giovedì 9 dicembre 2010

«Noi, soli contro i signori del mattone»

Luca Fagiano rete Abitare nella Crisi,
Coordinamento cittadino di lotta per la casa

Daniele Nalbone
Cosa significhi una "campagna mediatica", i movimenti per il diritto all'abitare lo hanno sperimentato sulla propria pelle. La vicenda dell'ex ospedale Regina Elena e della ex scuola 8 Marzo, sgomberata dopo anni di occupazione la prima, tutt'ora sotto attacco la seconda, sono la prova della subalternità del mondo dell'informazione romano ai "signori del mattone". Luca Fagiano, portavoce del Coordinamento cittadino di lotta per la casa, parte integrante della rete nazionale "Abitare nella Crisi", lo ricorda perfettamente: «Lo sgombero del Regina Elena e il tentato sgombero della scuola 8 Marzo, nel settembre 2009, furono anticipati da campagne mediatiche di quotidiani come Il Tempo o Il Messaggero, di proprietà di costruttori come Bonifaci o Caltagirone. Gli attacchi "comunicativi" che abbiamo subito, e che tutt'ora continuano, raccontano di un movimento che difende pochi soggetti sociali, che punta a scavalcare chi da anni giace nei meandri delle liste per l'assegnazione delle case popolari, che mette in campo esclusivamente privilegi». E' contro queste idee «che stiamo lanciando a livello nazionale, con la rete "Abitare nella crisi", una vera e propria sfida sul futuro delle nostre città. Le vicende dell'ex Regina Elena, sgomberato con la scusa di attivare servizi tutt'ora, a un anno di distanza, inesistenti e ancor più quella della ex scuola 8 Marzo, nella quale sotto attacco sono finiti i diretti protagonisti della lotta per la casa, dipinti come delinquenti qualsiasi, hanno dimostrato l'importanza di una comunicazione indipendente dai poteri forti».

Domanda scontata e "consequenziale": qual è il rapporto con la stampa dei movimenti per il diritto all'abitare?
Complesso. Oggi, attorno al tema della casa, si è scatenata un'attenzione mediatica senza precedenti. Non, però, come speravamo: si evita di dare visibilità e parola a chi vive in emergenza. E', nel particolare, lo specchio di quanto accade in generale: si cerca di rendere invisibile una crisi sempre più acuta e diffusa. Per far questo, si devono nascondere o attaccare quegli attori scomodi che, dal basso e fuori dai meccanismi di potere, cercano uno spazio praticabile di conflitto e trasformazione. Oggi il movimento si scontra con la rendita e con tutto quello che vuol dire industria del mattone. In poche parole: si scontra con il blocco di potere più forte di Roma e uno dei più forti del paese. E se molti degli organi di stampa più influenti sono di proprietà o annoverano nei propri cda costruttori, il gioco è semplice. I movimenti sono cancellati o attaccati. Vittime di messaggi distorti.

Parlando invece di comunicazione indipendente dai poteri forti, perché hai deciso di prendere parola "per Liberazione"?
Perché è di giornali come Liberazione che abbiamo bisogno per uscire da questi meandri, per far sì che la nostra verità emerga per quella che è, e non per quella che i poteri forti vogliono dipingere. Quindi, è importante aprire luoghi di pluralismo che diano spazio a un'informazione libera, che diano voce ai soggetti che vivono la crisi e le lotte. Ecco: oggi la sfida che abbiamo davanti è quella di mantenere aperti spazi come Liberazione ed evitare che attorno a noi si stringa il cappio di un monopolio del mondo dell'informazione fatto di pochi soggetti che controllano l'opinione pubblica. La difesa di una stampa fuori dal meccanismo poteri economici-poteri politici è, per noi, una battaglia centrale. Accanto a questo, dobbiamo però lavorare, insieme, per far sì che la ragnatela della comunicazione dal basso sia sempre più ramificata e radicata nei territori, nei quartieri, nelle città.

In questo quadro, riecheggia la scure di Tremonti sulla spesa sociale. Vittime sono la cultura, l'informazione, la formazione, l'educazione. E l'elenco potrebbe continuare…
Siamo al cospetto, oggi, di un blocco di potere a livello europeo che sta cercando di trasformare le nostre vite. Tagliare i finanziamenti per la scuola, la cultura, l'editoria significa non solo mettere in crisi quei settori che formano coscienze, ma distruggere un'idea di mondo che non piace perché potrebbe dar vita a un nuovo modello di sviluppo. E' contro questo rischio di "schiacciamento" economico, politico e sociale che la popolazione è chiamata a reagire, a scendere in piazza, a salire sui tetti.

Piazza e tetti. La scorsa settimana i movimenti di lotta per l'abitare, insieme ai sindacati di base, ai partiti della sinistra, ai comitati territoriali, ai lavoratori e ai precari hanno portato in piazza la "loro" idea di regione e di città. Una protesta locale ma che ha una portata globale. E' questa la prima risposta a un governo che delega i tagli alle Regioni?
Questo governo merita una risposta non solo "nazionale", ma diffusa, quotidiana, territoriale. Come dire: non basta un corteo nazionale, una giornata di protesta, una finta opposizione elettorale "alla Partito Democratico". Non basta costruire grandi manifestazioni ora che il governo è in crisi. Dobbiamo mettere al centro gli interessi dei settori sociali colpiti, prendere di mira gli enti locali che pesano nel meccanismo della devoluzione. Oggi il bersaglio dei processi di riassetto produttivo, economico, sociale sono le grandi aree del paese. Così, è nel "locale" che si giocano le partite centrali, globali. E allora è necessario coltivare quel terreno e quella territorialità dove lotte diverse possano incontrarsi e mettere in campo un'idea diversa di sviluppo. Per questo la manifestazione contro la Regione Lazio è stata importante: come saldatura fra lotte per i diritti di chi sta perdendo il lavoro, è precario, non può contare su una sanità efficiente e pubblica, non ha reddito, è senza casa o la sta perdendo. Fino a chi ha scelto di occupare per ribellarsi alla schiavitù del libero mercato dell'affitto o a chi si batte contro le devastazioni ambientali. E' un cerchio, un quadro generale. Solo ricomponendo queste vertenze in un unico conflitto, possiamo riprendere parola e provare a modificare radicalmente questo paese.

E in questo scenario di mobilitazione "glocale", qual è il ruolo che dovrebbe occupare la stampa "libera"?
Iniziamo col dire che non tutta la stampa "libera" o "di sinistra" è così "libera" o "di sinistra" da seguire con attenzione questi percorsi e queste battaglie. Troppo spesso abbiamo trovato poca considerazione da organi di stampa che avrebbero dovuto essere "cassa di risonanza" dei conflitti e che invece si sono limitati a "fare politica". Ecco: con interviste come queste che state conducendo per Liberazione, che non si limitano al sostegno del quotidiano ma aprono un luogo di discussione e di confronto, state aiutando non poco a costruire uno spazio di riflessione veramente politico. A questo, va o andrebbe accompagnato, a seconda dei giornali, un lavoro di inchiesta per capire quello che sta avvenendo in questo paese. Un'inchiesta "militante", che cerchi e racconti i luoghi in cui stanno venendo fuori le risposte a questa crisi. Che ne indaghi la dimensione e ne "certifichi" la qualità. E, ripeto, queste interviste che mettono la questione dei media, visti dai protagonisti delle lotte, della cultura, della politica, dell'informazione, al centro e in connessione con le questioni sociali e politiche sono sicuramente un percorso da proseguire. Senza timori.

Liberazione 01/12/2010, pag 12

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