Il Festival inocula negli spettatori la paura del virus. Informatico e criptopolitico
"Monsters" e "Pulsar", altro che fantascienza
Boris Sollazzo
Locarno
Dopo dieci giorni di un festival, si può tracciare un bilancio. E da questo 63° Festival di Locarno si capisce che il nuovo direttore, Olivier Père, non ha timidezze di alcun tipo, non ha paura di andare per la propria strada - anche se la stampa ticinese più cattolica prova a fargli qualche sgambetto bacchettone - e come già faceva alla Quinzaine des Realisateurs, usa il linguaggio del genere per parlare a spettatori, appassionati, cinefili e critici. Che sia piaciuto o meno questo Festival, che si chiuderà domani, di sicuro ha di nuovo assunto quell'identità forte che era andato perdendo negli ultimi anni. Sesso, zombie (anche insieme, se si pensa a Bruce LaBruce) e ora anche fantascienza. Presente e futura. Luddista e kafkiano Pulsar, in concorso nella sezione Cineasti del presente, nella cui giuria, peraltro, c'è Anita Caprioli. Alex Stockman, sulla scia di film indipendenti americani come Noise (piccolo gioiello, purtroppo mai uscito in Italia, con Tim Robbins che diviene pazzo a causa dei rumori metropolitani, antifurti in testa, ndr), ci offre un pamphlet contro il wi-fi e le tecnologie di livida rabbia.
Samuel (Matthias Schoenaerts) e Mireille (Tine Van den Wyngaer) sono costretti a dividersi, a porre tra loro un oceano. Lei deve fare uno stage di 10 settimane a New York, presso un prestigiosissimo studio d'architettura, lui, che pure sembra disoccupato e abbastanza dedito alla nullafacenza, odia i grattacieli e non la segue. Tanto c'è Skype, e lei è straordinariamente bella pure ripresa dalla webcam. Ma la tecnologia informatica è un sentiero infame da percorrere: già altri film hanno mostrato come cannibalizzi la memoria e in alcuni casi le emozioni, come possa devastare mesi di lavoro o anni di ricordi con un virus. Può anche uccidere, chiedere a Kubrick e Asimov. Qui Samuel, però, si ritrova con qualcuno che comincia a invadere il suo account, a escluderlo da esso, a usarlo. E a rovinargli la vita: non solo perché le comunicazioni si interrompono o risulti difficile collegarsi, ma perché la povera Mireille riceve una mail dalla casella postale del suo ragazzo con su insulti feroci e una richiesta di chiudere la storia. Ma il carnefice non è Sam, che - nella parte migliore di un film altrimenti troppo incompiuto e pigro nel non lavorare sulla sua bella intuizione - si dispera più di lei. E riscopre i mezzi di comunicazione primitiva: il telefono a rotella, la parola (registrata, la sua audiolettera è quella che ogni donna vorrebbe ricevere) e la lettera scritta a mano. Ma il complotto tecnologico riduce Samuel sull'orlo della follia, vede hacker in tutti, compreso il pedante vicino di casa, perde la testa fino al finale deludente e tronco. Come in Article 12 della Settimana della Critica, però, si sente la paura del regista per un mondo dominato dalla Rete, che più che un'opportunità qui appare come un'arma, come una ragnatela che ti stringe in una mossa mortale.
Ben più spaventose sono le creature di Monsters, fantascienza "mostruosa" del giovane e intraprendente Gareth Edwards. Uno capace di giocare con gli effetti speciali a basso costo e con la faccia tosta di proporsi alla Vertigo con un film di fantascienza low budget, sulla scia di District 9. Il mostro alieno distruttore - qui dei poliponi alti almeno un centinaio di metri che assomigliano anche troppo a quelli de La guerra dei mondi (una scena, nel prefinale, è presa di peso dal remake spielberghiano) - come metafora di un mondo che nella catastrofe apocalittica ci è caduto ben prima dell'arrivo delle "cose dell'altro mondo". Edwards ce lo dice con il finale sentimentale tra le due "creature" ma anche con la parte più interessante del film, la fuga dal Messico per gli Stati Uniti. Già, perché la "zona infetta" è proprio a cavallo di quel maledetto confine, già preso d'assalto ne L'alba del giorno dopo. Gli americani si (e li) difendono dai mostri cattivi, ma i messicani non vogliono. Scrivono sui muri che vogliono che il muro sia abbattuto, che vogliono tornare nella loro striscia di terra occupata, non vogliono più bombe e si lamentano dei 5mila morti civili, danni collaterali delle operazioni militari Usa contro gli alieni. Serve, forse, esplicitare i legami con l'attualità, il sottotesto politico? Edwards, pur inciampando in una parte centrale vittima del budget scarso e forse troppo stiracchiata, anche grazie alla faccia da schiaffi di Scott McNairy e al fascino aristocratico di Whitney Able, ci offre un bel lavoro che non le manda a dire.
Liberazione 13/08/2010, pag 8
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"Article 12" di Biaiñ, sulla paura e l'ossessione della sorveglianza
Il Grande Fratello a Locarno. Con lui non si scherza
Locarno
«Nessun individuo potrà essere sottoposto a interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione»: Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, articolo 12. E Article 12 - Waking up in a surveillance society è il titolo di uno dei film della Settimana della Critica, ieri alla sua conclusione. Una selezione felice e varia per forme e contenuti quella della coppia Irene Genhart - Simon Spiegel, e che nel film di Juan Manuel Biaiñ trova un bel mix tra schemi classici e uno stile moderno. Con la maliziosa e intelligente idea di mostrarci l'evidenza che tutti teniamo nascosta, come le telecamere che ci spiano "per il nostro bene": George Orwell - non a caso uno degli autori più citati qui a Locarno - nel suo 1984, esempio e prototipo della fantascienza dispotica moderna, profetizzava solo il nostro presente.
Tre anni di riprese, tanta preparazione e ricerca, un approccio laico e mai ideologico al tema, il cineasta argentino si pone l'obiettivo di mostrarci un mondo ormai predisposto al controllo e spietatamente scandaglia le nostre ossessioni - o paranoie? -, dal voyeurismo alla tecnologia "di difesa". C'è ovviamente il fustigatore dell'Occidente Noam Chomsky, sempre acuto nel suo essere un "linguista politico", Kate Gilmore, sociologa che teorizza "il diritto di nascondere", ma anche un hacker, Samuel Goldstein, il violatore per eccellenza (ma ne siamo poi cosí sicuri?). Anelli del Sistema che veicola la paura per farsi chiedere controllo e sorveglianza. Perverso e vero. Un pamphlet da far girare.
B. S.
Liberazione 13/08/2010, pag 8
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Monsters
http://www.imdb.com/title/tt1470827/
Pulsar
http://www.imdb.com/title/tt1703919/
Article 12
http://www.imdb.com/title/tt1703930/
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