sabato 13 marzo 2010

Porto Alegre: dieci anni dopo il movimento è vivo

Monica Di Sisto
Tutte le volte che si avvicinano i giorni del Forum sociale mondiale, per chi segue questo processo nel nostro Paese, arriva il tempo dei gesti apotropaici. Sono passati 10 anni dal messaggio email quasi clandestino che portò oltre 12 mila persone e molte delle menti più fertili dello scorcio del vecchio secolo a ritrovarsi a Porto Alegre, nel cuore del Brasile, per l'intuizione visionaria che fosse necessario opporre alla deriva sviluppista e liberista un pensiero sottile e popolare. Un intreccio di pratiche economiche, di produzione, di relazioni, di politiche che funzionasse come rete di salvataggio per quella crisi di sistema che prima o poi sarebbe arrivata, ma anche di supporto per quel mondo diverso possibile che era all'epoca, in gran parte, intuizione o resistenza. Oggi siamo tornati a Porto Alegre in diverse decine di migliaia da tutto il mondo a celebrare il "compleanno" del Forum, ma anche ad aprire un anno di mobilitazioni decentrate in tutto il mondo in vista del prossimo appuntamento "in plenaria" convocato a Dakar nel 2011 (www.worldsocialforum.info). Eppure per alcuni osservatori, che supporremmo, informati dei fatti, siamo "rimorti".
Ci è già successo tante volte: quando il Forum lasciò la sede storica brasiliana per rilanciare il processo in India, poi in Africa, di essere dati per moribondi, o peggio per spacciati. Ci davano, addirittura, per fantasmi intrappolati nel cyberspazio, quando abbiamo deciso di lanciare una Settimana di mobilitazione globale, per includere nella riflessione sul limite del modello liberista anche Paesi tradizionalmente "irraggiungibili" da questi processi come l'Iraq, il Pakistan, il Bangladesh, il Benin. Anche stavolta, a soggetti insospettabili come chi scrive, per cultura ed equilibrio solitamente estranei a queste pratiche, capita di riempire tasche e zaini di bambinelli neri, candomblé, souvenirs e ammennicoli vari, a seconda delle sensibilità.
Non mi pare, onestamente, attitudine da trapassati quella di lanciare un anno con oltre 30 Forum regionali e tematici - dal Giappone, agli Stati Uniti, alla Guinea, al Benin - e di prepararsi a farlo prendendosi il tempo, nel luogo simbolico di questo processo, di riflettere strategicamente sulla propria storia e il proprio futuro. Eppure è proprio questo che sta succedendo a Porto Alegre alla Usina do Gazometro, mentre in tutta la Regione sono al lavoro, in un raggio di 70 chilometri dal capoluogo del Rio Grande do Sul, qualche decina di città e laboratori tematici.
Più che dieci anni fa, questo è il momento di guardare con grande attenzione al nostro tempo e valutare la nostra capacità di incidere, visto che tutto è molto cambiato, meno ideologico e netto rispetto al 2001.
La prospettiva Nord-Sud che faceva da scenario a quella lettura è profondamente cambiata. I nuovi "grandi" sono a Sud, ma non è per niente innovativa la prospettiva sviluppista con la quale stanno affrontando il loro posizionamento tra i leader globali. E' vero: in Brasile il tasso di povertà prima della presidenza Lula superava il 20% dell'intera popolazione, mentre oggi siamo al 7%. E' anche vero, però, che dopo l'uscita dalla miseria, per molte di queste famiglie non c'è ancora alternativa occupazionale, ritorno alla terra, ma dipendenza passiva dalla Bolsa familia, il sussidio che ha permesso ai più poveri di sfamarsi. Ma se anche al presidente indio Evo Morales, il simbolo vivente dell'evoluzione del concetto nativo del buen vivir in categoria politica alternativa alla crescita, che pure dopo il fallimento di Copenhagen si è candidato per ospitare un grande Forum popolare per la giustizia climatica, le organizzazioni indigene del suo Paese a Porto Alegre contestano di essere insieme a Lula tra i più entusiasti sostenitori del progetto IRSA, l'enorme rete di integrazione infrastrutturale dell'America Latina che minaccia i territori, le culture, i diritti collettivi delle popolazioni indigene dell'Amazzonia, è evidente che c'è ancora tanto, tanto bisogno di uno spazio aperto come quello del Forum dove le alternative si incontrino e si rafforzino.
Haiti, l'Honduras, la caduta dell'occupazione, il movimento per la giustizia climatica, il Cile tornato a destra, il dopo-Copenhagen: di fronte alla realtà che precipita, nei padiglioni del vecchio porto di Porto Alegre non c'è tempo per l'ideologia o per le celebrazioni. Il movimento cammina e apre altro cammino. Vivo e vegeto, per passione e per forza.
*vicepresidente di Fair aggiornamenti dal WSF 2010 fairwatch.splinder.com

Liberazione 28/01/2010, pag 1 e 7

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