venerdì 19 marzo 2010

Nucleare? Sì, anzi no. L'apparente imbarazzo dei candidati del pdl

Da Polverini a Formigoni chiedono al governo di non rendere noti i siti prima del voto

Gemma Contin
Una volta che il Consiglio dei ministri ha emanato il decreto di «riassetto della disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi», la parola adesso passa (ritorna?) alle regioni.
Anzi, ai candidati presidenti che in 13 regioni a statuto ordinario si presentano al giudizio degli elettori, i quali il prossimo 28 e 29 marzo dovranno votarli e sceglierli sulla scorta dei programmi, delle parole d'ordine e delle scelte di fondo con cui i futuri governatori intendono determinare le condizioni di vita e di sviluppo dei loro territori.
Per questo, rispetto al decreto sulle centrali nucleari che detta i criteri di individuazione e insediamento dei siti destinati a ospitare i primi cinque impianti atomici sul suolo italico, i presidenti del centrodestra, sia quelli uscenti e riproposti come Roberto Formigoni in Lombardia, sia quelli che dovrebbero subentrare come Renata Polverini nel Lazio, sia quelli già insediati come Raffaele Lombardo in Sicilia (dove a fine marzo non si vota, essendo una delle regioni a statuto speciale fuori dal turno elettorale) si sono già sfilati dalle anticipazioni del governo centrale e dalle "urgenze" del ministro delle Attività produttive Claudio Scajola, sostenendo che sì, loro sono allineati e coperti sulle scelte nucleari di Berlusconi, ma che - per l'amor di Dio - non nelle rispettive regioni, per la semplice ragione che queste sono non solo in totale autonomia ma addirittura in sovrapproduzione energetica, tanto da consentirne finanche l'esportazione.
Si capisce che gli unici due sfigati - stante che il governatore pugliese Nichi Vendola, che si appresta a subentrare a se stesso, ha confermato che la Puglia è e rimarrà una regione denuclearizzata - sono dunque i presidenti della Sardegna Ugo Cappellacci, eletto nelle file del Pdl al posto di Renato Soru il 26 febbraio dell'anno scorso, e il candidato del Veneto, il ministro delle Politiche agricole e forestali Luca Zaia, che dovrebbe prendere il posto del suo amico di partito Giancarlo Galan.
Gli sfidanti però prendono le distanze dalle localizzazioni già previste sul loro territorio, un po' nascondendo il tema scottante nelle pieghe dei loro programmi politici elettorali e guardandosi bene dallo scoprirsi e dall'intervenire sulla questione, un po' negando che i siti siano già stati stabiliti dal governo ed esattamente individuati in accordo con le imprese e le cordate societarie che dovrebbero prima costruirli e poi gestirli.
La verità però, come le bugie, si sa che ha le gambe corte, e sulle localizzazioni previste da Scajola - già date per scontate nelle grigie stanze dell'Enel, società pubblica in cordata con la francese Edf, e della Sorgenia, società privata controllata dal gruppo Cir di Carlo e Rodolfo De Benedetti - i verdi hanno reso noto una lista, rilanciata dall'agenzia di stampa Reuters, che afferma: «Tra le regioni che Enel-Edf hanno identificato come siti potenziali per i reattori ci sono: Monfalcone (Friuli-Venezia Giulia), Chioggia (Veneto), Fossano e Trino Vercellese (Piemonte), Caorso (Emilia Romagna), Scarlino (Toscana), San Benedetto del Tronto (Marche), Montalto di Castro e Latina (Lazio), Termoli (Molise), Mola di Bari o altro sito tra Nardò e Manduria (Puglia), Scanzano Jonico (Basilicata), Oristano (Sardegna), Palma di Montechiaro (Sicilia)».
Come si è già detto, se da un lato sono da escludere le regioni attualmente rette da governatori di centrosinistra, che si sono già espressi contro il nucleare, come il Piemonte, l'Emilia Romagna, la Toscana, le Marche, il Lazio, la Puglia e la Basilicata, dall'altro vanno altresì cassati i siti delle regioni come il Molise e la Sicilia (più la Calabria e la Campania) che si sono rivolte alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulle competenze territoriali in materia di autonomia regionale fissata dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Ricorso delle regioni contro cui, proprio nei giorni scorsi, il governo centrale si è appellato al Consiglio di Stato con la motivazione che prima delle esigenze locali vengono le ragioni generali del Paese.
E invece persino il ministro Zaia ha varato il suo programma elettorale con la parola d'ordine «prima il Veneto»; e la candidata del Lazio Polverini, nei suoi giri di propaganda, parla di «federalismo energetico». Cioè: ognuno a casa sua fa quello che gli conviene. Alla faccia delle ragioni generali e delle aspettative di business messe in moto dall'alacrità del ministro Scajola e dagli accordi internazionali firmati da Berlusconi e Sarkozy.
Ma anche sul fronte del centrosinistra sulla questione nucleare appare qualche crepa. Segno che gli interessi in ballo sono grossi e muovono grandi cordate. Una di queste è rappresentata da Chicco Testa, che da ambientalista convinto negli Anni Ottanta (è stato presidente di Legambiente, poi eletto alla Camera dei deputati nelle file del Pci nel 1987 e del Pds nel 1992) si è presto trasformato nel presidente indaffaratissimo dell'Enel riformata-ristrutturata-messa sul mercato negli Anni Novanta.
Testa è stato nel consiglio di amministrazione delle romane Acea, Sta e Roma Metropolitane, di Wind, Allianz, Telit e del Gruppo Riello. E' l'attuale presidente della società Eva, Energie Valsabbia, che sviluppa e costruisce impianti idroelettrici. Membro dello European Carbon Fund, dello European Advisory Board del Gruppo Carlyle (fondi d'investimento) e della banca d'affari Rothschild Italia, è stato anche presidente del Kyoto Club.
Oggi, dopo tanto rigore e fervore ambientalista (fu uno dei più strenui fautori del referendum del 1987), si dichiara e si spende a favore del ritorno dell'Italia nel club nucleare. Per questo ha fondato una cosa che si chiama "NewClear" e sostiene che, pur investendo in energie rinnovabili, poiché queste non bastano bisogna scommettere sul nucleare di terza generazione «sicuro e pulito».
La sua perorazione atomica, lanciata dalle pagine del Corriere della Sera , si aggrappa alle ultime dichiarazioni e alle scelte del presidente americano Barack Obama, che dopo trent'anni di blocco seguito all'incidente di Three Mile Island (Pennsylvania, 1979) ieri ha annunciato che gli Stati Uniti investiranno otto miliardi di dollari (6 miliardi di euro) per costruire due nuovi impianti termonucleari in Georgia. Anche Obama nel suo ultimo discorso alla nazione ha parlato di «nuova generazione di impianti atomici sicuri e puliti».
Ma, se così fosse, come si spiega l'imbarazzo e la difficoltà a parlarne limpidamente nei programmi elettorali non solo da parte di new entry come Renata Polverini, comprensibilmente preoccupata, ma persino da parte di squali della politica come Roberto Formigoni?
Infine, dato che uno degli argomenti usati dal ministro Scajola e dal governo Berlusconi per giustificare la scelta nucleare è la questione della bolletta energetica - la più cara d'Europa, dicono - ecco un'ultima notazione economica: ieri il presidente di Sorgenia Rodolfo De Benedetti, in un'intervista al quotidiano economico francese Les Echos , nell'affermare che se ci sarà il ritorno dell'Italia al nucleare la sua società energetica è pronta a entrare in scena, ha dichiarato: «Mi dispiace che nel dibattito si dica che il nucleare farà abbassare il prezzo del kilowattora. Non sono d'accordo. Il costo dei reattori Epr (reattori francesi di terza generazione adottati dall'Italia, ndr) è più alto di quanto si pensasse in origine. Il solo argomento a favore del nucleare è che non produce Co2». Chissà!

Liberazione 17/02/2010, pag 12

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