martedì 17 agosto 2010

Grossi guai nelle Chinatown di tutta Italia

Insediamento e rapporti delle Triadi nel nostro paese in un saggio di Chiara Caprì

Gemma Contin
Chiara Caprì è una ragazza di 23 anni, studentessa di Medicina, socia fondatrice di Addio Pizzo, ai cui ragazzi del comitato palermitano rivolge «un ringraziamento speciale per tutti questi anni passati e vissuti a stretto contatto che mi hanno fatto crescere, imparare, volare alto».
Chiara ha scritto un libro di straordinaria attualità pubblicato da Ottavio Navarra, un temerario giovane editore siciliano che nella collana Officine ha voluto dare opportuno spazio a questo Lanterna Rossa: la Cina è vicina e Cosa Nostra lo sa (167 pagine, 14 euro).
Che sia di stringente attualità lo dicono le cronache di questi ultimi mesi: notizie di violenze nelle diverse "China town" d'Italia, da Roma a Milano, da Torino al Nordest, dalla Padania all'Etruria alla Trinacria, tanto per usare un lessico caro ai leghisti; e poi traffico di donne da avviare alla prostituzione e di bambini per il "mercato" pedo-pornografico; e ancora spaccio di droghe e persino di organi destinati ai trapianti clandestini; e infine capannoni-lager a Prato e Sesto Fiorentino, dove sono stati individuati e "liberati" interi gruppi composti da decine di lavoratori e lavoratrici cinesi, quasi sempre irregolari (si vedrà come e perché) ridotti in stato di schiavitù.
Capannoni-lager in cui venivano rinchiusi uomini, donne e bambini - sì anche minori - per lavorare stoffe o pellami per le maggiori e più note griffe nazionali e internazionali, per le quali erano non solo supersfruttati ma anche malpagati (il più delle volte solo la cifra necessaria al "riscatto" del viaggio dalla Cina all'Italia), alimentati con ciotole di riso o a pane e acqua, pur lavorando senza soluzione di continuità, 24 ore al giorno, buttandosi su pagliericci fetidi, pieni di urina e di scarafaggi, quando arrivano allo stremo, dopo aver faticato fino allo sfinimento per padroni-schiavisti cinesi e intermediari-faccendieri italiani.
Ne ha dato puntuale informazione il Sole 24 Ore nello scorso mese di luglio, non solo sull'onda dell'orrore scoperto dalle forze di polizia o del clamore di alcune operazioni condotte dalla Guardia di Finanza, ma con un'ampia analisi sul fenomeno dell'economia illegale-sommersa cinese, sulla presenza e l'insediamento delle Triadi sia nelle grandi città sia in aree sempre più vaste del territorio italiano, sulle grandezze dei capitali criminali che vengono riciclati per approdare all'economia legale attraverso operatori italiani e intermediari finanziari basati a San Marino o Montecarlo, ed infine, sulle connessioni pericolose, già in atto o in corso di aggregazione, tra le organizzazioni cinesi e le mafie tradizionali presenti nelle diverse regioni di riferimento e nelle diramazioni prescelte - soprattutto in Piemonte, Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio - ovunque le direttrici del business si snodano e trovano referenti locali e sbocchi di investimento.
Ma la cronaca e l'attualità sono state precedute da alcune indagini che nel corso degli ultimi anni hanno avuto premonizione di quanto andava accadendo e hanno cercato di mettere a fuoco il fenomeno. Oltre alla suggestiva e impressionante narrazione che ne ha fatto Roberto Saviano nel suo celeberrimo Gomorra, particolarmente significativi e pregnanti sono stati alcuni convegni, relazioni e dibattiti sull'impervia e complessa questione.
Ne ricordiamo uno, organizzato dal Centro studi Pio La Torre alcuni anni orsono, che aprì il confronto sulle mafie straniere tra operatori del diritto, magistrati, studiosi e forze di polizia e di intelligence anche statunitensi, giapponesi, russe e maghrebine. Di quel convegno purtroppo se ne sono perse le tracce, e i contributi e i documenti presentati a suo tempo purtroppo non sono mai stati pubblicati.
Ci sono state poi molte altre occasioni per riaccendere l'attenzione attorno a una questione tanto complicata e indecifrabile: forse la più segreta, sia per le chiusure endogene sia per le difficoltà idiomatiche e simboliche, fra tutte le organizzazioni criminali. Tra le più significative ricordiamo la Relazione sulle organizzazioni criminali transnazionali della Commissione antimafia nella XIV legislatura, i Rapporti al Parlamento della Direzione investigativa antimafia (Dia) nelle parti riferite alle mafie allogene, i capitoli specifici dei documenti prodotti dalla Direzione nazionale antimafia (Dna), fino alla Relazione presentata alla fine del 2009 dalla dottoressa Olga Capasso, sostituto procuratore nazionale antimafia, che, soprattutto in merito ai meccanismi di riciclaggio e alle connessioni tra triadi e mafie, ha scritto: «Per riciclare il denaro illecitamente accumulato i cinesi si avvalgono di esperti italiani che, con bonifici internazionali riconducibili a società italiane, operano in realtà per i loro clienti asiatici. In Cina vengono così comprati altri capannoni per continuare la fabbricazione della merce contraffatta, oppure il denaro resta in Italia, dove viene reinvestito in immobili. Oggi si nota tuttavia una maggior tendenza da parte dei cinesi ad affrancarsi da consulenti e operatori italiani per avvalersi di consulenti loro connazionali. Fenomeni da analizzare sono l'acquisto di immobili a prezzi sproporzionati e la gestione dei ristoranti, oggi quasi vuoti, che fa presumere che l'attività lecita serva solo da copertura per altre illecite».
Il libro di Chiara Caprì si colloca dunque in questo contesto, in un crescendo di apprensione non solo dell'opinione pubblica ma anche degli operatori della giustizia e dell'economia.
Scrive infatti l'autrice, rifacendosi alla relazione 2008 della Dna: «Consistenti gruppi di etnia cinese si trovano anche a Napoli, Catania e Palermo, città nelle quali si registrano collegamenti con la criminalità locale con la quale hanno rapporti di affari. Il dato di maggiore rilievo è quello che attiene ai contatti tra gruppi cinesi e gruppi camorristici nel settore della contraffazione delle merci... Da un iniziale stato di soggezione dei gruppi cinesi nei confronti della camorra, si è poi passati a una rivendicazione di maggiore autonomia da parte di questi clan... E' da rilevare infine che, come è avvenuto per altri gruppi criminali stranieri, anche i cinesi hanno mutuato dalle cosche italiane alcuni dei moduli operativi della criminalità delle città nelle quali delinquono, condividendone anche la tipologia dei reati in grado di assicurare agevoli profitti».
E sulla manovalanza ridotta in schiavitù, o destinata alle attività criminali, Caprì scrive: «Dalla Cina fino all'Est Europa, gli immigrati arrivano soprattutto a Praga e in Bulgaria, da qui passano in Francia, nell'area di Parigi, dove si trova la più grande comunità cinese del continente e, secondo gli inquirenti, anche il vertice delle triadi europee. In Italia, come negli altri paesi dell'area comunitaria, i cinesi arrivano con i mezzi più disparati: treni, furgoni, auto. Secondo gli accertamenti, il traffico clandestino di immigrazione dalla Cina avverrebbe via Mosca, Praga, Parigi e Venezia. Città di destinazione: Napoli e Firenze».
Nella prefazione del pm palermitano Maurizio De Lucia si legge: «Non vi è dubbio che le organizzazioni criminali cinesi, e non solo, stanno guardando all'Italia e più in generale all'Europa come a un nuovo fiorente mercato degli affari legali e illegali nel quale inserirsi. Come è noto, soprattutto con riguardo all'Italia meridionale, altri "operatori" criminali occupano nella sua totalità lo spazio criminale. Tale situazione già oggi pone serissimi pericoli di tenuta dell'ordine democratico e in futuro è destinata a porne di ancora maggiori, lì dove le comunità straniere, e quella cinese in particolare, saranno destinate a incrementarsi».

Liberazione 12/08/2010, pag 8

Nessun commento: