo verificato con l'esperienza in questi anni l'assoluta inutilità, anzi la tremenda dannosità, del cosiddetto "voto utile", dato sotto ricatto. Non dimentichiamolo mai, e anzi ricordiamolo a tutti (dato che nessun altro lo fa notare): è il "voto utile" del bipolarismo che ha escluso dal Parlamento l'opposizione di sinistra, col bel risultato che le Camere votano ora all'unanimità la guerra in Afghanistan e che nessuno sostiene in Parlamento le ragioni degli operai in lotta; ed è sempre il "voto utile" che ha portato in Parlamento nelle liste del PD (magari eletti coi voti della nostra gente!) anche quei deputati che oggi si astengono o, addirittura, che votano per Berlusconi. Dunque, abbiamo buone ragioni per rivendicare la fine del terribile meccanismo del bipolarismo, e aspettiamo risposte chiare anche da parte di chi, come Vendola, tace su questo punto cruciale perché sembra aver sposato il bipolarismo e la sua logica micidiale.
E tuttavia, anche (o perfino) con il sistema elettorale attuale, si vada a votare al più presto.
Non spetta alla sinistra, in tutte le sue articolazioni, salvare il Governo della guerra, della disoccupazione e dei tagli alla scuola e alla sanità, e meno che mai spetta alla sinistra appoggiare la riproposta di queste medesime politiche, magari con Tremonti al posto di Berlusconi. Solo la campagna elettorale può mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità e renderci possibile presentare Berlusconi il conto, non solo delle sue malefatte giudiziarie ma anche della sua politica economica e del massacro sociale di questi anni. Che le forze politiche più legate alla borghesia si ricompattino (da Fini a Rutelli passando per Casini e, soprattutto, per Draghi e Montezemolo) serve a far capire a tutti qual è la posta in gioco, ed è una posta che ha a che fare (una volta di più) coi salari e con le pensioni, insomma col problema di quale classe debba pagare la crisi, o, per dirla con Lenin, di decidere "chi le prende e chi le dà".
La "questione comunista" e la sua nuova evidente attualità è tutta qui: se deve esistere, oppure no, un Partito comunista, che rappresenti cioè anche politicamente l'autonomia di lotte, di interessi e di prospettive del proletariato, vecchio e nuovo. Oramai è del tutto chiaro che molti, anche nel centrosinistra, pensano che un tale partito non debba assolutamente esistere, e per sopprimerlo essi sono disposti a pagare (coscientemente oppure no) anche il prezzo di un eterno ritorno del berlusconismo.
Dimostrare coi fatti non solo la teorica necessità ma anche la pratica possibilità di un simile Partito comunista è invece ciò che dà senso al nostro impegno collettivo di questi mesi, durissimi ma anche ricchi di possibilità e di entusiasmo.
Liberazione 06/08/2010, pag 1 e 3
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