domenica 14 marzo 2010

La difficile partita degli scambi nel G2: la Cina vende, l'America povera compra

Un equilibrio instabile finanziato con il debito che è saltato con la crisi

Il deficit commerciale americano non è una questione esclusivamente cinese. E non è l'unica grande partita che anima le inevitabili tensioni all'interno del G2, la nuova entità che somma l'ultima grande potenza del '900 e l'astro nascente della geopolitica e dell'economia mondiali.
Il commercio tra i due giganti resta però un fattore determinante per entrambi i Paesi. Come è stranoto, nell'ultimo decennio i cinesi hanno alimentato la voglia di consumo dei cittadini americani comprando quote crescenti di debito Usa. In cambio, gli americani compravano merci a poco prezzo.
Dall'agosto 2008 le importazione e le esportazioni per e da gli Stati Uniti sono calate in maniera considerevole. L'export americano non petrolifero è sceso del 25% al mese mentre l'import è calato del 33%. Con una eccezione notevole, i prodotti da e per la Cina. Anche in questo caso gli scambi sono calati - c'è la crisi dappertutto - ma molto meno. Così, la percentuale del deficit di matrice cinese è passata dal 69% del totale all'83%.
In decenni - gli ultimi tre - in cui il mercato del lavoro americano ha conosciuto un trasferimento di posti dall'industria manifatturiera a quella dei servizi demansionati, è naturale che sia la destra nazionalista americana che la sinistra legata ai sindacati e particolarmente forte negli Stati in pieno declino industriale abbia posizioni fortemente contrarie al libero commercio internazionale ed anti cinesi. E che l'amministrazione Obama continui ad insistere sulla necessità di aumentare il valore della moneta cinese, assieme ai salari bassi e alla mancanza di vincoli ambientali, il principale fattore competitivo dell'industria cinese.
La resistenza di Pechino a rivalutare lo yuan si deve al timore di una perdita di competitività a scapito di altri concorrenti asiatici (il Vietnam, ad esempio) e anche dei mercati del lavoro occidentali. La buona notizia, per la Cina, è che l'anno di crisi appena passato dimostra che l'economia de gigante asiatico continua a crescere a ritmi sostenuti nonostante un crollo delle esportazioni verso gli Usa dell'ultimo anno.
Fino all'esplosione della crisi e anche dopo, il basso prezzo delle merci cinesi era un fattore importante della loro appetibilità sui mercati americani. Da due decenni almeno, infatti, i salari Usa sono in calo e la parte meno ricca della popolazione - non solo i poveri, dunque - ha potuto permettersi di comprare beni di consumo di cattiva qualità proprio perché grandi catene come Wal-Mart comprano da fornitori cinesi.
martino mazzonis

Liberazione 05/02/2010, pag 6

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