venerdì 19 marzo 2010

«La 2ª mozione non è solo patrimonio dei meccanici»

Fabio Sebastiani
Torino - nostro inviato
"La Cgil che vogliamo" ha preso a Torino il 35% dei voti. Viste da qui le polemiche sulle anomalie congressuali sembrano lontane mille miglia. E non solo perché tutto si è svolto più o meno regolarmente. A Torino si sta discutendo già sul merito del sedicesimo congresso: democrazia, rappresentatività, modello contrattuale, mobilitazioni, organizzazione sindacale. Certo, c'è l'emorragia dei posti di lavoro, ma nella capitale delle tute blu, lo sforzo del sindacato è proprio quello di tenere insieme tutti i piani e i punti della vertenza. Perché il bivio è davanti, e qualsiasi cosa uscirà dall'assise di Rimini dovrà confrontarsi con i "nodi della modernità" che poi, per dirla con le parole giuste, sono le scelte conseguenti alla crisi del "sindacato del novecento". Insomma, qui l'idea di una Cgil a rimorchio dell'accordo separato non sta nell'anticamera del cervello di nessuno. Nessuno, tanto meno, ha voglia di nascondersi dietro l'identità di una Cgil che, se sono veri i numeri presentati pochi giorni fa dal presidente della Commissione di garanzia Carlo Grezzi e dal responsabile dell'Organizzazione, Enrico Panini, è tutta sbilanciata sui pensionati ed è fortemente radicata al Sud.
Il segretario nazionale della Fiom Gianni Rinaldini quando sale sul palco per il suo intervento, a conclusione dei lavori della prima giornata, riporta la la discussione alla realtà. «Lo sciopero del 12 marzo non sarà una una tantum, ma l'inizio di una vertenza, che a questo punto ha dentro anche la difesa dell'articolo 18».
Insomma, se qualcuno pensava che la funzione della mobilitazione sul fisco fosse quella di rimettere in carreggiata la Cgil appena dietro all'ammiraglia Cisl sottolineando l'unico contenuto unitario, ha sbagliato i suoi calcoli. E qui non contano le percentuali della maggioranza guidata dal segretario generale. Conta l'alternativa secca, per usare le parole di Rinaldini, che sta davanti al più grande sindacato dei lavoratori da più di un anno, dall'intesa sul nuovo modello contrattuale: "o con noi o contro di noi". L'"uscita politica" che il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani sta preparando, puntando tutte le fiches sulla sconfitta del centrodestra alle regionali o, peggio ancora, "circondando" Confindustria con una selva di accordi di categoria che fanno finta di parla d'altro, non può soddisfare il sindacato. Un sindacato che tutti i giorni si confronta con uno scenario drammatico: aziende che chiudono, taglio netto ai redditi da lavoro con l'utilizzo selvaggio del part-time, frammentazione dei lavoratori, assenza di ammortizzatori sociali e svuotamento del welfare, attacco a scuola e sanità. «Per questo non possiamo continuare a discutere di qualche aggiustamento qui e là», aggiunge Rinaldini. Il valore aggiunto che potrà aggiungere il sedicesimo congresso è la centralità della battaglia sulla democrazia: dentro e fuori la Cgil. Dentro, perché come chiariscono sia Giorgio Airaudo, segretario uscente della Fiom di Torino, sia Rinaldini, le regole attuali hanno franato di fronte ai due documenti contrapposti. Fuori, perché i lavoratori non possono diventare l'appendice di un sindacato dei servizi, come ha in testa la Cisl, ma devono poter contare attraverso il voto sia nelle piattaforme che nelle ipotesi di accordo.
«Dobbiamo sfruttare bene questo congresso - dice Airaudo, che oggi verrà rimpiazzato alla guida della Cgil di Torino - perché "La Cgil che vogliamo" non rimanga la casacca dei metalmeccanici». Del resto, senza le tute blu sarà impossibile portare a compimento il processo economico e sociale aperto dall'accordo separato. Anche se lo scambio con Cisl e Uil, dentro la revisione del processo di lavoro «è negli enti bilaterali» (Rinaldini) il puzzle del governo dei processi sociali nella crisi è ben più complesso. La previsione di Airaudo per l'area di Torino è da brivido. Dopo l'espulsione di diverse decine di migliaia di lavoratori ora arriverà un altro taglio del 30%. Le chiama "crisi al buio", ovvero mantenere in piedi una azienda all'osso col rischio che si sbricioli da un momento all'altro. Insomma, il quadro che sta venendo avanti è quello di una nuova politica economica e della fine dei provvedimenti tampone. Come imboccare il percorso senza un accordo condiviso con i lavoratori? Almeno a Torino Fiom e Cgil torneranno a parlarsi. E dall'intervento della segretaria della Cgil Donata Canta, anche con qualche possibilità di riuscirci. Lo faranno rievocando a settembre i "35 giorni alla Fiat" e, almeno come nel progetto Fiom, ritirando fuori i vecchi striscioni e il faccione di Marx. Del resto il nodo è proprio lì, quello della gestione unitaria post-congresso. Un nodo che dovrà essere sciolto su tutto il territorio nazionale.
Magari sotto l'occhio sempre vigile e attento di don Ciotti che ieri è venuto a portare il calore e la forza delle sue parole ai delegati Fiom. Così come il rettore del Politecnico Francesco Profumo che ha parlato in termini convincenti di innovazione e di investimento sui giovani. Anche il sindaco di Torino Chiamparino ci ha provato senza riuscirci. Innovazione in bocca a un rappresentante delle istituzioni che d'accordo con la curia ha creato una corsia preferenziale alle insegnanti di religione da mettere al posto delle precarie nelle scuole dell'infanzia suona come una bestemmia.

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«Dai congressi di base ampio consenso alla linea coraggiosa della Fiom»

Dopo otto anni di guida della Fiom di Torino Giorgio Airaudo, classe 1961, dà il cambio. Una questione generazionale, dice dal palco. E quindi un forte valore per una Fiom che dovrà sostenere ancora battaglie impegnative. Del resto, difficile sfuggire al rigore della matematica. Se da una parte c'è una Cgil che sposta il suo peso specifico sempre più sui pensionati, come dimostra l'andamento dei voti ai congressi di base, dall'altra la Fiom fa scelte precise sull'investimento dei quadri. Chi lo sostituirà? «La Fiom ha avuto una gestione collegiale. E quindi la questione di chi prenderà il mio posto è del tutto irrilevante».

Ancora attacchi all'articolo 18. Cosa pensi stia accadendo?
Sta accadendo una cosa molto semplice. L'articolo 18, nonostante sia stato svuotato attraverso l'estensione del lavoro precario, rimane un punto di riferimento importante. L'articolo 18 ancora in piedi vuol dire che ha ancora un senso fare la battaglia per la stabilizzazione dei lavoratori che non hanno un contratto a tempo indeterminato. Noi continueremo non solo a difenderlo ma anche a fare una lotta convinta contro la precarietà e quindi per una estensione delle tutele.

Passiamo al congresso della Cgil. Nel tuo intervento hai detto, passami il gioco di parole, di dare "continuità alla discontinuità", ovvero di dare un futuro alla "Seconda mozione". Che vuol dire?
Premesso che la Fiom non è un'area congressuale ma una categoria, è chiaro che ai temi sollevati da "La Cgil che vogliamo", soprattutto per quel che riguarda la democrazia, va attribuita una forma organizzativa anche non tradizionale. La democrazia non è un fatto episodico. Il voto al congresso, magari risolve certi equilibri, cosi come scrive Giuliano Cazzola, all'interno della Cgil, ma lascia aperti i temi sociali.

Oltre alla democrazia c'è anche il tema del modello contrattuale.
Guarda, penso che non si possa pensare di portare avanti la pratica di un modello contrattuale, firmato separatamente, senza la Fiom. Bisogna che si mettano il cuore in pace, questi temi sono affidati al confronto sociale. Noi abbiamo un atteggiamento responsabile di fronte alla crisi, e teniamo conto della ricattabilità dei singoli lavoratori, ma è chiaro che non abbozziamo. Questo vuol dire che se la crisi sta mettendo in seconda linea gli altri temi sindacali, essi non sono tuttavia derubricati.

Le percentuali della mozione due come vanno interpretate?
Credo che i tre quarti della Fiom che hanno votato a favore della mozione "La Cgil che vogliamo" ci parlano di un consenso diretto ma anche di una sottolineatura forte del fatto che abbiamo ben operato sul contratto, che non abbiamo firmato. Non è certo un elemento secondario. Siamo incoraggiati ad andare avanti su quella linea.

Gestione unitaria?
La gestione unitaria è inevitabile. Non si può dire a una mozione congressuale di sparire.
Fa. Seba.

Liberazione 04/03/2010, pag 4

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