lunedì 9 agosto 2010

Cricca Economy. Il capitalismo dei disastri italiani

In libreria l'isdtant book di Bonaccorsi, Nalbone e Venti

Fabio Sebastiani
Cricca economy (Alegre, pp 141, 12 euro) fa il verso, esplicitamente dichiarato, ad un saggio fondamentale per capire il presente, Shock economy di Naomy Klein. Mutatis mutandis, l'istant book di Manuele Bonaccorsi, Daniele Nalbone e Angelo Venti, è sicuramente uno dei rari tentativi di mettere insieme i frammenti di una contemporaneità rispetto alla quale la sinistra non solo è in netto ritardo di analisi, ma anche in forte debito di idee e proposte. Frammenti giornalistici, certo, ma inquadrati da un nuovo punto di vista, che fa perno sulla teoria di uno Stato sempre meno "sovrastruttura" dell'economia e sempre più "fabbrica del consenso" a suon di quattrini, quindi struttura economica vera e propria.
C'è un modo, che non sia lo sterile sdegno morale o il giustizialismo oltranzista, per capire l'Italia in cui viviamo? Cricca economy parla degli affari «del capitalismo dei disastri» analizzando le vicende, visibili e invisibili, di un Bel Paese che forse, da questo punto di vista, è molto più moderno di quanto non si creda. Corruzione, affarismo senza confini, ma anche cinismo, ipocrisia, eversione, violenza sono, volenti o nolenti, gli ingredienti di base di questa modernità.
Una volta era lo "Stato delle corporazioni". Oggi, le corporazioni prendono lo Stato a proprio uso e consumo. E non sono più nemmeno corporazioni, a dire il vero, concetto troppo nobile per gruppi "a geometria variabile", che agiscono come vere e proprie macchine del consenso elettoralistico lungo una filiera politico-mafiosa.
Sono stato personalmente testimone di uno di questi quadri di squallore quotidiano quando poche settimane prima dall'avviso di garanzia a Guido Bertolaso, il personaggio veniva insignito dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, del premio Roma per la Pace: un evidente e maldestro tentativo di togliere gli schizzi di fango da un'icona sull'orlo di una forte crisi di credibilità. Tentativo, questo va detto, di cui si è resa complice l'Enel, sponsor della finzione-concerto del Natale 2009 all'Auditorium di Roma. Tra le motivazioni del premio il sindaco sottolineò, udite udite, la capacità dell'uomo di «sottrarsi ai riflettori dei mass media» (letterale). Insomma, merda per cioccolata. E' tutto lì il giochino. Specchi, luci e parole giuste per rappresentare, e produrre, una realtà che non c'è ma che intanto serve a produrre voti. Il premio ancora non gliel'hanno ritirato ovviamente e nemmeno sospeso.
Attorno allo Stato, ai suoi meccanismi e alle sue leggi si va combattendo una guerra feroce di vere e proprie "bande armate" (si può discutere il concetto di banda armata) che quotidianamente hanno la necessità di escogitare il modo migliore per tenere in piedi la corte di Cesare. Di "Cesare" non ce ne è uno solo, ovviamente. Pullulano, grandi e piccoli, sia a destra che nel centrosinistra.
Appropriazione dello Stato, quindi, nell'epoca in cui la politica perde valore. E allora di cosa si appropriano? Si appropriano del potere in quanto tale. Un potere non più in grado di produrre "universalità", e quindi società, proprio perché a sua volta sottomesso ai "poteri forti" che stanno a New York o a Bruxelles. Un potere che si accontenta di vivere all'ombra di quelli riproducendo quel po' di classe dirigente che vuole fare affari e vuole controllare gli snodi veri della società.
Il pregio di Cricca economy è proprio quello di indagare analiticamente i meccanismi e i percorsi di questo nuovo volto del potere. O meglio, di come il potere politico si sta adattando alla sfida della globalizzazione utilizzando pezzi di Stato che servono alla bisogna. Interessante per esempio, l'analisi sui "poteri speciali" della Protezione Civile, vera e propria testa d'ariete operativa per il disegno anticostituzionale del centrodestra.
Non essendo stato in grado di produrre un antagonismo reale alla crisi, il potere si adatta alle circostanze (perfino Obama lo fa) e cerca un modo tutto suo per tirare a campare. Ovviamente a farne le spese è la massa di persone costrette a subire tutto questo come una "emergenza continua". E' lì che l'emergenza si fa reale. Sopportare la Moratti e il suo Expo, Rutelli e il Giubileo e la corsa di Alemanno alle Olimpiadi, non è facile. Il concetto di emergenza, o se volete di shock, è centrale per capire cosa sta accadendo in questa allucinante modernità. Se non si capisce l'emergenza, infatti, non si può capire l'uso di Silvio Berlusconi del potere mediatico e né si possono capire gli appetiti delle multinazionali, e dei gruppi di potere, di fronte a un evento disastroso come lo tsunami o i terremoti.
L'emergenza è, per parafrasare un vecchio adagio, «la continuazione della guerra con altri mezzi». Una guerra che, paradossalmente, si dà da fare per ricostruire, ma ricostruisce sulla pelle della gente. Perché il risultato finale sarà più ricchezza e potere per pochi e un po' meno di disperazione per gli altri, la stragrande maggioranza. Quale è la capacità di Berlusconi? Semplice, aver coniugato questa politica dell'emergenza, e del "grande evento", con la produzione stessa del consenso. Da una parte la rete delle cricche, che da sole non ce la fanno a produrre il 63% di voti, ma sono una ottima intelaiatura per aprire le porte giuste e, dall'altra, un modo nuovo e moderno per produrre la leadership.
Alcuni sociologi, come Michele Prospero, (Il comico della politica, Ediesse) hanno spiegato ampiamente come la produzione dell'emergenza e la capacità di governarla da un punto di vista mediatico sia uno dei fulcri dell'azione politica del premier. Ecco perché l'Aquila è un'occasione troppo ghiotta per mettere insieme gli ingredienti di base: da una parte il disastro, da sfruttare mediaticamente, e dall'altra gli affari. Sembra una storia "tutta italiana", in realtà è qualcosa di più. Nel capitolo "Le cricche che verranno", Venti, Bonaccorsi e Nalbone cercano di spiegarlo in modo succinto, ma chiaro. Innanzitutto, l'emergenza è sinonimo di "grande evento". Do you remember le Olimpiadi di Torino? E il grande stratega Sergio Chiamparino? Passa il grande evento, lui incassa i soldi, li passa alla Fiat e sul territorio rimangono i corpi putrescenti dei dinosauri dei vari palazzetti dello sport che con il solito linguaggio ipocrita ed edulcorato vengono definiti "eredità olimpiche". Ma questo a chi importa ormai? Che importa se appresso ai dinosauri muore la politica e avanzano i poteri forti? Ma il centrosinistra, si sa, è un pantagruelico ricettacolo di idee per la destra. E' un caso se l'Expo l'abbiano vinto a quattro mani Prodi e la Moratti? E' un caso se le Olimpiadi di Roma, e il gran premio automobilistico, sono stati costruiti con lo stesso schema?

Liberazione 31/07/2010, pag 8

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