venerdì 19 marzo 2010

«Il conflitto reale tra Cina e Usa riguarda lo yuan e l'economia»

Valerio Venturi
Milano
Barack Obama sfida l'ira di Pechino incontrando il Dalai Lama. Chiediamo a Alessandro De Toni - classe '77, ex professore dell'Università Cattolica di Milano, collaboratore di Caterpillar, ora trend finder e documentarista di istanza a Pechino - di spiegarci come viene percepita la cosa in Cina. «Nel 'paesone' non si dice molto, queste cose non fanno particolarmente notizia. Il fatto che il Presidente Usa si incontri con il Dalai Lama? Credo che faccia parte di un lungo sequel di scaramucce Usa-China. Piuttosto: si è parlato della 'questione Google' in Occidente?»

Si, se n'è parlato. Anche delle dichiarazioni di Hillary Clinton contro le politiche antiliberali di Pechino...
Peccato che non gliene freghi nulla a nessuno della minoranza di attivisti attaccati dagli hacker governativi cinesi. Comunque: il problema alle spalle delle dichiarazioni di Hillary Clinton sono stati gli attacchi alle imprese chiave dell'economia americana. I diritti umani sono sempre il paravento ufficiale.

Di fatto c'è tensione dovuta a motivi economici?
Si parla delle scaramucce del Dalai Lama e non di un accordo siglato dal governo Bush e avallato da Obama per la vendita di armamenti per il valore di 6,4 miliardi di dollari americani a Taiwan? Questo a Pechino non l'hanno preso benissimo. E per questo si minacciano ora sanzioni commerciali

Da quanto tempo sono tesi i rapporti tra le due potenze?
La visita del Dalai Lama era pianificata da molto tempo ma è stata sospesa per gli incontri tra Obama e Hu Jintao. Non so se si ricorda, ma ci sono stati momenti di idillio in cui si è parlato persino di fare un G2. In realtà c'è un conflitto reale tra Cina e Usa ma i termini veri sono la valuta e l'impatto che ha il controllo della valuta sull'economia americana. ll rapporto tra le due potenze si dispiega sullo sfondo del controllo della valuta e di una bilancia commerciale impazzita. Ma non c'è spazio per uno scontro aperto, perchè sarebbe insostenibile per entrambe le economie: se la Cina continua a controllare l'apprezzamento della valuta, la bilancia commerciale Usa si sbilancia sempre di più, con risultati drammatici per l'economia. In questo momento nessuno dei due può prevalere. Nonostante la tensione sono legate l'una all'altra.

Quale la situazione in Tibet?
Da marzo 2008, quando ci sono state le rivolte in Tibet, Beijing ha sospeso ogni negoziato nella regione. La riapertura è recente e risale ai primi di gennaio. La risposta che hanno avuto gli emissari del Dalai Lama da Du Qinglin, responsabile delle trattative, è stata: "no room or discussion, no rum or compromise". Il Dalai Lama richiedeva un'autonomia come quella di Hong Kong, ma comprensibilmente per Beijing questo significherebbe trasformare la regione in un vivaio del dissenso. Hu Jintao, che è stato il governatore del Tibet per anni (e sta sulle scatole non poco ai tibetani per il pugno di ferro), al Politburo Meeting del 8 gennaio ha dato le linee guida per il futuro del Tibet: sviluppo economico in grande stile e stabilità. Per il primo traguardo parlano chiaro il progetto di un aeroporto nella prefettura di Nanqu e la ferrovia Tibet-Qinghai. Per il secondo traguardo invece è stato nominato governatore del TAR (Tibet autonomous region) tale Padma Choling, uno dei pochi quadri di etnia tibetana con vent'anni di esperienza militare. Morale: il massimo che può concedere Beijing al Dalai Lama è di tornare in patria invece di morire in esilio.

La Cina sembra facilmente irritabile, oggi.
Rispetto al livello di paranoia di Beijing negli ultimi mesi, ci sarebbe anche da spendere qualche parola. Non so cosa è arrivato lì, ma do due o tre informazioni che fanno capire quanto il PCC abbia attualmente dei "problemi psicologici" (da Tiananmen non si erano mai agitati così tanto): 11 anni di carcere a Lui Xiaobo per 3 pagine di Charter08 sulla democrazia; dai 3 ai 5 anni alle vittime del terremoto in Sichuan che si sono messi a fare ricerche sui bambini morti nelle scuole; 6 anni a Dhondup Wangchen per aver fatto un documentario su attivisti tibetani; lo Xinjiang isolato dalla rete e sotto controllo militare da luglio; internet stracensurato.

Morale?
Il PCC brinda ai nuovi record economici ma intanto teme e soffoca ogni remota possibilità di dissenso. Il benessere economico e la corsa allo sviluppo funziona se il Gdp continua a crescere ai ritmi attuali. Le bacchettate agli Usa sono l'indice di una maggiore autoconsapevolezza di Beijing come superpotenza; ma se l'economia Usa non regge, la Cina si brucia parecchia liquidità, la crescita si arresta e la gente s'incazza perchè non ha più il portafoglio pieno e ha tempo per fare le pulci a un PCC che (non a tutti i livelli) è putrefatto dall malcostume e dalla corruzione. Insomma: Usa e Cina si tengono per le palle a vicenda, e ogni tanto uno tira più forte per ricordare all'altro che c'è poco da scherzare.

Liberazione 19/02/2010, pag 8

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