giovedì 16 dicembre 2010

Obama cede a Israele: via libera alle colonie

Gli Usa rinunciano a esercitare pressioni. L'Ue: "Sono illegali". Negoziati in crisi

Francesca Marretta
Gaza City
Come un pugile colpito troppe volte, senza forza per reagire, Washington ha gettato la spugna con Israele sulla moratoria negli insediamenti su terra palestinese. Obama non chiederà più a Netanyahu di fermare le costruzioni nelle colonie. Perchè nonostante il sostanzioso pacchetto di aiuti economici e militari che ha offerto al governo israeliano per convincerlo a sbloccare la moratoria, in modo da far ripartire i negoziati diretti, la risposta che ha ricevuto è stata di picche. L'Amministrazione Obama cerca di dissimulare lo smacco, dicendo che questo passo non rappresenta un cambio di strategia e che l'obiettivo resta quello dei due Stati. Piuttosto, dicono dalla Casa Bianca, si tratta di un cambiamento di tattica. «Meglio concentrarsi sulle questioni chiave del conflitto, come i confini, lo status finale di Gerusalemme o il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi», questa la nuova linea della Casa Bianca. Ma per i palestinesi, parte in causa, gli insediamenti restano una questione centrale. Non lo sono per gli israeliani. Che sono riusciti a togliere le castagne dal fuoco. Senza comprendere, forse, il rischio, di trovarsi tra le mani, ora, una patata bollente. Ovvero il piano Fayyad sulla proclamazione dello Stato palestinese alle Nazioni Unite entro il 2011. Il segretario generale del Comitato esecutivo dell'Olp, Yasser Abed Rabbo, ha dichiarato ieri che dato fallimento americano per rilanciare i negoziati di pace, è arrivato il momento di «rivolgersi al contesto più ampio della comunità internazionale». Dunque all'Assemblea generale delle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza Onu. «Non è chiaro perchè invece di preooccuparsi della politica israeliana che minaccia i loro sforzi, gli Stati Uniti abbiano piuttosto scelto di condannare Brasile e Argentina per aver riconosciuto uno Stato palestinese indipendente», ha aggiunto Rabbo. Mentre da Atene, dove ieri si trovava in visita, il Presidente palestinese Abbas ha menzionato la «difficile crisi» dei negoziati dopo la scelta della Casa Bianca di staccare la spina al negoziato diretto (la moratoria era una precondizione per i palestinesi), auspicando ora un maggiore ruolo di mediazione da parte dell'Unione Europea. Una prima risposta positiva per Abbas da Bruxelles è giunta per via indiretta a stretto giro. La leader della diplomazia Ue, Catherine Ashton ha condannato ieri il rifiuto di Israele di accettare uno stop agli insediamenti in Cisgiordania, definiti «illegali» e di fatto «contrari» agli sforzi di pace nella regione. «I recenti sviluppi in materia di insediamenti, inclusa Gerusalemme est, vanno contro gli sforzi della comunità internazionale per arrivare ad un successo dei negoziati», ha aggiunto Ashton, attraverso la sua portavoce. Mentre a Ramallah si discute delle alternative ai negoziati diretti, a Gaza, il governo islamista "de facto" di Hamas, sempre più liberticida verso chi non si conforma ai canoni della Sharia, ha ripreso ha proporsi come interlocutore per l'Occidente, come fece dopo la vittoria elettorale del 2006. Già la settimana scorsa il Premier Ismail Hanyhieh, aveva lanciato pietre nello stagno, parlando della disponibilità di Hamas ad accettare l'esito di un referendum su eventuali trattati di pace e uno Stato palestinese sulle frontiere del 1967.
Ieri Hanyieh ha ricevuto a Gaza l'ex Ambasciatore americano in Qatar e Libano Mark Hambley, che ha paragonato il rifiuto dei governi occidentali di parlare con Hamas con l'isolamento diplomatico verso l'Olp negli anni '70 e '80. Hambley ha ricordato che all'epoca i colloqui con la leadership palestinese esiliata cominciarono in sordina, per arrivare, successivamente a un dialogo. Lo stesso accadrà col movimento islamico, dice in sostanza l'ex diplomatico di lungo corso. «Avremmo dovuto parlare con Hamas per gli scorsi tre anni. Il problema è che abbiamo messo questo movimento nella stessa categoria di gruppi che combattiamo», ha aggiunto Hambley.
E a Gaza non si ferma il fuoco israeliano. Ieri tre civili sono rimasti feriti per cannonate esplosa da carri armati a est di Gaza City. A Khan Younis (centro-sud) è stata colpito un'allevamento di polli, dove, oltre ai danni c'è stato un ferito. A Rafah raid aerei israeliani hanno distrutto alcuni tunnel di collegamento al territorio egiziano. Unico canale da cui entrano a Gaza materiali da costruzione.

Liberazione 09/12/2010, pag 6

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