venerdì 19 marzo 2010

La città pubblica è in fin di vita. Salviamola

Tonino Bucci
La maggioranza dell'umanità vive nelle grandi città. La globalizzazione ha trasformato il pianeta in una rete di metropoli. I centri dell'economia e della finanza si trovano nelle città. Ed è nelle città che si prendono le decisioni politiche. Come mai, allora, nonostante la sua funzione pubblica, la città sta diventando un luogo privato in cui ognuno vive confinato nel proprio recinto e gli unici spazi d'aggregazione sono i centri commerciali? Lo chiediamo a Edoardo Salzano, urbanista, autore di numerosi saggi, fondatore del sito www.eddyburg.it e ospite, domani, della quarta sessione delle Settimane della politica (la rassegna curata da Angelo d'Orsi, all'università di Torino fino a sabato), dove terrà la relazione "Crisi dello spazio urbano o morte delle città?".

Se guardiamo alla crescita disordinata delle metropoli si ha l'impressione che agli urbanisti sfugga qualcosa. O no?
Possiamo intendere per "città" ogni agglomerazione di popolazione in spazi relativamente limitati. Laa cultura degli urbanisti italiani è nata - a differenza che in altri paesi - dalle discipline dell'architettura e dell'ingegneria civile. Molto attenta al fisico, al costruire, al "tecnico". Aspetti importanti di quella realtà complessa che è la città, ma tutt'altro che esclusivi. Per comprenderla e governarla occorre un approccio multidisciplinare. Negli ultimi secoli l'habitat dell'uomo si esteso all'insieme del pianeta. Tutti in qualche modo siamo coinvolti nella civiltà urbana. Lo sguardo dell'urbanista, nonostante i suoi limiti disciplinari, è in grado di cogliere meglio di altri l'elemento che - forse più d'ogni altro - caratterizza la città europea.

Quale?
Mi riferisco agli spazi pubblici. I luoghi nei quali stare insieme, commerciare, celebrare insieme i riti religiosi, svolgere attività comuni e utilizzare servizi comuni. Dalla città greca alla città romana fino alla città del medioevo e del rinascimento, il ruolo delle piazze è stato decisivo: le piazze come il luogo dell'incontro tra le persone, ma anche come lo spazio sul quale affacciavano gli edifici principali, destinati allo svolgimento delle funzioni comuni: il mercato e il tribunale, la chiesa e il palazzo del governo cittadino. Tutti i cittadini possono fruirne, indipendentemente dal reddito, dall'età, dell'occupazione. Essi sono il luogo dell'incontro con lo straniero: sono la cerniera tra il dentro e il fuori, il luogo dove la città - tramite l'incontro con il "diverso" - si apre al mondo, lo conosce e ne diviene parte: esce dall'idiotismo della comunità ristretta.

Saranno pure un luogo di socializzazione, d'accordo, però le città riflettono spesso, nella loro struttura, anche le gerarchie sociali. Non è così?
E' con l'epoca moderna, con il capitalismo, che si accentua fortemente la specializzazione sociale delle varie parti della città. Da un lato, i luoghi del comando e della ricchezza, dall'altra parte, i quartieri via via più estesi, gli spazi comuni via via più angusti, dei proletari. La città si frammenta in "zone", caratterizzate da qualità urbana e da condizioni sociali fortemente differenziate. Però, poco più tardi, nel XIX e XX secolo, dalla solidarietà di fabbrica nasce il movimento di emancipazione del lavoro. Cresce la dialettica tra lavoro e capitale, nasce il welfare state. I luoghi del consumo comune si arricchiscono di nuove componenti: le scuole, gli ambulatori e gli ospedali, gli asili nido, gli impianti sportivi, i mercati di quartiere sono il frutto di lotte accanite, tenaci, nelle quali le organizzazioni della classe operaia gettano il loro peso. Nasce la necessità di governare il mercato delle abitazioni con interventi dello stato: case ad affitti moderati per i ceti meno ricchi, regolamentazione anche del mercato privato. Nascono vertenze nelle quali risuona lo slogan "la casa come servizio sociale". Si chiede che la questione delle abitazioni sia regolata da attori diversi dal mercato, incidendo sulla rendita e garantendo un equilibrio tra prezzo dell'alloggio e redditi delle famiglie.

Fin quando lo Stato sociale ha tenuto la qualità di vita nelle città era migliore. Possiamo dirla così?
Gli storici cominciano a riflettere sui decenni 60 e 70. Furono anni di notevoli cambiamenti. Dal punto di vista di un urbanista devo dire che in quegli anni si raggiunsero traguardi insospettabili. Con la "legge ponte" urbanistica del 1967 e con i successivi decreti del 1969 si ottenne la generalizzazione della pianificazione urbanistica, il primato delle decisioni pubbliche nelle trasformazioni del territorio, l'obbligo a vincolare determinate quantità di aree per servizi e spazi pubblici. Con le leggi per la casa del 1962, 1967, 1971, 1977 e 1978 si ottenne la possibilità di realizzare quartieri residenziali e di ridurre il prezzo degli alloggi in una parte molto ampia del patrimonio edilizio. Le cose cominciano a cambiare con gli anni 80, gli anni del trionfo della visione craxiana della società. E' il "declino dell'uomo pubblico", per usare un'espressione di Richard Sennet.

La politica oggi non programma più niente. Decidono tutto i costruttori. O no?
Il carattere pubblico della città è profondamente in crisi. A cominciare dal suo fondamento: la possibilità della collettività di decidere gli usi del suolo, o attraverso lo strumento patrimoniale (proprietà pubblica dei suoli urbanizzabili o appartenenza pubblica del diritto a costruire), oppure attraverso quello di una pianificazione urbanistica efficace, autorevole, condivisa da chi esercita il governo in nome degli interessi generali. Oggi moltissimi, anche nell'area "riformista", non si vergognano di considerare perverso "vincolo" ogni destinazione del terreno che non sia quella edilizia. Si sostituisce la pianificazione pubblica con la contrattazione delle decisioni sulla città con la proprietà immobiliare. E' la nuova prassi dell' "urbanistica contrattata". Si arriva addirittura a voler decretare che il diritto di edificare appartiene strutturalmente alla proprietà del suolo. C'è il tentativo, in corso ormai trionfalmente da qualche decennio, di sostituire agli spazi pubblici i "non luoghi", che hanno requisiti opposti a quelli che rendono pubblica una piazza: la recinzione mentre la piazza è aperta, la sicurezza mentre la piazza è avventura, l'omologazione mentre la piazza è differenza e identità, la natura delle persone che la abitano, clienti anziché cittadini.

Città privatizzate, cinture di nuovi quartieri-dormitorio, nessuna pianificazione, proliferazione di centri commerciali. Questo il quadro. Non sarà il sintomo di una crisi più generale della democrazia?
Si pone qui una questione che non è solo di equità e di accessibilità, ma anche una questione di agibilità politica. Quando vedo ordinanze di sindaci che chiudono certe piazze alle manifestazioni di dissenso, con il pretesto dell'ordine pubblico, non vedo solo una minaccia per la democrazia, ma un attentato alla stessa natura della città.

Può sembrare pessimistico, però dobbiamo chiedercelo: la città - intesa come spazio pubblico - è morta?
Assisteremo alla ripresa di una vera città a seconda che noi vorremo farlo, e se saremo in grado di farlo. La città è un habitat nel quale si vive insieme agli altri. È spazio pubblico la piazza, sono spazio pubblico gli standard urbanistici, è spazio pubblico una politica sociale per la casa. Ma è spazio pubblico l'erogazione di servizi e attività aperti a tutti gli abitanti: dalla scuola alla salute, dalla ricreazione alla cultura, dall'apprendimento al lavoro. È spazio pubblico la possibilità di ogni cittadino di partecipare alla vita della città e delle sue istituzioni, è spazio pubblico la democrazia e il modo di praticarla al di là delle strettoie dell'attuale configurazione della democrazia rappresentativa. Vedremo se le donne e gli uomini di questo XXI secolo riterranno che è meglio vivere così che vivere da soli, chiusi nel proprio piccolo gruppo, spazio, orizzonte. La conquista dello spazio pubblico è stata, ed è tuttora, il risultato di un processo storico caratterizzato da faticose conquiste e sofferte sconfitte. Lo sarà anche in futuro.

Liberazione 23/02/2010. pag 11

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