giovedì 16 dicembre 2010

Lo sceicco non vuole i rappers a Gaza

Hamas contro la musica. Il movimento fondamentalista vieta la musica ai giovani della striscia
Francesca Marretta
Gaza
Hamas vieta il rap a Gaza. L'ultimo concerto che gruppi come P.R. Palestinian rappers e The Black Unit hanno tenuto nella Striscia governata dagli islamisti risale all'estate del 2009. In quell'occasione le band del rap Made in Gaza suonarono a Khan Younis, davanti a cinquecento persone, in una struttura gestita dalle Nazioni Unite. Hamas, dicono Khaled Harara, 23 anni, leader dei Black Unit e Aiman Jamal Mghames, 25 anni, dei P.R. Palestinian rappers, «non capisce di cosa parliamo, pensano che vogliamo distruggere la tradizione o magari che c'interessano l'alcol, le donne o vestire all'occidentale. Non conoscono la storia dell'Hip-hop e del rap, che affondano le radici nella ribellione all'ingiustizia. Noi siamo la Cnn della strada, cantiamo quello che vediamo, e prima di tutto cantiamo contro l'occupazione israeliana».
Hip-hop e rap sono un fenomeno recente a Gaza, che avuto inizio nel 2003. Per questo dice Aiman, prima di ogni concerto, ho sempre spiegato l'origine di questi stili musicali. «Tutte le nostre canzoni raccontano Gaza» continua Aiman, con alcune varianti. «Se sono innamorato canto dell'amore a Gaza, se mi sento frustrato, della frustrazione». I due rapper sostengono di essre stanchi tanto di sentir chiamare i palestinesi "terroristi" che di vederli destinatari di aiuti internazionali. «Quello di cui abbiamo bisogno sono libertà e giustizia», dicono. Le loro canzoni diffondono il messaggio tramite la rete; «La nostra arte è resistenza». Il nome Black Unit, spiega Khaled, è stato scelto perché si sentono una forza speciale nell'esercito del rap. La sigla P.R. che precede Palestinian rappers, sta invece per "resistenza palestinese".
I duri e puri del movimento islamico al potere a Gaza considerano la musica dei gruppi rap e hip-hop, haram, peccato. Le espressioni artistiche e culturali che si discostano dalla tradizione e non hanno nulla a che fare con la religione e sono ogni giorno che passa sempre più sotto pressione nella Striscia. L'ultimo esempio del giro di vite imposto da Hamas, in questo senso, a Gaza, è la chiusura del centro culturale Shareq, cui sono seguiti arresti di ragazzi che manifestavano pacificamente contro i sigilli. In questa struttura si trova uno studio di registrazione nuovo di zecca. Che Aiman e Khaled avevano cominciato a utilizzare gratutamente, invece di dover pagare duecento dollari a canzone per una registrazione.
Questo è uno dei tanti aspetti dell'imposizione graduale della Sharia a Gaza da parte di Hamas. Ma sottovoce, senza editti pubblici. Tra le accuse mosse a chi è stato arrestato per aver preso parte alle attività del centro culturale Shareq, in cui si svolgono diverse attività creative a cui partecipano ragazzi e ragazze, finanziato da paesi europei, figurano l'offesa alla morale pubblica e la diffusione di materiale pornografico che sarebbe stato trovato su computer, non appartenenti al centro, ma personali, che la polizia di Hamas ha sequestrato. A Gaza, oggi, se un ragazzo è seduto a parlare con una ragazza può accadere che agenti in borghese si facciano avanti per chiedere che relazione ci sia tra i due. Se sono solo amici la famiglia della ragazza viene informata. Segue il suggerimento che non è bene, per una donna di Gaza, farsi vedere in giro con persone dell'altro sesso con cui non ci sia un legame di parentela o che sia il legittimo fidanzato (nel qual caso la cosa va provata con certificato sottoscritto da entrambe le famiglie).
Il motivo per cui la leadership di Hamas non viene allo scoperto sull'instaurazione di fatto della legge islamica è che l'ala moderata del movimento spera ancora in un'apertura dell'occidente verso il governo "de facto" guidato da Ismail Hanyieh. Contemporaneamente però, occorre soddisfare e tenere buona l'ala dura. Che è quella dominante nelle fazioni armate. E il potere di Hamas a Gaza, senza la forza, adesso, non potrebbe più reggersi. Ed ecco che il rap è diventato clandestino, pur cantando la resistenza all'occupazione.
La valvola di sfogo di rapper come Aiman e Khaled è la rete. La loro musica continua a diffondersi tramite Facebook e MySpace: «Le nostre canzoni sono ascoltate negli Stati Uniti. Lì c'è un altro rapper di Gaza, Mohammed al Farrah che la diffonde. Attraverso Internet abbiamo anche scambi con altri gruppi all'estero».
Il rap di Gaza, oltre a cantare l'oppressione del vivere in una terra senza frontiere aperte e in cui ci si può svegliare sotto le bombe, protesta contro la stupidità dei politici palestinesi, da quelli di Fatah a quelli di Hamas. «Ora come palestinesi abbiamo due governi. Nelle nostre canzoni gli diciamo quanto sono stati fessi a cadere nella trappola israeliana», dicono Khaled, alto, dalla stazza imponeente, occhi chiari e pizzetto e Aiman, faccia tonda, occhi castani e felpa col cappuccio.
I due giovani sono gazawi della diaspora. Rientrati nella Striscia, come tanti altri palestinesi residenti all'estero, ai tempi degli accordi di Oslo, sulla scia del ritorno di Arafat. Khaled è nato in Libano. Aiman in Tunisia. Forse sono diventati rappers perchè sono più avanti rispetto alla tradizione di Gaza, molto influenzata dalla cultura egiziana, dicono. Da qualche anno avevano cominciato a insegnare a ragazzi più giovani Hip-hop, rap e graffiti. Ma ora, con il black-out imposto da Hamas a questo tipo di espressioni artistiche, la rete resta l'unica speranza.
A Gaza, giovani come Khaled e Aiman, resistono come possono cercando di non uniformarsi a quel tipo di società islamica che Hamas sta gradualmente cercando di imporre. Continuano a suonare. E ora che non possono più sedere nei caffé con le loro ragazze, si siedono a tavoli diversi, parlandosi al telefono e scambiandosi occhiate a distanza. Oppure prendono un taxi. Corsa lunga, con lauta mancia, per tenersi la mano. «I palestinesi hanno pensato a ribellarsi contro l'occupazione. Ma non ancora contro l'oppressione sociale», dice Aiman. Passa il Narghile a Khaled, che annuisce e sorride, sognando di esibirsi ancora per il pubblico di Gaza.

Liberazione 11/12/2010, pag 8

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