martedì 16 marzo 2010

«La rivoluzione del 1979 è stata tradita dai mullah. Dobbiamo completarla»

Abol Hassan Banisadr Primo presidente della Repubblica Islamica

Guido Caldiron
«Il regime di Ahmadinejad è ogni giorno più debole e diviso: ha sempre più paura. Così, in vista delle manifestazioni annunciate oggi dall'opposizione, le autorità hanno moltiplicato le minacce e le condanne e deciso di mettere degli altoparlanti in tutte le maggiori strade e piazze di Teheran in modo da poter coprire con i discorsi ufficiali eventuali slogan ostili che potrebbero levarsi dalla folla. Non è il solo segnale di divisione: mentre crescono le proteste in favore di una riforma democratica del paese, sono sempre più numerose le voci di esponenti dello stesso clero sciita che si levano a sostegno dell'opposizione. Si può dire che la rivoluzione del 1979 sia ancora in corso e debba ancora compiersi fino in fondo».
Abol Hassan Banisadr è stato il primo presidente della Repubblica Islamica dell'Iran, dopo la vittoria della rivoluzione che l'11 febbraio del 1979 cacciò dal potere l'ultimo ministro dello Scià Reza Pahlavi. Di formazione marxista, ha studiato economia alla Sorbona, Banisadr ha partecipato al movimento studentesco iraniano e è stato ferito e imprigionato più volte. Nel 1979 incarnò l'anima democratica e progressista della rivoluzione, rapidamente sconfitta dal potere dei religiosi: in rotta con l'ayatollah Khomeini, fu deposto nel 1981 e costretto a fuggire. Da allora vive a Parigi dove l'abbiamo raggiunto telefonicamente alla vigilia dell'anniversario della rivoluzione.

Lei è stato il primo presidente della Repubblica Islamica dopo aver contribuito alla vittoria della rivoluzione del 1979. All'epoca in molti, tra i democratici e i progressisti europei, guardarono positivamente all'Iran, poi che cosa è andato storto e ha aperto la strada a una rapida deriva totalitaria del paese?
Si deve considerare prima di tutto un elemento: la rivoluzione è sempre l'inizio di un cambiamento, non la sua piena realizzazione. Prima del 1979 la struttura del potere in Iran si basava su tre elementi: la monarchia, il clero sciita e l'economica, fondata sulla grande proprietà agraria nelle campagne e sui commercianti dei bazar nelle città. Il regime dello Scià aveva inferto un duro colpo sia agli agrari che al commercio, impostando l'economia nazionale sull'esportazione del petrolio e sull'importazione di prodotti e di servizi, in particolare dall'Occidente. Quindi delle tradizionali strutture di potere erano rimaste in piedi solo quella incarnata dalla monarchia stessa e quella del clero. Così, dopo il 1979 e la caduta dei Pahlavi, è rimasto solo il blocco dei mullah, in cui cui era maggioritaria una tendenza ideologica totalitaria, più politica che religiosa. Il problema non era l'Islam, quanto piuttosto una visione di tipo medievale del rapporto tra fede e politica.

Quando l'ayatollah Khomeini rientrò a Teheran dal suo esilio a Parigi fu accolto come l'uomo che avrebbe potutro riunire l'intero popolo iraniano nel nome della rivoluzione. Lei, come tutte la sinistra iraniana, non vi eravate sbagliati sul conto del grande leader spirituale?
Non solo noi, il mondo intero. Ricordo che perfino le Nouvel Observateur lo definiva all'epoca come l'«ayatollah libertario». Dall'esilio Khomeini parlava più di politica che di religione e nessuno avrebbe potuto immaginare che una volta tornato in patria avrebbe subito una così rapida trasformazione. In ogni caso, nel mio libro L'espérance trahie (pubblicato nel 1982) spiego esplicitamente che abbiamo sbagliato, tutti noi iraniani, a fidarci di Khomeini, e le conseguenze di questo errore il mio paese ha continuato a pagarle fino ad oggi. Il vero problema all'epoca era però un altro: senza la mobilitazione delle moschee e il ruolo esercitato dai religiosi, la rivoluzione non avrebbe avuto alcuna chance di riuscita. Mi spiego: all'epoca avevamo fatto molti sforzi per riunire le diverse forze di opposizione allo Scià in un unico movimento, ma il risultato non era stato molto incoraggiante, perché rimanevano grandi distanze e divisioni. I mullah, invece, rappresentavano un blocco sociale forte e Khomeini era il personaggio pubblico più noto e rispettato dalla popolazione tra i diversi leader dell'opposizione.

Gli eventi del 1979 hanno però cambiato in ogni caso il paese, producendo una modernizzazione che è sotto gli occhi di tutti. I figli di coloro che cacciarono allora lo Scià potranno fare oggi la loro rivoluzione e portare la democrazia a Teheran?
Credo che in Iran non ci sia bisogno di una "nuova" rivoluzione, quanto piuttosto di realizzare fino in fondo gli obiettivi di quella che è avvenuta nel 1979 e i cui ideali sono stati poi negati dall'élite del clero sciita e dal potere militare, affaristico e mafioso che si è riunito intorno alla figura di Ahmadinejad. Certo, sul piano sociale, oggi come allora, è il potere a creare in qualche modo le condizioni per il proprio superamento. Il regime dello Scià aveva distrutto l'economia e la struttura sociale del paese creando centinaia di migliaia di disoccupati, soprattutto tra i giovani. E sono stati proprio questi giovani che, spinti dalla riforma agraria verso le grandi città del paese, hanno costituito la principale base sociale della rivoluzione del 1979. Ebbene, oggi sta accadendo qualcosa di simile: la dittatura dei mullah strangola l'economia e non solo la vita politica dell'Iran e crea ogni giorno nuovi poveri. Senza democrazia, diritti dell'uomo e dei lavoratori è difficile immaginare una qualche forma di benessere diffuso e così le strade tornano a riempirsi di giovani che manifestano per la libertà e migliori condizioni di vita.

Nel 1979 il segno che la rivoluzione aveva vinto arrivò l'11 febbraio con la notizia che i soldati non avrebbero sparato contro la folla. Oggi è ipotizzabile qualcosa del genere nel caso il regime decida la linea dura contro l'opposizone?
All'epoca i militari erano odiati dal popolo e rappresentavano solo il potere dittatoriale e sanguinario della famiglia Pahlavi. Oggi le cose sono molto diverse, nel senso che l'esercito è sentito dalla popolazione come una parte importante del paese, non come un elemento in qualche modo estraneo. Altra cosa sono invece i Guardiani della rivoluzione, il corpo militare e politico legato direttamente ai mullah che sono visti con sospetto da molti iraniani. Eppure perfino tra i Guardiani, e penso a quanto accaduto nell'ultimo mese durante le manifestazioni che si sono svolte nei giorni dell'Ashura, è emerso un atteggiamento di attesa se non di vicinanza nei confronti dei giovani che protestavano. Sono solo segnali parziali, e talvolta contraddittori, di un clima che sta però cambiando e evolvendo a favore delle forze democratiche.

Liberazione 11/02/2010, pag. 12

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